“La vita vegetale è un laboratorio: osservare l’atmosfera, la temperatura, l’acqua, il calore aiutare la germinazione è una meraviglia quotidiana. Scoprire che per alcuni semi anziché l’acqua è il fuoco a innescare processi vitali, come nel caso del Cistus, ci dice che ogni pianta può aprirci orizzonti inimmaginabili. Lavorare qui permette di sfogliare il libro aperto della natura liberando la mente che, durante il lavoro manuale con i semi, riceve stimoli per osservare. E meditare”. Non c’è dubbio: Elisabetta Sciò ama il suo lavoro. Laureata in Scienze Naturali, diplomata in Bioetica, si occupa della tutela, conservazione e manutenzione del patrimonio vegetale nell’Orto Botanico di Roma, creato nel 1883, un tempo proprietà della famiglia nobile dei Corsini e in seguito ceduto allo Stato.
Ha una superficie di 12 ettari, situato nel cuore della capitale alle pendici del Gianicolo, dipende dal Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università di Roma La Sapienza. Passeggiando qui, tra bellezza e pace, troviamo il giardino giapponese con giochi d’acqua, laghetti e cascate; una collezione di bambù; una piccola valle dedicata alle felci; il giardino degli aromi; la serra tropicale. Ma c’è molto di più e la Sciò, con altri suoi colleghi, lo racconta con passione contagiosa ad adulti e bambini avvicinandoli alla linfa vitale di noi animali: “Tutelare il verde significa conservare il sostentamento degli esseri viventi. Le piante elaborano i principi attivi che sono nel terreno e noi rielaboriamo le stesse sostanze vitali nutrendoci di queste essenze”, spiega Sciò. Avrete sentito dire che mangiare la verdura a foglia verde ‘fa sangue’, no? Provate a mettere a confronto l’emoglobina presente nel plasma degli animali con la clorofilla, cioè il pigmento fotoassorbente delle piante. Entrambe molecole fondamentali per la biologia dei viventi, hanno una base ad anello tetrapirrolico molto simile, differiscono per l'atomo centrale, che per l’emoglobina è il ferro e per la clorofilla il magnesio. Quando Elisabetta Sciò lo racconta, una scintilla di memoria riaffiora: credo di averla saputa questa storia, ma dev’essersi smarrita in qualche sussidiario delle medie. Ecco, una visita a un orto botanico rianima la conoscenza, o stimola l’apprendimento se si è ancora bambini. “I più piccoli sono il pubblico ideale di luoghi come questo – racconta Sciò – il loro stupore è incoraggiante e sono i più veloci a cogliere il legame tra vita delle piante ed essenza della vita”.
Spesso si ragiona dell’importanza dei polmoni verdi in città, si parla di continuo del clima e di come cambia, si discute di sostenibilità ma, di fatto, ognuno di noi e per svariate ragioni non conosce davvero bene le ragioni per cui piante, fiori, foglie, erba siano così determinanti per la vita di tutti. Visitare l’orto botanico della propria città può aiutarci a toccare con mano perché, scienziati e studiosi, ripetono come un mantra che il presente-futuro passa dalla salvaguardia del patrimonio vegetale.
Persone come Elisabetta Sciò, nei numerosi orti botanici del mondo, svolgono un lavoro invisibile eppure preziosissimo: divulgano, studiano e ricercano per ricostruire in modo approfondito ecosistemi di ogni latitudine, permettendo a noi di passeggiare tra piante tropicali e ammirare fiori dai colori mai visti e profumi mai sentiti, ma al contempo contribuiscono a tutelare il patrimonio genetico della flora attraverso la conservazione dei semi delle specie rare o a rischio estinzione. Sì, perché qui la sorpresa non sono (solo) le piante, ma la Banca del Germoplasma. “Molti scienziati si stanno muovendo per salvare la biodiversità e migliorare le condizioni di vita dell’umanità in armonia con gli altri esseri viventi. La Banca del Germoplasma - spiega Sciò - è una delle tante azioni per preservare la biodiversità vegetale. I semi hanno un valore immenso. Innanzitutto la loro conservazione, sia delle specie autoctone sia non, mette al riparo quelle in estinzione per cause varie, prima fra tutte l’antropizzazione che nel tempo ha fatto sparire diverse specie. Nel Lazio, per esempio - prosegue Sciò - non si trova quasi più la Oenothera biennis il cui fiore sboccia al tramonto in estate, con pochi scatti, e vive un solo giorno”. Uno può dire: vabbè, fiore più fiore meno. La verità è che fiori e piante sono ancora oggi base per i farmaci che ci curano. Dai petali della Oenothera biennis, per esempio, si estraggono oli usati nei cosmetici per mantenere l'elasticità della pelle, il suo seme invece contiene percentuali elevate di omega-6 i cui benefici sono oggetti di studio scientifico.
