Cristo è la potenza e la sapienza di Dio, della quale sta scritto che stende la sua potenza da un'estremità all'altra del mondo e governa l'universo con benevolenza e che penetra ovunque per la sua purezza e nulla d'impuro si trova in essa. Pertanto, dovunque possa essere il paradiso tutti i beati che vi sono lì con lui che è dappertutto.
(Sant’Agostino, Trattato sulla presenza di Dio)
Cosa c’è di più antimoderno e di più apparentemente antirazionale dell’idea dell’Inferno quale luogo di dolore e di pena senza alcuna possibilità di mutamento, eterna, senza fine? Il Prof. Luigi Lombardi Vallauri, studioso e docente di grande fama accademica nell’ambito della filosofia del diritto, scrisse nel 1999 un dotto pamphlet intitolato: Dissezione giuridica dell’Inferno (Biblioteca della libertà, XXXIV, 1999, gennaio-febbraio, n° 148, 1999). Tale testo, intrigante e provocatorio, seppur ricco di supponenza accademica e zeppo, a mio parere, di contraddizioni logiche ed errori ermeneutici, mi ha stimolato a trattare in modo tanto tradizionale quanto alternativo tale tema, cercando di esplicare ‘le ragioni dell’Inferno’, in totale e consapevole opposizione alla cultura settecentesca, eudaimonistica e scettica, che fa da sfondo al discorso paradossale del celebre predetto professore. Sì, perché quando si parla di ‘Inferno’ nel senso cristiano (e specialmente cattolico) del termine anche le menti più lucide sembrano cadere facilmente in confusione, come subendo una ‘pressione emotiva’ difficilmente controllabile e sostenibile.
Oggi l’uomo contemporaneo, specie se di cultura superiore alla media, stenta a concepire l’Inferno cristiano/cattolico proprio perché la cultura novecentesca e post-novecentesca si fonda non solo sul dogma della ‘morte di Dio’ ma ancor di più sul ‘dogma’ modernista della ‘non esistenza dell’Inferno’, tacito presupposto di tutti i connotati dell’attuale modello socio-narrativo imperante: società liquida, volatile, precaria come l’esistenza di un atomo, quindi ogni pensiero non può che essere o gioco o un ‘pensiero nomade’, sperimentale, transeunte, come rilegge Cacciari il pensiero nicciano, depotenziandolo.
L’eternità dell’Inferno è al contrario un qualcosa di urtante, inconcepibile, sentito come ingiusto e tirannico, come un relitto culturale del passato, che possiamo apprezzare solo a livello letterario-simbolico come nell’opera di Dante Alighieri o di John Milton. La dissertazione anti-infernale di Vallauri non innova nulla e non scopre nulla, ma si limita a sintetizzare questo modo di sentire di massa, dandogli un’apparente dignità scientifico-accademica.
Ma il reale e il pensiero sono sempre più complessi! Il primo problema ermeneutico, infatti, quando si parla di Inferno è dato dal fatto che non appare corretto ‘giudicare’ l’Inferno senza prima conoscere la dottrina cattolica, di cui l’Inferno è parte essenziale. Vallauri, come quasi tutti, cade in questo primo errore di metodo. Si cerca di disprezzare l’idea di un inferno senza fine come fosse un’invenzione arbitraria del Cattolicesimo e non una logica conseguenza di una serie di Verità trascendenti che si pongono quale Rivelazione di Dio all’interno del Cattolicesimo. Non solo: si cerca di dimenticare che ogni cultura pre-cristiana ha trasmesso un’idea simile. Basti pensare al Tartaro del Mito greco, dove i Titani sono condannati e torturati per sempre, come Sisifo e Tantalo, fra i molti. Naturalmente Vallauri omette di ricordare il Tartaro e si limita a un accenno all’Ade, dimensione ambivalente e di variegata descrizione fra gli antichi, quindi utile al fine di relativizzare l'eternità della pena metafisica.
L’errore ermeneutico, quindi, si precisa nell’isolare l’idea cristiano-cattolica di Inferno dal resto della dottrina, pretendendo di comprenderne il senso. Se io scelgo un campo semantico di tipo razionalista-materialista è ovvio che se ragiono dentro questo campo semantico di qualcosa che è metafisico come l’inferno, semplicemente perché non ne abbiamo esperienza diretta, allora il mio discorso avrà l’attendibilità e la ragionevolezza di chi, non credendo agli angeli, vuole discutere del sesso degli angeli! Oppure, di chi pretende di ragionare in modo scientifico, da scienziato o da logico o da giurista, sul mondo degli unicorni!
