Psichiatra, ha condotto numerosi progetti di ricerca, in particolare sulla psichiatria perinatale e sui comportamenti adolescenziali relativi ad abusi, depressione, bullismo e orientamento sessuale.
Nella sua formazione, nelle sue ricerche, ma anche nella sua attività emergono questioni importanti che toccano la vita, quindi, ci toccano in maniera profonda. Specialmente evidenti sono i suoi studi che riguardano la condizione speciale di passaggio degli adolescenti, la posizione della donna e l'interrogarsi su quel sottile filo, quasi metaforicamente una ‘barriera di contatto’, che delimita la sanità dalla patologia mentale. Tante tematiche attuali nel senso che riguardano la verità di cui siamo fatti. Nella precedente intervista ci ha raccontato del mondo adolescenziale e della fatica degli adolescenti nell’affrontare questa fase di passaggio, soffermandosi, in particolare, sul ricordo toccante di una ragazzina con importanti problemi di crescita e di identità. Ora sarebbe interessante che lei ci aiuti nel fare un passo nella conoscenza del mondo della donna quando sta per diventare madre, ci può dire cosa succede in questa situazione? Anche qui si tratta di un passaggio estremamente delicato: dallo stato di figlia a quello di madre, evento che, in genere, viene vissuto e considerato solo nel suo aspetto gioioso, lieto evento appunto, quasi si volesse non vedere anche la parte di ombra di cui è formato, come per paura di sporcare una bella fiaba…
Come è nato il suo interesse per questa condizione così complessa e provante?
Il mio interesse verso la psichiatria perinatale nasce in modo duplice. Innanzitutto, come naturale approfondimento di un aspetto forense per le madri che uccidono i propri figli.
Altolà… sta gettando una bomba con queste parole che penso abbiano bisogno di essere accompagnate da un racconto che ci faccia capire cosa succede, come mai una madre può arrivare a un gesto così estremo? Quale tsunami nella sua mente? Quale sofferenza diventa così insopportabile?
L’aspettativa sociale gioca un ruolo importante nel far sentire una donna inadeguata per un ruolo così importante. Spesso la madre viene ‘dimenticata’ come persona e ignorati i suoi segnali, anche solo di stanchezza, considerata inaccettabile nel contesto. Lei stessa si sente in difetto, in quanto si aspetta da sé di essere solamente felice e che tale felicità dovrebbe essere superiore e sufficiente per far fronte a eventuali difficoltà o fatica. A questo si aggiunge il fatto che l’enorme cambiamento di ruolo, la responsabilità e il fatto di mettere un altro essere totalmente dipendente al ‘centro del mondo’ può slatentizzare o aggravare dei tratti di personalità già presenti per i quali questo cambio di priorità e centralità è inaccettabile.
Da qui il desiderio di approfondire le dinamiche relazionali diadiche che, se alterate, possono portare a un malessere sia materno che nel nascituro fino a conseguenze estreme come quelle succitate. Inoltre, lo studio della influenza del benessere o eventuali problematiche materne in gravidanza e post partum, su quello che è il benessere neonatale (fisico e psichico), permette l’approfondimento e la comprensione dei meccanismi genetici ed epigenetici e la mediazione dei fattori di stress elicitati da un attaccamento erroneo.
Cosa ci può dire degli stili di attaccamento? Perché la modalità di relazione di attaccamento è così importante?
L’attaccamento che avviene in maniera ‘sana’ permette lo sviluppo di un neonato consapevole, ovviamente a livello istintuale, di essere accudito e che i suoi bisogni siano prontamente soddisfatti in maniera corretta. Questo permette la creazione di un senso di sicurezza e tranquillità che è alla base di una crescita emotiva (ovviamente quella fisica è implicita in un accudimento di successo) positiva e piena e di conseguenza alla base del benessere psicofisico del nuovo individuo.
Come approcciare queste situazioni quando evidenziano problematiche?
Lo psichiatra entra ‘in punta di piedi’, in un modo estremamente delicato, nel mondo in cui le donne sono sottoposte a importanti stravolgimenti di ruolo e di priorità, che mettono alla prova maggiormente in caso di fragilità personali. Queste donne sono inoltre sottoposte a una importante pressione sociale, che impone loro di essere necessariamente felici e adeguate allo stravolgimento che stanno affrontando, senza prevedere la possibilità di difficoltà nell’adattamento al nuovo ruolo personale e alla conoscenza di un nuovo essere umano completamente dipendente, ma al contempo sconosciuto e non sempre corrispondente a quanto immaginato.
È davvero un’altra prova difficile quella di rinunciare all’immagine del figlio ideale per imparare ad accettare e ad amare il figlio reale, quello in carne e ossa che è lì con le sue caratteristiche, coi suoi pianti e con le proprie difficoltà di adattamento al nuovo mondo?
