Il verificarsi di nuove condizioni, il proporsi di nuovi problemi, comportano, colla necessità di nuove soluzioni, nuovi metodi, nuove misure: non ci si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano: la trasformazione dev’essere integrale.

( Piero Manzoni, “Libera Dimensione”)

Maniera è sinonimo di modo che è la sostanza della moda ma la maniera è anche il processo dell’opera d’arte, essa non è esente da forma: è forma, attitudine, abitudine.

Le forme ci informano attraverso il trasferimento del contenuto e del loro significato.

Questo accade tra vettori che dialogano nell’espressione artistica. Il “Vettore” è il formale che trasporta un principio.

Il XX secolo è il luogo temporale dove la moda è divenuta “Vettore” dell’arte e sua addizione.

Pionieri quali Sonia Delaunay (Cubismo Orfico), Elsa Schiaparelli (Surrealismo/Dadaismo), Thayaht (Futurismo), Yves Saint Laurent (Neoplasticismo ma anche Pop Art), hanno posto la parola fine alla diatriba se la moda possa, o meno, essere arte attraverso le loro creazioni sartoriali.

La coscienza di questa avvenuta trasformazione ha prodotto un’inedita dialettica tra i piani d’appoggio della creatività legata al vestire e l’immaginazione legata alle esperienze artistiche e alle acquisizioni qualitative in esse tracciate. L’abito si è così discostato dalla mera funzione pratica e edonistica, in favore di uno spettro comunicativo più ampio.

Il binomio moda/arte non è più stato solo collezionismo ma è entrato in una progettualità convergente, di carattere espressivo, dando vita ad opere di grande fruizione emotiva che ne hanno modificato il DNA. Oggi si lavora per tracciare la mappa dei vettori sartoriali, di significato, tra quelli che operano la crasi tra poesia e funzione: ossia per comprendere chi riesce al meglio a prestare servizio nelle file dell’arte, sul campo di battaglia dello “Spirito del Tempo".

In tale ambito le collaborazioni creative tra gli artisti e i creatori di moda sono cresciute al punto da essere una palestra relazionale tra due discipline sempre più coincidenti che dilatano il loro valore comunicativo e lo mettono in assonometria con “le correnti gravitazionali” della coscienza umana, fuori dalle gallerie e dalle istituzioni museali, per esserci nella quotidianità della rete sociale e favorire il messaggio.

Esempio di rilievo di una gestualità endemica all’arte, divenuta oggi pandemica nella moda, è la firma. Essa, se non contraffatta, determina l’autenticità del soggetto e la legittima proprietà intellettuale.

Fino al XVIII secolo il sarto non siglava le sue creazioni. Il concetto di etichetta, dimostrativa di chi aveva creato un abito, non esisteva come principio identificativo della personalità. Il fenomeno ebbe la sua tardiva nascita in Francia, tra Rose Bertin (seconda metà del ‘700) e Charles Frederick Worth (metà ‘800).

Nell’arte questo modus operandi è invece attivo da tempo immemore ed è un fattore determinante della sua storia.

Sommo esempio di riflessione sulla firma viene dall’artista Piero Manzoni. Esso siglava, di suo pugno, diversi soggetti, facendo coincidere l’opera con l’operazione grafico-nominale: soggetti di varia estrazione (umani e affini), per esprimere il senso dell’essere artista battezzante in nome dell’arte e germinante dell’arte stessa nel corpo umano e suoi derivati, andando ben oltre l’esecuzione per entrare nel gesto, nell’impressione, nel tocco.

A questo tocco si connette l’interpretazione dell’opera manzoniana nel lavoro sartoriale realizzato da Maria Calderara per l’autunno/inverno 2024. Maria si è prodotta nell’operare la transizione delle sue emozioni in quelle dell’artista e ha donato la contestualizzazione dell’abito al gesto e al principio creativo tracciato dal “Soncinese”.

La sua formazione come architetto e la sua innata propensione all’artigianalità e alla manualità, unita alle scelte di soggetti artistici di cui si circonda (un collezionismo che è sfociato in vere e proprie collaborazioni professionali), l’hanno posta nell’orbita della Fondazione Manzoni, in uno stretto confronto sulla produzione dell’autore e su come potenzialmente possa essere omaggiato in una collezione di abiti e accessori.