Tale errore di metodo si aggrava quando l’analisi non procede in modo metodico, graduale, sereno ma rappresenta l’espressione di una posizione apologetica già ideologicamente data. Vallauri, come tutto il pensiero di massa oggi in voga (o meglio il: de-pensamento oggi in voga) utilizza l’immagine dell’eternità dell’Inferno quale immagine di somma ingiustizia, quale totem da disprezzare, non da comprendere, quale immagine-simbolo già data per assurda fin dal principio, e, quindi, si limita a esporre con accanimento emotivo-apologetico l’idea dell’assurdità di tale eternità, trascurando del tutto il cuore del Cristianesimo/Cattolicesimo, senza la cui considerazione nulla si può comprendere dell’inferno quale realtà metafisica, cioè la Redenzione di Cristo tramite la Croce, l’Incarnazione, Morte e Resurrezione del Signore, da cui deriva tutta la dottrina cristiana e, specialmente i ‘Novissimi’, cioè le Verità rivelate escatologiche, cioè ‘ultime’: Morte/Giudizio/Inferno/Paradiso. Ogni religione rivelata, infatti, pone nella struttura intima un ‘bivio metafisico’ di tipo messianico-apocalittico, solo al cui interno si può indagare il senso spirituale e logico dell'inferno.
Queste realtà vengono trascurate o ignorate o conosciute in modo imperfetto dal pensiero di massa che non comprende il Logos che regge l’idea cristiana di Inferno. Sarebbe come giudicare il Sole senza conoscere adeguatamente le minime nozioni di astrofisica! Oppure, giudicare il calcio vedendo solo il fenomeno dei rigori! Se voglio criticare l’idea cristiano/cattolica dell’Inferno come posso non conoscere o non discutere dell’intero impianto della dottrina cristiana su cui si fonda tale idea? A maggior ragione per il fatto che mettendo in crisi l’idea dell’Inferno io metto in crisi tutto il Cristianesimo!
Se si toglie l’Inferno, infatti, crolla tutta la Verità cristiana, la cui unitarietà-coerenza-completezza è auto dichiarata persino nel Vangelo: “Neppure uno iota passerà della Legge” (Mt. 5,18). È facile dimostrarlo: se si toglie l’Inferno non si comprenderà da cosa sia venuto a salvarci il Cristo e un Cristo non salvatore non è il Cristo dei Vangeli e del Cristianesimo il cui kerigma (annuncio) soteriologico è l’essenza stessa della sua novità rivoluzionaria! Il Cristianesimo o è annuncio messianico e apocalittico o non è Cristianesimo! Ancora oggi! Un Cristo che non sia giudice (pur sulla carità e senza contraddizioni con la sua Misericordia) non è Dio e quindi usciamo fuori dal Cristianesimo stesso.
Basta rileggere il Simbolo degli Apostoli, attestato già dal II-III secolo e rappresentante il testo più antico del Credo cristiano per notare come il suo ‘discese agli inferi’ di Cristo salvatore, durante il sabato del sepolcro, rappresenti un passaggio essenziale della storia cosmica della salvezza. Cristo inizia la sua redenzione eterna definitiva con la sua anima che scende nell'Inferno per liberare tutte le anime dei giusti da Adamo all'uomo crocefisso con lui che dopo gli insulti iniziali affidò la sua salvezza al Gesù Crocefisso. Basta poi rileggere i Vangeli con i loro numerosi riferimento ai demoni, agli esorcismi di Cristo e all'esistenza di un Inferno eterno (fra i molti: Mt. 25), specialmente il Vangelo di Marco, per comprendere come tale realtà metafisica ma concreta sia fondamentale ed essenziale perché vi sia la dottrina e la fede cristiana quale terapia e dottrina teofanica di liberazione dal rischio dell'infernale dimensione di dolore eterno.
Cristo è tentato da Satana nel deserto, libera molti indemoniati, conferma l’esistenza di una barriera invalicabile fra Paradiso e Inferno (Luc.16,19) e senza tale realtà infernale si apprezzerebbe meno la portata salvifica cosmica e definitiva della Croce, da cui vengono tutti i sacramenti e ogni sapienza cristiana (1Cor. 2,2). La stessa croce è uno strumento di tortura infernale, un segno di giustizia, che il Cristo trasforma in scala celeste. Non c'è Cristianesimo senza croce, senza sacrificio, senza lotta contro l'Inferno. Il Cristianesimo è l’essere ‘unti’ dall’olio della grazia divina tramite i sacramenti cristici e tale ‘profumo di Cristo’ è proprio l’essere ontologico della Redenzione, il cui termine, molto concreto, significa ‘ricomprare’.
