Il Denim, il tessuto più famoso e più utilizzato al mondo, continua a conquistarci indipendentemente dall’età che abbiamo, dal lavoro che facciamo o più semplicemente da chi siamo.
Gli stilisti sfogano la loro creatività creando i più svariati outfit combinandolo ad esempio con altri tessuti ed accessori come cotone, pizzo, lana, seta, raso e molti altri. Può essere indossato in ogni occasione e non passa mai di moda, anzi, si evolve continuamente restando sempre al passo con i tempi. È un tessuto versatile, comodo e molto pratico anche per la facile cura che richiede. Chiunque se lo può permettere e da intere generazioni soddisfa ogni tipologia di cliente, dal più basico al più modaiolo e sofisticato.
Ed è un vero piacere poterne parlare con l’esperto veronese Fabio Adami Dalla Val, Show Manager di Denim Première Vision, la fiera del denim che sarà possibile visitare all’Arena Berlin il 31 maggio ed il 1 giugno prossimi e che ospiterà famosi marchi come Isko, Berto, Bossa, Pure Denim, Calik, Kurabo, Kuroki, Advance Denim, Fashion Art, Chottani, Crafil, Cotone Organico di Sicilia e molti altri.
Iniziamo parlando del puro prodotto e spieghiamo ai nostri lettori in cosa consiste la differenza tra denim e jeans, due termini usati spesso come sinonimi, ma che in realtà significano, almeno in parte, due cose diverse
Proprio così! Sono due termini diversi che con il tempo e nell’uso comune hanno acquisito un utilizzo simile pur non essendo sinonimi.
Con la parola denim ci si riferisce ad un tessuto con tessitura diagonale che lo rende particolarmente resistente. La trama è bianca e l’ordito blu. In origine si utilizzavano filati con trama lino e ordito cotone, mentre oggi ci sono due grandi distinzioni tra il denim 100% in cotone e il denim di cotone misto ad altre fibre per lo più sintetiche funzionali a creare un tessuto elasticizzato.
Nel tempo tessuti con la stessa costruzione ma colorati, neri o bianchi si sono fregiati del termine denim che appartiene tuttavia al tessuto originale.
Il termine jeans, o meglio blue jeans, invece identifica in particolare il pantalone a cinque tasche realizzato in denim che nella versione originale ha alcune caratteristiche come i rivetti di rinforzo introdotti nel 1873 da Jacob Davis e Levi Strauss. Per la realizzazione del jeans si possono utilizzare anche le varianti di tessuto citate sopra.
Spieghiamo anche l’etimologia delle parole denim e jeans
La parola "denim" ha origini francesi e deriva dal termine "serge de Nîmes", che significa "tessuto di Nîmes". Nîmes era una città francese famosa per la produzione di tessuti di cotone robusti e resistenti che furono esportati in tutto il mondo. Nel corso del tempo il termine "serge de Nîmes" si trasformò in "denim".
La parola "jeans", d'altra parte, ha origini americane e risale al XIX secolo. Si dice che il termine sia stato coniato a seguito di una storpiatura del nome della città di Genova, in Italia, da dove partivano i tessuti per l’America, ma anche dove i marinai di Genova indossavano pantaloni in tessuto di cotone robusto e resistente che venivano anche esportati. Inizialmente i pantaloni erano chiamati "genes" o "gênes", ma poi la parola evolse in "jeans".
In sintesi, la parola "denim" ha origini francesi e si riferisce al tessuto di cotone resistente usato per i jeans, mentre la parola "jeans" ha origini americane e si riferisce specificamente ai pantaloni realizzati in denim. Ma la storia ha origini più antiche e forse qualcosa ancora da scoprire c’è. Ci sono due esempi inerenti le origini del jeans che credo valga la pena citare. I Teli della Passione, oggi visibili al museo diocesano di Genova, e il jeans di Garibaldi.
I Teli della Passione sono 14 teli databili tra il 1538 e la fine del XVII secolo in fibra di lino tinta indaco dipinti a biacca e si ispirano alle incisioni di Albrecht Dürer raffiguranti la Piccola Passione e pubblicate nel 1508-1512. Senza dubbio sono gli antenati delle tele di Genova o Jeans. Il jeans più vecchio attualmente esistente che io conosca è quello utilizzato da Garibaldi nel 1860 durante lo sbarco a Marsala e oggi esposto al Museo Centrale del Risorgimento a Roma in una bacheca del Vittoriano. Insomma l’Italia unita è fondata sui jeans!
Qual è secondo te l’aspetto che caratterizza maggiormente il denim, intendo quello che lo rende così speciale come tessuto?
