Mother Russia poetry majestic
Tells the time of a great empire
Turning round the old man ponders
Reminiscing an age gone by.(Iron Maiden)
Il carisma dell'animo russo si comprende in agilità in un celebre valzer del compositore russo Dmitrij Šostakovič e nell'interpretazione iper-russa dei canti popolari russi da parte del cantante tedesco Ivan Rebroff. Second Waltz esprime in semplicità due carismi coessenziali al fascino della Russia: il senso fatale dei grandi spazi e il pathos dello struggimento. La melodia semplice si dilata e si allarga secondo movimenti specularmente ascendenti e discendenti e riprese alzate e ribassate in modo da generare un ciclo lirico continuo ad infinitum. La parte centrale del tema varia radicalmente il tono, aprendo una parentesi serena e celebrativa quasi arcadica, assai danzabile, per poi ritornare nella ripresa del tono struggente iniziale, sempre cadenzata da quattro battute di solo accompagnamento, che genera un senso di leggera tensione e solenne attesa.
Un'alchimia perfetta dove la semplicità diventa forza e coerenza piena di vigore ritmico e afflato lirico. La genialità straordinaria di tale aria appare autoevidente a livello di percezione culturale: sembra un valzer ottocentesco e, invece, è musica composta nel 1955, nel pieno del regime dell'Unione Sovietica! Questo dimostra come la musica riesca nel miracolo di superare anche le più rigide barriere e possa persino spiazzare il senso del tempo.
Lo “struggimento” appartiene all'animo russo ed è il motivo per cui hanno avuto così successo in Russia le melodie di Celentano e Cotugno. Possiamo definire questo stato d'animo quale sintesi dinamica di consunzione, eros ed epos. Un qualcosa che contempla il proprio consumarsi e lo canta nel suo s-farsi. Da qui, il senso di un Destino che si compie in una sorta di distruzione creatrice. Un senso molto vicino all'essere fisico della musica quale vagare effimero. Uno spreco, un traboccare di vita che canta se stessa nel suo consumarsi. Lo struggimento affascina perché si avvicina, e ci avvicina, al senso del limite, dell'esplorazione di un corpo, del peregrinare in un grande spazio affettivo, mai completamente possedibile e conoscibile. È il canto del cigno, che cantando la fine, il limes, la soglia, lo rigenera nel sogno, aprendolo quale scenario di destinazione.
L'incedere fatale e maestoso del nostro valzer rivela l'aura imperiale dell'anima russa quale amor fati, sopportazione di un peso metafisico, canto celebrativo ed epico che sale dal profondo dell'archetipo dell'elemento terra. Lo struggimento è il colore viola, la corrosione che non può finire, il sale e l'aceto, la trasformazione di polarità nel loro opposto, la resilienza dopo un trauma, il piangere e il ridere insieme. La testimonianza di Ivan Rebroff appare altrettanto straordinaria, quasi storica, in quanto abbiamo un tedesco che sembra più russo dei russi. Mentre il valzer di Šostakovič spiazza il senso del tempo, l'ermeneutica lirica di Rebroff spiazza i confini culturali e nel contempo ci dona il senso più genuino e profondo, metatemporale, del canto popolare che è la Russia. Testimonianza storica, nel senso che Berlino, la sua città, nei suoi più antichi insediamenti e nel suo stesso nome, rivela la sua origine slava. Una Nemesi. Rebroff ci aiuta a comprendere uno dei carismi più persistenti del canto popolare russo: l'assenza del ritmo, o meglio l'assorbimento del ritmo dentro il timbro della voce.
Ne abbiamo un parallelo nei canti alpini italiani e nei canti dei minatori, come nei canti di lavoro afroamericani, gli spirituals, da cui viene il gospel e il blues. Oggi, la nostra anima appare estenuata da una musica sottomessa passivamente a un ritmo eteronomo, isterico, ossessivo, banalizzante e, quindi, ha bisogno di una nuova melodicità che lasci più libera la mente e lo stesso processo ricettivo del suono.
Nella voce di Rebroff si apre una musica russa che è canto che vive di sua vita, anche se non ci fosse il sommesso accompagnamento di balalaike e cetre che talvolta compare. Un canto che inizia lento e basso per crescere di velocità e altezza, come il ritmo della vita. Un canto che è radice, terra, sangue, carne. Un canto che è una Madre ruvida che ti abbraccia forte e non ti lascia, ma pure un vortice ossessivo, una rissa, una festa folle, un salto nella neve. La voce è vento da una caverna, sussulto e brivido, una cavalcata, un lavoro scultoreo. Questa telluricità che diventa grande volo, è epifania dell'anima russa, della Russia quale anima, quale grazia, quale forma di contemplazione ed estetica apocalittica del denudamento e del dissodamento.