Cristo è salvatore perché ci libera dalla prigionia dell’Inferno, ci riscatta da un sequestro ontologico, ci ‘ri-compra’ dal potere delle tenebre, usando come denaro il sacrificio del suo sangue innocente umano-divino, che ci guarisce dall’alienazione data dalla privazione dell’esperienza di Dio. L’esempio di San Massimiliano Kolbe è paradigmatico: è santo in quanto similmente a Cristo si offrì per la fucilazione in un campo di concentramento al posto della vittima designata. Senza conoscere e riflettere su questo nucleo di pensiero, indipendentemente dalla fede personale, è indispensabile per ‘studiare’ l’idea cristiana di Inferno, altrimenti non comprensibile e facilmente denigrabile secondo il pensiero di massa.
Non è Dio-Logos che deve piegarsi alla ‘ragionevolezza di massa’, ma è la ragion pratica che è chiamata a elevarsi a una dimensione metafisica e cosmica, fuori dalla quale è inconcepibile il concetto stesso di inferno. Sub Luna nulla è eterno! Se, infatti, quasi tutto il pensiero sociale si fonda su moduli televisivi, quindi effimeri, superficiali, sentimentali e precari, è ovvio che una realtà ‘eterna’, e per giunta di dolore, appaia psicologicamente oggi non tollerabile.
Ma un’analisi razionale non può fermarsi all’apparenza e a facili suggestioni psicosociali di massa. Abbiamo visto che se non si dà come presupposta l’esistenza dell’Inferno non si comprende la novità soteriologica ed escatologica che è l’essenza del Cristianesimo quale religione rivelata, e non meramente tradizionale.
Questo tema si comprende ancora meglio se si conosce il pensiero cristiano sull’origine angelica e pre-temporale dell’Inferno: la ribellione di Lucifero. Per il Cristianesimo l’Inferno è in primo luogo conseguenza strutturale e necessitata dell’uscita di tale angelo dalla comunione con Dio. Autoalienandosi Lucifero genera uno status già infernale, in quanto connaturato dalla privazione della partecipazione alla vita di Dio. Criticare la Verità cristiana (che scrivo con la V maiuscola correttamente in quanto nel Cristianesimo si dà quale Verità divina, autorivelata) per la credenza sull’Inferno e non parlare del cuore del Cristianesimo che è dato dall’annuncio della salvezza cristica proprio dall’Inferno appare quanto meno auto contraddittorio e riduttivo-parziale. Tipico effetto di una cattiva digestione dell’Illuminismo per cui si tende a ridurre a ciò che è noto ciò di cui non si ha diretta esperienza. Ad essere coerenti, quindi, non dovremmo mai parlare di ‘buchi neri’, poiché di essi non abbiamo diretta esperienza, né di amore, poiché non si ha mai esperienza ‘dell’amore in se stesso’ ma dei suoi effetti, delle sue relazioni, e di certi suoi momenti individuali e passeggeri.
Vallauri, e con cui il comune e diffuso rifiuto dell’idea dell’inferno, non tratta mai in realtà dell’Inferno cristiano, dell’inferno, quindi, come realtà metafisica, ma dell’idea di inferno quale è recepita dalla cultura di massa e dalla sua sensibilità e cultura scettico-materialista presupposta. Si discute, pertanto, di una ricezione culturale non di una dottrina teologico-metafisica. Per essere più precisi l’inferno viene categorizzato in modo svalutativo quale ‘ente immateriale’, per solo questo già dequalificato dall’esperienza comune e, dunque, non credibile.