Senza dubbio la sua storia, che si autoalimenta giorno dopo giorno, attraverso momenti e figure iconiche. Il fatto che ne stiamo parlando è la più chiara espressione di questo concetto. Tra gli aspetti pratici spiccano invece la sua resistenza, la sua durata, la sua flessibilità e l’essere senza stagionalità. Il denim nella sua forma originaria è un tessuto robusto e resistente all’usura grazie alla sua trama diagonale e alla tipologia di filatura, senza trascurare il tipo di tintura indaco che lo rende mutevole e affascinante.
Queste caratteristiche gli hanno permesso di attraversare il tempo e vestire mode e movimenti. Il suo aspetto iconico si riconduce sicuramente all’utilizzo come abito da lavoro, o come tuttora nel mondo western, ma anche alla sua aura di ribellione e controcultura spesso trasformata in cultura. Pur essendo elemento di uniformità è al tempo stesso individuale e sfidante delle convenzioni sociali. E’ stato poi capace di inventarsi un alto contenuto moda grazie alla possibilità di essere sbiancato, invecchiato, decolorato e colorato, stampato e laserato. Tutto questo per renderlo unico e “ognuno diverso”. Due jeans possono essere simili al momento dell’acquisto, ma saranno per sempre diversi dal primo momento in cui sono indossati.
Come si riconosce un denim di qualità?
Temo sia la domanda più difficile che potessi farmi soprattutto se dobbiamo dare dei parametri utili a tutti. Personalmente ne ascolto il suo suono, come mi hanno insegnato più di vent’anni fa, ma temo che questo sia poco rilevante e quindi cerchiamo di trovare degli spunti utili.
Un elemento di garanzia è di certo quello di conoscerne la provenienza, quindi il produttore. I produttori che nel mondo sono in grado di produrre grandi denim non sono poi molti e sono in Giappone, Italia, Turchia con qualche presenza in Marocco, Brasile, Spagna e Pakistan. I materiali con cui è costruito sono fondamentali ed io preferisco sicuramente tessuti costruiti con fibre naturali, con il cotone come elemento principale. Il colore di un denim non lavato deve essere di un blu intenso e uniforme e deve resistere bene ai lavaggi degradando nel tempo con regolarità. Deve essere consistente ma morbido al tempo stesso.
Come si è evoluto il mondo del denim negli ultimi 10 anni?
Per parlare di “evoluzione” dobbiamo andare indietro di qualche anno perché negli ultimi dieci le maggiori “trasformazioni” si sono avute nei materiali di cui il denim è composto e nei processi di finissaggio, ovvero nei macchinari e nei prodotti chimici con cui i jeans vengono “trasformati”.
Esempi rilevanti sono le nuove tipologie di tintura del filo, come ad esempio la tintura ad ultrasuoni di Sonovia che promette di rivoluzionare le produzioni con un forte impatto ambientale e ad oggi sposata appieno da Pure Denim e Kering, o gli ultimi sviluppi per quanto riguarda l’utilizzo di impianti a bassissimo impatto. Importante è scoprire e riscoprire nuove fibre che permetteranno di limitare l’utilizzo di cotone senza snaturare l’identità del prodotto o abbassandone la qualità.
Credo sia difficile prevedere i futuri scenari ma credo anche che la strada sia quella che porterà a produrre meglio con un’attenzione crescente al prodotto. Va anche sottolineato che la storia e l’evoluzione del denim moderno appartengono senza ombra di dubbio all’Italia così come le sue origini. È, infatti, qui che il denim ha acquisito un forte contenuto moda grazie a stilisti come Fiorucci che lo hanno trasformato da abito da lavoro in capo da passerella.
E’ sempre in Italia che si trovano i fornitori di prodotti chimici che hanno reso possibili tutte le lavorazioni oggi disponibili ed è proprio nel nostro Paese che si trova tuttora la maggior parte dei produttori di macchinari per la lavorazione del denim o almeno quasi tutti quelli in grado di innovare e creare. In Italia hanno lavorato, ed in alcuni casi ancora lavorano, i grandi Maestri del denim come Adriano Goldschmied, François Girbaud, Massimo Osti e molti altri, oltre ad essere tuttora presenti le aziende che hanno fatto la storia del denim come Martelli, ITAC, Elleti, ecc.
Che differenza c’è tra il denim italiano e quello giapponese, che sembra essere anch’esso molto apprezzato, e qual è dei due quello più pregiato?
Il denim italiano e quello giapponese sono legati da un unico DNA che è l’artigianalità. Entrambi non sono nati come grandi industrie, ma come piccole realtà che si sono sviluppate nel tempo. Laddove il denim giapponese è rimasto sempre simile a se stesso con tutta la sua autenticità data dai filati, dalla ricerca del dettaglio e da una tintura indaco senza eguali, il denim italiano ha accentuato il suo lato moda reinventandosi e sviluppando un forte messaggio di sostenibilità. Messaggio questo poco considerato nel mondo giapponese, non perché manchi l’approccio alla sostenibilità che è innato nella loro cultura, bensì perché l’attenzione è sul prodotto e la sostenibilità è un prerequisito.