La conservazione dei semi, però, è necessaria per almeno altre due ragioni. La prima: favorisce lo scambio in reti internazionali o nazionali come la RIBES di cui l’Orto Botanico di Roma è parte fondante. Significa che se in un’area geografica viene a mancare una certa pianta utile per l’equilibrio di quel territorio, si possono chiedere a una banca del circuito i semi per il ripopolamento, monitorato secondo i protocolli e le leggi vigenti. La seconda ragione riguarda il clima: poiché gli orti botanici hanno finalità scientifiche, lo scambio può avvenire a scopo di ricerca, per studiare la capacità di riproduzione dei semi. I dati ottenuti forniscono anche informazioni sui rischi e “sui possibili effetti che i cambiamenti climatici hanno sulla flora, permettendo di elaborare modelli predittivi sulla futura distribuzione geografica delle diverse specie”, come si legge nel sito dell’Orto Botanico di Roma.
“La nostra attività quotidiana a favore della ricerca parte dalla raccolta dei frutti, principalmente tra primavera ed estate ma anche in autunno e inverno, che puliamo per ottenere i semi, alcuni dei quali, detti recalcitranti come certe specie di acero, non si prestano alla conservazione né a 4 °C né a -20 °C, altri invece si possono conservare a lungo, da pochi mesi fino a vent’anni e per farlo serve prima asciugarli, disidratarli per poi ‘ibernarli’ in frigoriferi”, racconta ancora Sciò. Un lavoro paziente, certosino e infinito: la Banca del Germoplasma dell’Orto Botanico di Roma - coordinata dal prof. Giuseppe Fabrini - conta oltre 1300 accessioni (semi) suddivise in 133 famiglie, 580 generi e 936 specie. Didattica, ricerca, divulgazione: tutto gestito da una ventina di persone, inclusi gli inservienti.
In un Paese che ha grossi problemi ambientali gli orti botanici facilitano l’educazione e sono attrazione turistica, eppure non si assume personale nuovo da molti anni né si fanno investimenti. “Gli orti botanici in Italia - afferma Fabio Attorre neo direttore dell’Orto Botanico di Roma e docente di Conservazione della Biodiversità alla Sapienza -sono tradizionalmente collegati alle università per la ricerca in campo medico per la coltivazione delle piante medicinali e come luoghi di acclimatazione delle specie per poi poterle commercializzare. Oggi questo legame in parte penalizza la vitalità degli orti e il loro potenziale economico. Nel 2018 abbiamo avuto 40 mila visite per un incasso di 300 mila euro. Poco rispetto a modelli esteri come Berlino (500 mila visite), Edimburgo (800 mila) e Cape Town (un milione) con rispettivi introiti di uno, due, tre milioni di euro dove si fanno investimenti non solo per la ricerca. Servono, come sempre, soldi per rendere più attrattivo l’Orto con attività che portino sia visitatori sia lavoratori”.
E Attorre ha le idee chiare su che cosa fare nei prossimi tre anni di mandato: “Attività di servizio per il grande pubblico quindi bistrot, bookshop, vendita piante, eventi; incrementare l’educazione per scuole e non solo; interventi di conservazione delle specie in situ oltre che nelle banche. E poi coinvolgere i privati in attività specifiche. Abbiamo appena definito un accordo con il FAI per corsi di giardinaggio la domenica destinati ai loro soci. Con Slow Food abbiamo un progetto sui prodotti di montagna, con un evento all’Orto Botanico”. Quella del direttore Attorre, appena insediato, pare una corsa contro il tempo per far fronte alle carenze che un luogo meraviglioso come questo non merita: “Un posto così ha un potenziale che sollecita il mio imperativo morale - chiosa Attorre - perché può dare lavoro a molti. Io faccio ricerca in tutto il mondo, l’Orto è una buona connessione all’attività di ricerca, un effettivo collegamento tra la cultura scientifica e quella umanistica e, soprattutto, un potente strumento per creare e comunicare una nuova cultura ambientale”.