Si dà come già raggiunta la tesi da dimostrare (l’inesistenza dell’Inferno cristiano). Il pensiero scettico cade sempre in contraddizioni e antinomie irrisolvibili più di quello fideistico. Se l’inferno, infatti, è esperienza non conoscibile come posso negarne l’esistenza? Non solo: l’uomo non è sempre vissuto, specie l’uomo moderno e post-moderno, nel bel mezzo di ‘enti immateriali’ dati dal linguaggio, dalla cultura e dall’agire sociale? Non può essere considerata anche la stessa ragione umana un ‘ente immateriale’? Se non altro perché non sappiamo collocarla fisicamente in modo chiaro, né replicarla e né prevederne l’azione! Non è il diritto zeppo di ‘enti immateriali’ come il concetto di ‘società’ e di ‘contratto’? Non è lo stesso Stato un ‘ente immateriale’? Eppur assai concreto, specie quando si devono pagare le tasse! Non sono enti immateriali la stessa moneta, la ‘costituzione materiale’ kelseniana e gli stessi ‘Mercati’? Ogni generalizzazione del linguaggio, ogni clichè, ogni campo semantico genera infatti fantasmi cognitivi e noetici, cioè ‘enti immateriali’.
Altro autogoal ermeneutico del pensiero scettico-utilitaristico ed eudaimonistico (anti-infernale) è dato dal concetto di ‘verosimile’. L’inferno è idea assurda e ingiusta in quanto è idea ‘non verosimile’. In confutazione critica di tale pensiero oppongo la stessa obiezione di metodo che Ponzio Pilato oppose al Cristo arrestato: “Quid est veritas?” E mi deve rispondere non chi ha ‘fede nella Fede’ ma chi ha ‘fede nella ragione’! Come può autofondarsi il concetto di ‘verosimile’ senza una fondazione del concetto presupposto di verità? Siccome è verosimile che il Sole si muova e la Terra stia ferma, perché di questo ho esperienza diretta e sensoriale: allora la scienza astrofisica degli ultimi 4 secoli non è verosimile? L’idea stessa di ‘verosimile’ presuppone una verità oggettiva a cui ci si può approssimare per gradi fino all’identificazione completa. Escludere dal ‘verosimile’ tutto ciò di cui non si ha esperienza diretta è assurdo, autocontraddittorio e non razionale, perché allora chi non sa suonare non potrebbe parlare di musica e chi studia la geografia o la storia dovrebbe stare zitto se non ha viaggiato ovunque nello spazio e nel tempo.
Il concetto di ‘verosimile’, quindi, non è un concetto autolegittimato o autofondantesi, ma assume un valore relativo solo dentro un determinato campo semantico già dato, solo dentro un sistema relazionale e logico più ampio, e, infine, non è concetto giuridico, poiché il diritto distingue fra verità processuale e verità storica. Il tema/campo del diritto è la persuasione dentro il processo, oppure la regolarità formale di una situazione rispetto a un sistema di norme umane e storiche. L’inferno in quanto realtà metafisica non può essere oggetto di discussione giuridica terrena né tema discusso in termini di mera razionalità materialistico-esperienziale. I mondi del ‘verosimile’ sono assai incerti e ipotetici, molto vicini ai mondi degli ‘enti immateriali’ così troppo facilmente ridicolizzati dal pensiero scettico. Un facile esempio: tutto quello che sappiamo sul sottoterra terrestre oltre i 14 kilometri è solo un’ipotesi. Questo non toglie che i libri di scuola ci mostrino mappe e visualizzazioni (mere ipotesi) del nucleo della terra e del mantello e degli strati della crosta inferiori ai 14 kilometri. Ecco come la società di massa confonde il ‘verosimile’ con il ‘probabile’ e con il ‘certo’. La domanda ermeneuticamente giusta, invece, è la seguente: che senso ha l’Inferno all’interno di una visione spirituale e metafisica dell’esistenza, tale per cui non tutto finisce con la morte del corpo? È quello che abbiamo iniziato ad accennare tentando di ricostruire in massima sintesi il contesto teologico-spirituale e narrativo al cui interno va apprezzata l’idea di un inferno quale luogo eterno di punizione.
Non si comprende l’Inferno se non si comprende il concetto di peccato, l’idea di Dio e le specificità soteriologico-escatologiche del Cristianesimo e dei Vangeli. Tutto ciò è spesso differente da quanto si pensa di sapere o di credere. Tentiamo, quindi, una sintesi. L’inferno come abbiamo accennato ‘nasce’ con il distacco di Lucifero dalla volontà di Dio. Siccome Dio è ovunque, il crearsi dell’inferno quale ambiente reale (seppure meta-terreno) può apprezzarsi in due modi complementari, soggettivo e oggettivo: l’Inferno quale status ontologico di privazione-alienazione da Dio dato dall’essere di Lucifero, l’angelo più elevato creato da Dio come il suo epiteto originario indica, e l’Inferno quale espressione della Giustizia di Dio. I due aspetti non sono in contraddizione: l’Inferno inizia a ex-sistere (esistenza = vivere fuori dal centro della Vita) quale luogo reale ed ex-centrico rispetto a Dio con la ribellione di Lucifero e la sua contro-metanoia nel divenire il ‘diavolo’ cioè l’oppositore contro Dio.