Quindi, alla base c’è un fattore culturale, ma punti di partenza comuni, anche se i produttori giapponesi si sono ispirati al jeans americano e i produttori italiani in molti casi al denim giapponese. Purtroppo sia in Giappone che in Italia le aziende produttrici di denim si contano oggi sulle dita di una mano: Kuroki, Kayhara, Kurabo, Nihon Menpu in Giappone e Candiani, Berto, Pure Denim e poco altro in Italia. E’ difficile definire una scala dei valori per quanto riguarda il pregio dei tessuti. Molto dipende dal produttore stesso oltre che dall’uso finale.
Quanto incidono i vari tipi di lavaggi sul risultato finale e che ruolo stanno ricoprendo al momento le lavanderie?
Dopo aver confezionato il capo, i lavaggi, ovvero tutti quei trattamenti che vengono eseguiti in strutture specializzate (lavanderie), assumono ruoli molto diversi nel tempo e nei confronti dei vari tipi di prodotto.
Il jeans più apprezzato dai cultori del denim non ha subito alcun trattamento dopo essere stato confezionato e il tessuto è esattamente come esce dalla produzione. In questo caso chi lo acquista ne può apprezzare al massimo la struttura e soprattutto la sua trasformazione nel tempo dove assume ogni giorno di più le caratteristiche di chi lo indossa. Infatti, essendo l’indaco una tintura che non penetra a fondo nel filo di cotone ed avendo quindi solidità limitate, tende a “staccarsi” dal tessuto stesso lavaggio dopo lavaggio, uso dopo uso. Ecco che nel tempo appaiono i classici elementi di usura che poi sono una delle caratteristiche del denim.
Le lavanderie hanno sempre cercato di replicare questo invecchiamento dato dall’uso del capo jeans sin dalla scoperta del cosiddetto “stone wash” (lavaggio assieme alla pietra pomice) e della sabbiatura o, in altri casi, hanno cercato di dare al denim un contenuto moda. Anche in questo caso le grandi rivoluzioni sono avvenute tutte in Italia.
Il periodo storico di maggior impatto, evoluzione ed entusiasmo per quello che sono stati i lavaggi, va dalla fine degli anni ‘80 fino ai primi anni 2000. Dopo questo periodo di grande fermento e rivoluzione si è passati ad una ricerca tuttora in essere per limitare l’impatto del lavaggio sull’ecosistema e sui lavoratori oltre che ad abbassare i costi di produzione a discapito dello sviluppo del prodotto. In questo momento il ruolo della lavanderia, fatta eccezione di pochi casi, è passato in secondo piano essendo diminuita l’attenzione al prodotto e al suo contenuto moda e di ricerca stilistica.
Personalmente ritengo che, fatto salvo il jeans non lavato, il lavaggio abbia un ruolo fondamentale. Andrebbe riscoperto e valorizzato perché ad oggi non c’è più molta differenza tra le varie lavanderie nel mondo.
Si sente sempre più parlare di “sostenibilità” nella moda, ma cosa si intende veramente con questo termine? Che cosa significa secondo te “essere green”?
Credo che sia fondamentale partire da un approccio scientifico ed olistico quando si parla di “sostenibilità” e il primo passo dovrebbe essere ripetere come un mantra la definizione di sostenibilità universalmente riconosciuta e coniata dalla commissione Brundtland nel 1987 e che non riguarda solo la moda:
“Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Già da queste poche parole è evidente che con il termine sostenibilità non si parla di ambiente in assoluto, ma piuttosto ci si riferisce al benessere del pianeta e degli esseri che in esso vivono mettendo in risalto un principio etico di fondo.
La moda, come qualsiasi altro elemento che è parte della nostra evoluzione come esseri umani, ha subito un’accelerazione nell’ultimo secolo che non ha dato tempo alle tecnologie produttive di svilupparsi abbastanza in fretta per rispettare il concetto espresso dalla definizione stessa. In questo preciso momento storico è sempre più evidente la necessità di incrementare le competenze produttive e tutte le “best practice” atte a ridurre l’impatto delle produzioni.
Questo richiede importanti sforzi ed investimenti che sono possibili solo grazie alla collaborazione tra diverse entità tralasciando personalismi tuttora troppo presenti e molto lontani dal concetto stesso di sostenibilità. Partendo da questi pochi concetti di base l’approccio alla sostenibilità per avere un effetto globale deve diventare parte intima della coscienza comune di ogni singolo essere umano e della società stessa. Credo ci vorrà ancora qualche generazione, ma è il momento di accelerare la spinta verso questa coscienza comune partendo dai singoli comportamenti di ogni giorno sia che si parli di rispetto dell’ambiente che di qualsiasi essere vivente.