Il “Gesto Manzoniano” è nel pensiero d’artista e risiede in esso, nella sua riconducibilità al ruolo che non è tale per derivazione dinastica ma qualitativa. Il corpo dell’opera è nella mente dell’autore che la definisce e come conseguenza l’opera esiste, materializzabile, nella inedita selezione di soggetti e tracce compositive che “il nostro” esporta nell’universo artistico. Calderara decide così di plani metrizzare ed incorniciare tutto questo donandogli una nuova spinta, una nuova espressione e presenza corporea.

Partendo dal presupposto che le rivelazioni o i segreti dell’arte vanno, per loro natura, “a ritroso nel futuro”, Calderara sceglie e porziona la storia creativa di Manzoni per alcuni aspetti che risultano emblematici del suo operare e a lei particolarmente affini e funzionali al suo universo creativo.

I corpi siglati da Manzoni, le parti di cui si rende battesimale, si addizionano allo stile di Maria e divengono unicum (Impronta) o ossessione (Michette) da ricercare nel dialogo tra segni e simboli, moduli materici, per formare la mossa dell’agire artistico e la sua conseguente risultante anche in questa loro nuova “Veste”: oltre la concretezza del senso e per sua stessa ammissione.

Il suo essere coscientemente artista, fa di Manzoni “Zeitgeist” autoconferito: processo di emanazione di valore su quanto da lui intercettato e toccato.

Maria fa sì che questo accadimento sembri avvenire anche attraverso gli abiti.

L’opera di Piero Manzoni ha contribuito all’apertura degli schemi ideativi appartenenti alla creatività. Ha frantumato gli orizzonti dell’agire, ha penetrato l’abitudine e la fatta deflagrare. La maniera storicizzata dell’espressione poetica era, fino a quel momento, tesa a definire, colmare per dichiarare, riducendo il valore dell’essenziale che è l’anima dell’artista. In Manzoni l’azione è il senso ultimo racchiuso nella qualità di chi la esprime e arte primaria nella gerarchia dei sentimenti.

Manzoni libera l’opera dal ruolo di contenitore attraverso il moto dell’autore. L’operazione di Calderara è speculare a tale sentimento: l’abito diviene opera e l’opera diviene abito in un gioco alla “Collezione” che diviene emblematico dell’agire per amore artistico, per possedere un gesto che è messaggio oltre il possesso: per chiunque, su chiunque, in chiunque.

Per questo io non riesco a capire i pittori che, pur dicendosi interessati ai problemi moderni, si pongono a tutt’oggi di fronte al quadro come se questo fosse una superficie da riempire di colori e di forme, secondo un gusto più o meno apprezzabile, più o meno orecchiato. Tracciano un segno, indietreggiano, guardano il loro operato inclinando il capo e socchiudendo un occhio, poi balzano di nuovo avanti, aggiungono un altro segno, un altro colore della tavolozza, e continuano in questa ginnastica non hanno riempito il quadro, coperta la tela: il quadro è finito: una superficie d’illimitate possibilità è ora ridotta ad una specie di recipiente in cui sono forzati e compressi colori innaturali, significati artificiali. Perché invece non vuotare questo recipiente? Perché non liberare questa superficie? Perché non cercare di scoprire il significato illimitato di uno spazio totale, di una luce pura ed assoluta?

( Piero Manzoni, “Libera Dimensione”)

Nella partitura dei vettori di significato dell’arte possiamo oggi metterci l’occhio e la mano di Maria Calderara che della sua moda ha fatto la sua arte. Il suo è un operato dall’impasto curatoriale e digitativo, teatrale della sapidità di Robert Wilson, lieve, tattile e coreografico che ben si fonde con le visioni manzoniane ma anche con il principio architettonico della scena che da contesto e struttura, ritma l’occhio e ne potenzia l’impatto “sonoro” insito nelle trame e nelle giustapposizioni materiche dei modellati.