Questo per il Cristianesimo è un fatto, un ‘racconto delle origini’, non una teoria e appare ridicolo il crederla ‘un’invenzione dei preti’ per dominare le coscienze, come il pensiero scettico ritiene da circa due secoli, e questo per varie ragioni:
- per la teologia cattolica anche i preti e i Papi possono andare all’inferno, come Dante ci conferma insieme al magistero della Chiesa cattolica, in quanto durante la vita terrena nessuno può vantare uno ‘status’ già di ‘salvato’ in senso definitivo;
- l’inferno come abbiamo accennato è presente in tutte le religioni e i miti antichi, quindi non è invenzione cristiana.
Questo pensiero è perfettamente logico e proporzionato nel momento in cui si pone un Dio come Sommo Bene. Se Dio è Sommo Bene, in Lui non ci può essere ombra o difetto o contraddizione (Giacomo, 1,17), quindi, se una creatura angelica, ampiamente libera in quanto assai vicina a Dio, decide di rifiutare Dio e la sua volontà (secondo la tradizione proprio in merito all’Incarnazione di Cristo), allora si genera una situazione di alienazione, ombra, male, disarmonia. Ma siccome fuori di Dio quale Sommo Bene, e quindi anche Somma Giustizia, non c’è nulla, se ne ricava che l’Inferno è un luogo dato dal discrimine fra comunione con Dio e suo rifiuto.
La stessa scienza di parla da alcuni anni di ‘multiversi’ o ‘universi paralleli’ ma non ho sentito mai nessun deista o scettico o agnostico o ateo lamentarsi di questo in quanto ‘non verosimile’! Se poi si contesta all’inferno cristiano di essere ‘un dogma’ evidentemente ci si dimentica che anche la scienza ha i suoi dogmi: i postulati scientifici, per loro natura indimostrabili. Il tanto temuto e vituperato ‘dogma’ è solo la conferma ecclesiale e la formalizzazione pubblica di Verità date per loro natura come divine e autorivelate fin dall'inizio della rivelazione cristica e apostolica. Il concetto di dogma quindi esclude in re ipsa ogni arbitrio umano, quindi appare scorretto ermeneutcamente che i deisti o gli agnostici lo critichino come fosse sinonimo di tirannico arbitrio.
I non credenti o gli appartenenti ad altre fedi o tipo di fede sono liberi di rifiutare il concetto stesso di ‘verità divina o autorivelata’ ma non appare corretto logicamente strumentalizzare in modo deformato il termine ‘dogma’, per screditare una verità su cui, essendo di fede, un agnostico coerente dovrebbe esercitare solo l'epochè scettica. ‘Cristo figlio di Dio’ e tutto il testo del Credo sono il ‘dogma’ essenziale che contiene tutti gli altri (pochi e semplici tra l'altro). Il ‘dogma’ in quanto tale non può essere contestato (in quanto dogma) perché è un campo semantico, peraltro antichissimo, e se lo si rifiuta si sceglie ideologicamente di rifiutare qualsiasi discorso mistico, teologico, metafisico, facendo operazione non di cultura e di scienza, ma un discorso politico-apologetico. Contestare, quindi, al Cristianesimo l’Inferno e non ricordarsi che l’essenza del Cristianesimo è l’annuncio che ci si può salvare dall’inferno seguendo Cristo, appare poco razionale e scorretto ermeneuticamente.
Il secondo aspetto coessenziale all’idea cristiana dall’Inferno, oltre alla caduta angelica originaria, è dato dal racconto del ‘peccato originale’, cioè il primo peccato compiuto dall’uomo. Si tratta di un fatto dalle conseguenze cosmiche, simile nella dinamica e nel valore allo ‘strappo’ ontologico di Lucifero. L’inferno ha una sua logica proprio in considerazione di queste due ‘rotture’ metafisiche dell’Ordine creato e voluto e stabilito da Dio, nell'Ordine che, possiamo dire, è diretta espressione teofanica. Questi atti di auto-allontanamento/radicamento delle creature dal Creatore generano, secondo il racconto cristiano-cattolico, l’inferno come ambiente reale, il quale non può venir meno proprio perché Dio è eterno e la scelta per Dio o contro Dio delle sue creature ha un termine finale: la morte. Non si può scegliere all’infinito se essere per Dio o contro Dio in quanto solo Dio è eterno e infinito.