L’incontro con un figlio neonato comporta necessariamente una comprensione empatica e istintuale, emblematica delle prime fasi del rapporto, ma che può essere complicata per donne con difficoltà interpersonali o nella gestione delle proprie emozioni e sensazioni. Tale difficoltà nel comprendere un essere che non può verbalizzare le proprie necessità comporta spesso sensi di colpa e inadeguatezza che innescano un circolo vizioso di autoaccusa e inferiorità che spesso determina l’innesco di una spirale depressiva.
Non è per niente facile diventare madre, non è così un processo naturalmente scontato come si vuole credere… come ci si sente ad affrontare situazioni di vita così sofferenti e così delicate?
Aspetto cruciale, per la difficoltà emotiva dell’operatore, è l’incontro con le madri colpite dal lutto per la perdita del figlio, soprattutto se in stato di gravidanza avanzato. Oltre al dolore non quantificabile o completamente comprensibile, si incontra spesso l’autoaccusa per non essere state capaci di ‘portare a termine’ ciò che è fisiologico e ‘naturale’ per ogni donna, la sensazione di inferiorità rispetto alle pari e a quanto ci si aspetta da ogni donna. Il dolore è spesso accompagnato dal racconto di 'sensazioni’ che dovevano essere ascoltate e che incrementano il senso di colpa per il fallimento del progetto familiare emblematizzato nella gravidanza. La naturale sofferenza derivante da un evento di tale portata spesso viene complicata da esperienze che affondano le radici nel passato di queste mamme legate alla strutturazione dell’identità personale e dell’autostima della singola donna.
Ha il ricordo di qualche situazione clinica che l’ha toccata in maniera particolare?
Ogni mamma che ho conosciuto ha in qualche modo toccato la mia emotività. Le madri che hanno una patologia mentale e pensano di non essere in grado, così come quelle che si sentono in colpa per non essere ‘del tutto felici’, quelle che perdono un bambino vicino al termine della gravidanza stessa e fanno esperienza di un dolore non raccontabile e parole. Ciascuna di loro mi ha regalato una parte personale e dolorosa e mi ha permesso di entrare in una sfera delicatissima ed estremamente intima. Per ultimo non posso dimenticare quelle donne che vengono abusate fisicamente e/o psicologicamente proprio in un momento così delicato, quale la gravidanza, e necessitano di un estremo supporto per la mancanza totale di certezze in un momento in cui ne avrebbero più bisogno e diritto
Quindi questa esperienza che significato emotivo ha per gli operatori?
L’incontro con queste mamme è emotivamente molto stimolante e coinvolgente, e, più che in altre situazioni cliniche, si nutre dell’apporto personale come donna. Queste pazienti, più di altre categorie di utenti psichiatrici, stimolano un intenso lavoro personale, ma, parimenti, risultano assolutamente nutrienti e arricchenti.
Cosa significa in semplici parole ‘stimolano un intenso lavoro personale’?
La sofferenza, incontrata in un momento così particolare, stimola domande e interrogativi personali molto profondi. Inoltre, l’essere una donna mi permette una maggiore empatia e comprensione che permettono un ‘sentire’ queste pazienti a molteplici livelli e dimensioni.
Grazie, normalmente gli utenti non immaginano negli operatori un coinvolgimento anche personale, oltre che tecnicamente professionale, nell’aver cura dei pazienti: quale aspetto di soddisfazione e gratificazione ne deriva?
La possibilità di aiutare e di permettere a queste donne di creare un soddisfacente rapporto con il proprio bambino e di conseguenza al figlio, di poter godere di una madre sufficientemente buona (in accordo con Donald Winnicott) e di un accudimento soddisfacente, risulta gratificante e rassicurante rispetto al fatto di aver potuto contribuire al benessere sia di una mamma in difficoltà che merita di poter stare il meglio possibile in un momento fondamentale della propria esistenza e a quello di un bambino, che può quindi avere l’affetto e l’accoglienza che merita.
È proprio vero che una madre, se amorevolmente accolta e compresa, è più in grado di vivere questo passaggio di ruolo così importante che costituisce la sua nuova identità affettiva e sociale. Questa nostra conversazione mi induce a tuffarmi nel bellissimo docufilm La storia del cammello che piange, dove una madre cammella, dopo un lungo e doloroso travaglio, non riesce ad accettare il suo cucciolo, rifiutandosi di guardarlo e di nutrirlo. La comunità di pastori nomadi che si occupano del parto delle cammelle avrà una cura speciale per questa madre sofferente che, solo dopo essere stata riconosciuta nelle sue difficoltà e curata con particolare partecipazione emotiva, riuscirà a sciogliere in lacrime quel blocco di gelo che la rendeva inaccessibile al suo piccolo e sarà disponibile a riconoscere a sua volta il figlio, a nutrirlo e ad avere cura di lui. Questo documentario ci insegna con le immagini e la musica quanto la vicinanza e la comprensione per le giovani madri alle prese con un cambiamento rivoluzionario di vita, sia fondamentale per favorire un buon incontro tra la neo-coppia madre-bambino.