Il suo tessile è lavoro d’intonaco per l’affresco da tracciare per quell’unica ossessione che vive di tonalità assolute, sia nella negazione cromatica che nella sua affermazione monocroma: valore suprematista della luce che caratterizza lo stile Calderara. Opalescenza o iridescenza sono conduttori paravento: elementi a contrasto da giustapporre o da ingerire, una quinta da indagare per la scena dell’arte e dell’agire artistico che definisce i profili di ciò che da bidimensionale si stacca per raggiungerti, sfiorarti, toccarti in una sorprendente terza dimensione… (L’impronta, le Michette…Il vello…) Tutto si muove e può avere vita autonoma oltre il corpo umano e attraverso di esso.

Dialogo per coprire le distanze: Calderara-Manzoni e ritorno.

La tua visione del Manzoni tra “Vocazione” e “Pro-Vocazione”.

Maria Calderara: La provocazione è spesso nello sguardo più ancora che nell'intenzione. Lo stesso gesto risuona in modo diverso rispetto alla comunità di riferimento ed al contesto sociale in cui viene sprigionato. L'arte, così come la moda, vede in alcuni casi provocazioni inutili esaurirsi in tempi brevissimi. Manzoni ne è stato un maestro, la provocazione è solo la superficie del ragionamento che è profondo e duraturo, in grado di rinnovarsi negli anni e negli sguardi.

La vocazione la lascerei alle sfere più spirituali, di cui non sono esperta!

In che modo è avvenuta la sintesi tra l’emozione dello stile Calderara con quello manzoniano?

Cercare un bilanciamento è stato un esercizio complesso, non volevo un lavoro schiacciato sulla citazione, per cui ho lavorato sugli aspetti sensoriali: toccare alcuni materiali, indossare alcune icone, sentirsi parte attiva di una riflessione ancora viva ed attuale era per me la cosa importante. Spero che questa collezione venga intesa come un tributo del mio amore per il lavoro di Piero Manzoni ed allo stesso tempo come una possibilità alternativa di vivere alcuni aspetti della sua ricercatezza indossandola.

La stagione che vai a vestire in quali materiali e cromie la traduci? In sintesi: materia, struttura, colore... Es. Tessuto e metallo, cotone e sintetico, cromie sature e cromie iridescenti, acromie...

La ricerca dei materiali è stata uno dei momenti più stimolanti della nascita di questa collezione.

Il taffettà tessuto con un sottile filo d’acciaio si trasforma in materia dall’aspetto stropicciato e malleabile. Lo si può modellare a piacimento dandogli delle forme inaspettate, lo trovo molto divertente.

Poi un cotone, una tela paracadute croccante e sostenuta che si è prestata come ottima base per le impronte stampate a mano in modo che ognuna sia unica, ripetendo quel gesto con cui Manzoni imprimeva la sua impronta sulle uova.

La georgette di seta strappata e ordita in modo manuale per creare un drappeggio.

Il Peluche, che ho tagliato in riquadri e attaccato con 3 bottoni automatici ad una camicia, un abito e una gonna con l’idea che si possa staccare per trovare un altro posto sul muro di casa. Anche il polistirolo di Manzoni mi ha suggerito di interpretarlo come piccole palline che si attaccano agli abiti e che cerchi inutilmente di spazzare via, il tutto in un ricamo con il filo invisibile che dà la possibilità a qualche perla di muoversi come fosse sospesa.

Il bianco domina in Manzoni ed allo stesso tempo è sempre stato un colore fondamentale anche per me, la sfida è stata non forzarlo, ho lavorato per molti mesi a stretto contatto con l'archivio per studiare l'intera produzione e mi sono stupita io stessa di come a volte l'equilibrio si è raggiunto attraverso pezzi meno conosciuti, ancora liberi di essere materia di confronto. Dopo la dominanza del bianco c’è il nero, poi flash di rosso e blu e, perchè no, ho usato anche un giallo lime.

Quali sono i soggetti principali della tua scelta tra le opere di Piero Manzoni?