Il racconto dell’Apocalisse di Giovanni ci mostra chiaramente che alla fine dei tempi resterà solo la Gerusalemme celeste (il Paradiso nella sua espressione più matura, piena e completa, anche con i corpi risorti, con l’essere umano pienamente reintegrato) e lo stagno di fuoco e zolfo, cioè l’inferno, ambiente di chi ha rifiutato fino alla morte la salvezza di Cristo. Pensare altrimenti significherebbe introdurre una contraddizione in Dio, come Colui che può trattare nello stesso modo bene e male, amore e odio, partecipazione e rifiuto.
Il tempo della ‘metanoia’ cioè del percorso di avvicinamento a Dio, è il tempo della conversione e del perdono, la prova della vita e la vita come prova. Scaduto il tempo appare il primo Giudizio: il bivio fra Dio o il rifiuto di Dio. Poi compare la dimensione ‘evolutiva-purificatoria’ del Purgatorio e quella salvifica del Paradiso, dove si continua a crescere, evolversi e vivere ma del tutto in Dio.
È così illogico pensare a questo? Il pensiero scettico cerca di confondere le acque appiattendo e confondendo creatura e Creatore, bene e male, e applicando al piano divino-scritturale-metafisico ragionamenti utilitaristici, edonistici, razionalisti e materialisti. Lo stesso Cristianesimo viene così deformato come si potesse ridurre a un catalogo moralistico e farisaico di peccati a cui segue de iure una inevitabile condanna infernale. Evidentemente chi vede il Cristianesimo in questo modo lo conosce poco e non conosce i numerosi e importanti passi evangelici di Cristo in cui si scaglia contro il moralismo legalistico e farisaico e pure ignora l’importante passo paolino dove si insegna che il sacerdozio cristico è ‘secondo Melchisedek’, e non secondo Aronne e Levi!
Il pensiero scettico finge di porsi al posto di Dio giudicando moralisticamente e inflessibilmente per screditare l’intera teologia cristiana, in modo da ridurre il Cristianesimo a una posizione ideologica da combattere ideologicamente. Ma il Cristianesimo non è ‘l’ideologia dell’Inferno’ né alcuna altra ideologia in quanto ponendosi come Verità che coincide con una Persona: Cristo, si pone de iure in senso totalmente anti-ideologico.
Contrapporre poi i valori delle normative terrene, assolutizzate in slogan assiologici, alla Legge di Dio, che è la realtà stessa nella visione cristiana, appare veramente fuorviante e irrazionale. Il pensiero scettico fa del relativo un assoluto e dell’Assoluto un relativo! In questo rivela una natura profondamente farisaica nella critica cristica di chi sostituisce Dio con tradizioni umane. Pure viene frainteso del tutto il concetto di ‘peccato originale’, il quale non può essere considerato come un ‘reato’ punito dagli ordinamenti umani ma si tratta di un trauma ontologico! L’immagine della ‘malattia’ e del ‘contagio’ aiuta a comprendere come possa trasmettersi logicamente dai progenitori fino a tutti gli uomini di ogni tempo.
Il primo peccato genera una situazione di ‘menomazione ontologica’ dell’umanità, da un certo punto di vista irreparabile, introducendo per la prima volta la morte dentro l’essere umano e nel creato. Questo punto è essenziale: la morte è conseguenza del peccato, cioè dell’allontanarsi della creatura dal Creatore. Gli scettici hanno poi memoria corta e parziale anche nel dimenticarsi il tema della salvezza che Cristo ha portato a tutti i giusti morti prima della Redenzione. Il tema dogmatico-visionale della ‘discesa agli inferi’ di Cristo, mentre il suo corpo giaceva nel sepolcro, indica ‘fisicamente’ la Redenzione quale inaugurazione di una nuova creazione dove si riaprono le porte del Paradiso agli uomini di tutti i tempi e l’inferno è destinato a giocare un ruolo residuale quale ‘luogo del rifiuto ostinato di Cristo’. Senza l’Inferno non ci comprende il cosmo cristiano e crolla ogni tavola di valori e ogni ontologia. Senza l’Inferno crolla anche ogni valore dell’etica quale ‘scelta giusta’, evapora ogni senso di responsabilità e si svuota il senso della Croce di Cristo e persino il valore della sua stessa Resurrezione.