Vi ricordate quando l’uomo era senza scarpe? Appena nato, naturalmente, quando, ancora neonato, poteva stendere liberamente i piedini senza costrizioni. Oppure da primitivo, quando le scarpe non erano ancora state inventate e ciò lo rendeva capace di leggere la natura con la pianta dei piedi. O ancora, quando nasceva povero ed era obbligato a ferire i suoi talloni sui selciati delle sue stesse costruzioni.
Ma quante persone sono davvero consapevoli dell’importanza dei propri piedi? Essi sono la base sulla quale appoggia il corpo e sono responsabili della nostra postura. Sotto la pianta del piede ci sono ben 7.200 terminazioni nervose, 26 ossa e 150 legamenti, per questo sono una sede riflessogena straordinaria, con punti che corrispondono a tutti gli organi interni. Insomma, una perfetta opera d’ingegneria che sostiene il peso del corpo su una superficie ridotta e per di più in movimento.
È comprensibile, dunque, che l’uomo si sia ingegnato a creare una protezione per questa struttura da cui dipende l’equilibrio e il benessere dell’individuo. Sono così nate le scarpe, dalle forme più rudimentali a quelle più sofisticate, da quelle più aperte da usare nei climi caldi, a quelle più votate a proteggere da freddo e gelo, da quelle essenziali a quelle eleganti, raffinate e perfino sensuali. Dai sandali diffusi nell’antichità tra Greci, Romani ed Egiziani, a pantofole e sandali fatti con foglie di palma e papiro di Egiziani, Fenici ed Ebrei, fino a quelli allacciati con stringhe al piede degli Assiri, le mode hanno scovato per ogni epoca materiali e stili tra i più variegati. E così sono stati utilizzati pellami e stoffe, decorazioni e colori, sagome di tutte le specie, tacchi bassi, alti, altissimi e sottilissimi. Sono stati proprio gli italiani ad aver inventato i tacchi a spillo: nel 1953, a Vigevano, patria delle scarpe, per soddisfare l’esigenza della donna moderna di mettere in luce la propria femminilità. All’epoca i tacchi si facevano solo in legno, ma poiché quello a spillo era piuttosto aguzzo, gli abili artigiani di Vigevano s’inventarono la base in alluminio, che, essendo più resistente, avrebbe resistito meglio del legno alla rottura.
All’inizio del secolo scorso, infatti, il nostro Paese era protagonista tra i produttori di scarpe, soprattutto per la qualità dei materiali e la capacità di creare prodotti originali e alla moda. Il primo calzaturificio italiano nacque nel 1866, sempre a Vigevano, conducendo la città in circa 40 anni ad avere 10.000 lavoratori nel settore calzaturiero. Negli Anni Sessanta, le aziende diventarono un migliaio, gli operai oltre 27.000 e le scarpe prodotte circa 27 milioni. Insomma, a Vigevano, il lavoro non mancava nemmeno alle donne, anzi il settore calzaturiero si reggeva proprio sulla sapienza delle operaie, esperte nelle manovre necessarie a creare scarpe di qualità.
Nello Speciale di Rai Scuola 900 paia al giorno di Pietro De Gennaro, (produttore esecutivo Rosanna Stirone, curatore Luigi Bertolo), per la regia di Alessandra Peralta, viene narrato il miracolo industriale di Vigevano e il suo tracollo, attraverso gli insegnanti e gli allievi dell’Istituto Tecnico Luigi Casale di Vigevano. La Peralta utilizza poetiche immagini di repertorio per mostrare quel mondo, il lavoro nelle fabbriche e i primi scioperi per scongiurare le morti bianche causate dal benzolo, una sostanza presente nel collante usato nelle calzature.
Quando negli anni ’30, la crisi del ’29, mise in ginocchio l’Italia, a Vigevano, dove si producevano già calzature in cuoio, diminuì drasticamente la vendita di scarpe di qualità. Nacque così l’idea, grazie all’invenzione delle macchine per vulcanizzare la gomma, di produrre in massa calzature in gomma. Per opera di tre imprenditori vigevanesi, Pietro Bertolini (1887-1954), Pietro Magnoni (1872-1941) e Carlo Rinaldo Masseroni (1891-1957), quindi, fu fondata l’Ursus Gomma che operò nel settore delle calzature in gomma e della produzione di articoli tecnici in gomma. Dalle 15 mila paia di scarpe in gomma prodotte nel 1929 si giunse così agli oltre 6 milioni del 1935. Nel passaggio dalla produzione di scarpe in cuoio - che per prodotti di altissima qualità come quelli citati nel documentario vengono realizzate attraverso 250/350 operazioni manuali diverse - alla produzione industriale di scarpe in gomma è stata fondamentale la Ursus Gomma, che ha connotato per anni la vita dei vigevanesi. Il tran-tran quotidiano della cittadina era scandito, infatti, dal suono della sirena che stabiliva con precisione e tassatività gli ingressi e le uscite in fabbrica. E quei suoni accompagnavano tutti gli abitanti di Vigevano, operai, operaie, donne, uomini, vecchi e bambini. Erano un’istituzione e persino un bisogno, perché rappresentavano la certezza del lavoro di una società tutta impegnata a far ‘ticchettare i martelletti’ per costruire un paio di scarpe dopo l’altro. Nel filmato, il suono dei martelletti attraversa tutte le strade, ogni cantone, le pareti domestiche e anche i sottoscala ed è un suono che appartiene alla città e a tutti i suoi abitanti.