Il denim sostenibile è più “poesia” o più “realtà”?
Senza scomodare troppo Aristotele la poesia può essere considerata come imitazione della realtà e il denim più di ogni altro prodotto si porta dietro storie vere e di immaginazione. Parlando di sostenibilità penso sia la stessa cosa.
Per il suo essere globalmente riconoscibile e brand iconico il denim negli ultimi anni è stato portato ad esempio negativo per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente. Questo ha forzato i produttori molto più dei brand stessi a “migliorare” costantemente i processi e gli “ingredienti” di cui il denim è composto sia che si parli di materia prima che di prodotti atti al suo trattamento. Inoltre i processi pur restando simili al passato sono cambiati molto grazie all’evoluzione tecnologica. Quindi è una realtà in continua evoluzione qualche volta raccontata con un po' di poesia.
Non dobbiamo però soffermarci troppo a sognare perché la strada è lunga e senza una fine.
Perché per l’edizione di fine maggio di Denim PV come location avete scelto proprio l’Arena di Berlino?
Quando nel 2018 ho iniziato la ricerca di una location coerente con la nostra visione di fiera ho avuto modo di visitare molti spazi a Berlino, alcuni con una forte personalità e un’identità in linea con il concetto e la filosofia del denim.
Sono poi arrivato all’Arena, una struttura nel quartiere di Treptow che è anche uno dei più interessanti per esplorare la scena culturale della città. La sua struttura principale ad arcata unica costruita nel 1927 come capannone per autobus mi ha fatto immaginare fin da subito la possibilità di unire tutte le comunità del denim in un unico spazio senza distanze e distinzioni, enfatizzando il concetto di democraticità che appartiene più di ogni altro al denim. Questa devo dire che è stata anche una delle peculiarità più apprezzate dai nostri partner. Mi sono anche innamorato della grande luminosità dello spazio interno e degli spazi esterni che si affacciano sul fiume Sprea, grazie ad una spiaggia in sabbia e ad una piscina immersa nel fiume. Arena Berlin è una sintesi unica di architettura industriale e moderno spazio eventi dove ci si può sentire sin da subito a proprio agio.
Quali sono le novità del salone e a quale pubblico puntate?
Il prossimo salone continua la strada tracciata nel 2018 che pone al centro il denim contemporaneo e la sua evoluzione senza perdere di vista le radici che sono alla base della storia del denim stesso.
Sarà molto forte la presenza di prodotto artigianale, di ricerca e sartoriale, correttamente bilanciato con le produzioni più importanti a livello mondiale.
I pochi e selezionati espositori provenienti prevalentemente da Italia, Giappone, Turchia, Pakistan, Bangladesh ed Egitto daranno la possibilità di scoprire in anteprima assoluta i tessuti che animeranno le collezioni della stagione AI 24/25.
Un secondo elemento fondamentale del salone è la conferma e l’evoluzione del PV Denim Fashion District che vedrà la partecipazione di brand di primissimo livello come Ksenia Schnaider, Michiko Koshino, con cui presenteremo una selezione dei pezzi più iconici della sua storia, Daily Blu by Adriano Goldschmied, Denzilpatrick, Regenes e molti altri. La loro presenza ci permette di portare in fiera un prodotto nuovo, di tendenza, e di creare quel giusto mix tra produttori di materiali e creatori di prodotto finito.
Vantiamo poi collaborazioni eccezionali come quella con Stefano Chiassai che attraverso un’imponente installazione ci presenterà dei capi iconici su cui poi è nato il libro Blue Tailoring. E ci saranno molte altre belle novità.
Puntiamo ad un pubblico trasversale e a tutta la filiera del denim, ma soprattutto ai marchi della fascia premium e luxury che appartengono al nostro DNA così come a quello dei nostri espositori. I visitatori potranno trovare nel nostro salone una proposta unica nel suo genere.
La capacità di creare contenuti innovativi, oltre al fatto di essere parte di Première Vision, è un elemento di unicità che contraddistingue Denim PV nel panorama fieristico internazionale e ci permette di attirare un vasto pubblico interessato ad approfondire tutte le tematiche che ruotano attorno all’ecosistema del denim dalla sostenibilità, all’innovazione ed alle ultime novità in tema di legislazione europea.
Infine, non vorrei trascurare l’evento che si svolgerà al termine della prima giornata sulle rive dello Sprea in cui offriremo una selezione di cibo artigianale marchigiano e che vedrà come ospiti d’onore in consolle Alessio Berto e Chris Sullivan, ovvero due icone della scena musicale internazionale.