Gli Achromes sono di certo la serie che più mi ha incuriosito... la gestione della materia che Manzoni ha trattato nel suo lavoro è stata uno stimolo a ricercare tessuti e materie nuove anche nelle mie realizzazioni. Ad esempio, un cotone stropicciato che crea come delle piccole onde mi ha aiutato a ricreare, anche attraverso la lavorazione a piccoli pannelli, l’ambiente di altri Achromes. Ho fatto una ricerca sui tessuti per cercare di trovare nuovi materiali che mi aiutassero a dare forme diverse, partendo dall’idea che il lavoro di Manzoni è proprio la proposta di materiali che nulla avevano a vedere con l’arte fino a quel momento.

Spesso ho preso in considerazione anche lo spazio scelto per incorniciare i vari lavori, i fondi e i ritmi che venivano proposti, le michette e le impronte, ad esempio, hanno abitato i miei pensieri a lungo prima di trovare la giusta dimensione negli abiti. Un omaggio alle sculture viventi arriva poi con il pantalone sul quale la mano di Manzoni firma il suo nome con la data per dare a tutte le donne che lo indosseranno la meravigliosa sensazione di essere firmate dall’artista. Ma la curiosità è tanta e tale che temo non si esaurirà in una sola collezione.

Hai interagito con la Fondazione Piero Manzoni e la collezione gode del suo patrocinio: in che misura questo tramite ha influenzato le tue scelte estetiche nell’interpretazione dell’opera manzoniana su abiti e accessori?

Il rapporto con la fondazione ed in particolare con Rosalia, Direttrice della fondazione e nipote di Piero, mi ha permesso di capire a fondo alcuni passaggi chiave della ricerca. Ringrazio tutti i membri per la grande apertura e disponibilità che mi hanno dato, per l'entusiasmo con cui hanno seguito il progetto fin dalla sua genesi e per come mi abbiano lasciata libera di ragionare senza alcuna pressione o vincolo su un corpus di lavori così importante.

Manzoni e il diritto d’autore, Calderara e il copyright: in punta di dita? La tua mano e la sua impronta in quale proporzione?

Non saprei dirlo, forse sarete tutti voi a dover capire osservando ed indossando il risultato finale se vi è una supremazia o un equilibrio. Francamente non ho mai pensato ad una proporzione, Lui è per me un mito dell'arte ed il mio unico desiderio era poter ragionare sulla sua materia, nella sua scia, offrendo una possibile ulteriore versione di cotanta esperienza.

I gioielli sono oggetti e gli abiti pure. Quando, secondo Calderara, l’arte diviene oggetto?

M.C. L'arte è un oggetto, forse il più complesso degli oggetti, il meno funzionale e l'unico a doversi scavare una via di esistenza al di là di ogni possibile necessità. I miei sono abiti, hanno una funzione precisa, quello che mi piace pensare è che possano andare un po’ oltre e regalare a chi li indosserà l'emozione di uscire da un tempo lineare e vivere qualcosa che è proprietà della passione.

Quanto l’arte ispira la tua moda?

Moltissimo, da sempre. Negli ultimi anni questa ispirazione ha preso una forma più diretta e limpida, mi sembrava doveroso e stimolante pensare collezioni con artisti di generazioni diverse, di pulsioni diverse, e inventori di estetiche uniche... l'aspetto che accomuna tutte le ricerche artistiche e gli artisti con cui ho avuto l'onore e la fortuna di collaborare è la stima che ho nel loro lavoro. Per dirla in breve loro erano già parte del mio immaginario, attraverso queste collezioni ho voluto condividere questa gioia con chiunque le voglia indossare.

Sono grato all’interprete. Grato all’artista. Grato all’ispirato e all’ispiratore. Grazie Maria… Le trame dell’arte riflettono e ci parlano di quanto sia importante il: “Da dove si parte”. Calderara inizia applicando “paraffina” al ricordo dei gesti di “Piero”: le sue impronte.

Li disvela dandogli del “Lei” per comprendere che il “Tu” è nel contatto elettivo di un registro che si riconosce nobile ed eguale nel respiro appassionato dell’arte, nella sua fruizione, nella sua ponderazione e su tutto nella sua immediatezza e corrispondenza, in nome di un sentimento che rintraccia il DNA dell’artista in un unico “Tocco di Man………………………………zoni”.