Nel documentario di De Gennaro, questo miracolo industriale è raccontato citando anche il capolavoro di Elio Petri, Il Maestro di Vigevano - tratto dalla trilogia di Lucio Mastronardi - dove il tema centrale è il lavoro e la sua evoluzione per effetto del ‘boom’ delle calzature. Il riferimento al film non poteva mancare, perché fu l’occasione che Petri utilizzò per sviscerare, attraverso il personaggio del maestro acculturato - interpretato da un Alberto Sordi in piena forma - le dinamiche sociali, economiche e culturali che investirono Vigevano dello scettro di protagonista del Paese nella produzione di calzature. Nel 1963, lo stesso Petri dichiarò: “Del romanzo di Mastronardi sto portando sullo schermo non tanto l'ambiente scolastico (che mi pare un elemento complementare della stesura del racconto) quanto il clima greve del miracolo economico sostituito talvolta (...) da uno sfrenato e avventuroso affarismo e da incerte situazioni economiche”.
Il regista fu capace, infatti, di fare una radiografia di quel mondo e di evidenziare che la corsa al denaro facile faceva perdere di vista tutto il resto, come successe al povero maestro Mombelli suo malgrado. Nel 1962, Giorgio Bocca, si sentì autorizzato a scrivere di Vigevano: “Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste. Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una”. Infatti, a Vigevano, faceva difetto la cultura, il ruolo formativo del maestro passava in secondo piano rispetto a quello dell’imprenditore sagace e capace di guadagnare in modo molto più veloce.
Oggi la situazione è mutata: su circa 64.000 abitanti, sono rimasti pochi operai, sono andati in cassa integrazione uno dopo l’altro, spazzati via dal successo delle scarpe cinesi. Restano solo 15 aziende e non arrivano a 800 addetti. La crisi ha annientato quasi tutti i milionari calzaturieri e, quelli rimasti, hanno resistito al disfacimento del settore, talvolta rimettendoci il Patrimonio. Vigevano ha, così, perso anche la propria identità e gli operai sono stati sostituiti da un’infinita schiera di lavoratori edili impegnati a costruire case che non si vendono da anni. I vigevanesi hanno perduto i loro passi e le orme dei grandi produttori cinesi hanno invaso, quindi, anche i nostri mercati. Eppure, sarebbe bastata una maggiore attenzione al piede, alla sua funzione, alle sue peculiarità, ai suoi bisogni.
Da millenni le culture orientali - cinesi e giapponesi - hanno messo in primo piano il benessere del piede, studiando le sue connessioni con gli altri organi e creando trattamenti per riequilibrare l’organismo. E le scarpe? Perché si investe tanto nei trattamenti, ma si risparmia sulle scarpe che si calzano ai piedi quasi continuamente? E sono stati proprio i cinesi a portare nei mercati scarpe a basso costo e di qualità scadente. Non è un controsenso? Proprio loro, i primi predicatori del benessere del piede, i grandi esperti di riflessologia plantare, che sanno perfettamente che se sta bene il piede tutto il corpo ne beneficia, e, allo stesso modo, se il piede soffre, questa sofferenza si ripercuote su tutto l’organismo.
Eppure oggi, tutti noi, ci siamo dimenticati della funzione fondamentale delle scarpe e anziché indossarle comode e salutari per il nostro equilibrio, le compriamo alla moda, belle, strette e slanciate, con tacchi instabili e materiali deformabili, e questo indipendentemente dai cinesi. Il mercato italiano di qualità tiene solo per pochi consumatori danarosi che si possono permettere i grandi marchi o per quelli che investono sui piedi tutte le loro risorse, trascurando le mode o cercando scarpe gradevoli e contemporaneamente anche comode: meno male che almeno il mercato estero continua ad essere attratto dalla moda italiana!
Insomma, le scarpe hanno dato lavoro a tanti, hanno creato una cultura e un’industria, ma ci hanno fatto perdere il nostro cammino, i nostri passi e la qualità della vita. A Vigevano hanno portato ricchezza, creato accumulo di capitali, favorito fortuna e benessere, ma oggi i pochi imprenditori rimasti hanno fatto intelligentemente ricorso alla diversificazione, rivolgendosi sia al mercato della scarpa, ma anche a quello dei tessuti e agli articoli tecnici destinati all'abbigliamento, all'insonorizzazione, al packaging e alle pellicole per la balistica. Sopravvive solo la crema dei calzaturieri che esporta il lusso e l'altissima gamma, la maggior parte della produzione, infatti, vola all'estero.
Per Vigevano, riuscire a unire qualità e giusto prezzo nel mercato domestico e approfittare delle piazze internazionali amanti dell’originalità degli stilisti italiani, sarà la sfida del distretto nei prossimi anni. Tutti noi dovremmo, invece, fare più attenzione ai nostri piedi, non sottoporli a fastidiose costrizioni, ma metterli sempre dentro una morbida e comoda protezione. E se poi potessimo evitare le scarpe, camminare un po’ scalzi dentro casa, su un prato, sulla spiaggia, ci sentiremo di certo più liberi. Basta guardare cosa fanno i bambini appena possono… Si tolgono immediatamente le scarpe e solo dopo giocano felici e contenti...