Qual è il modo migliore per conoscere l’antichità? Leggere i classici di quel tempo.
E per “classici” intendo proprio quelli veri, quelli scritti in greco o latino. Quelli che conosciamo a scuola, e a seconda dei casi piacciono o annoiano. L’Iliade, l’Odissea, l’Eneide. L’idea di “liceo” viene spesso associata a questi titoli. Chi poi studia per la maturità classica ne viene a conoscere altri ancora.
L’unico problema di questo sistema è che inevitabilmente confina questi testi dentro uno spazio scolastico, limitato cioè al pacchetto di studi che la scuola richiede. La conseguenza più diretta e comune è che quando ci ritroviamo in una libreria che possiede un settore dedicato a tali classici, tendiamo a ignorarlo, come se trattasse argomenti che non ci interessano, non è quello che stiamo cercando.
Metti per esempio che abbiamo voglia di un bel libro di avventura, qualcosa di avventuroso, di movimentato. Magari pure con un briciolo di ironia, per rendere la lettura più brillante e piacevole. Uno di quei best seller di azione e thriller, dal quale magari già si prevede che ne faranno un film.
Oppure metti che vogliamo un libro divertente, uno di quelli scritti da un comico, magari che si è visto in tv. Perché abbiamo voglia di ridere, punto. Vogliamo distrarci, senza leggere niente di impegnativo. E se magari invece avessimo voglia di fare serie e andiamo alla ricerca di uno di quei libri che prova a farti aprire la mente, che ha da insegnarti qualcosa che appartiene alla vita e che noi magari ancora non abbiamo capito?
Ebbene, sappiate che per questa e altre cento tipologie diverse di generi, esiste un classico che può soddisfare le vostre richieste. Per cui ho pensato di offrirvi la recensione di tre libri dell’antichità che sono e saranno moderni più che mai, e proverò a presentarli non in maniera scolastica ma come se steste leggendo una recensione da New York Times di un libro edito appena un mese fa.
Petronio – Satyricon
Intramontabile capolavoro massimo. Perfetta orchestrazione di generi: c'è la poesia dell'epos a braccetto con la prosa dei primi moduli narrativi di tutta la storia della letteratura. Vividissimo ritratto di Roma e delle persone che l'abitavano, nessuno scavo archeologico potrà mai dirci di più in merito. La Storia sminuzzata in storia, attraverso i vicoli dei bordelli, o in ginocchio davanti agli altari della suburra (il quartiere popolare e degradato della città), a cavallo delle onde di un mare rigonfio dell'ira di Poseidone e -impossibile non citarla- a cena di uno dei personaggi più emblematici non solo di una Roma che difficilmente si rinviene nelle epigrafi sacre dei santuari, ma di un modo di fare (e di essere) che attraversa trasversalmente popoli e tempi; stiamo parlando di Trimalcione, ovviamente. L'arricchito, tracotante Trimalcione che si vanta del suo essere ignorante, ergendosi a paladino del cattivo gusto. E lì, l'autore, arbitro di eleganza, ci fa capire che la degenerazione estetica diviene più che mai degenerazione morale, e a sua volta quest'ultima preclude l'abbrutimento di ogni dignità. È satira, questa. Ma satira così non se ne scriverà mai più in nessuna altra lingua, in nessun altro dove, in nessun altro quando. E soprattutto nessuno eguaglierà un linguaggio tanto accanito e pungente quanto equilibrato perfettamente da una classe e un’eleganza senza pari. Come te nessuno mai, insomma.
Aristofane – Le rane
“Brekekekèx koàx koàx”. È questo il verso onomatopeico delle rane che costituiscono il coro della commedia (trattasi appunto di testo teatrale). Opera indiscutibilmente geniale: il feroce commediografo mette in scena quello che potrebbe essere un grandioso racconto epico, allestisce specchiate virtù morali e le scardina con la forza di una risata. Scomoda niente di meno che uno dei temi più cari all'epos, la catabasi, la discesa nell'Ade come discesa morale e conseguente necessaria purificazione. Porta in scena il dio del suo mestiere in persona, Dioniso. Convoca a nuova (possibile) vita gli osannati e mai dimenticati Eschilo e Euripide, e infine ci infila in mezzo equivoci, eroi che strepitano come donnicciole e figure mitiche diventate umane (e goffe) più che mai. E in tutto ciò, in questo marasma estetico e filosofico per il quale i Greci stessi pare abbiano ormai perso la ragione, le uniche vere protagoniste sono loro, le rane delle paludi degli inferi, che guardano perplesse il divo Dioniso e il servo Xantia disquisire sulle scorregge e su quanto esse divertano gli spettatori. Sì, esatto. Parlano essendo coscienti di essere personaggi di una storia così come sono coscienti che c’è un pubblico che li guarda e che a questo pubblico divertono i rumori intestinali. Metateatro duemila e passa anni prima di Pirandello e infinitamente superiore a qualsiasi (pessimo) comico di oggi che si appiglia al peto come ultimo tentativo di strappare una risata. Imparare, prego.
Tito Maccio Plauto – Il soldato fanfarone
Come si fa a riconoscere (ed eventualmente comportarsi di conseguenza) un bugiardo? Molto semplice, il signor Tito Maccio Plauto ci fornisce un utile vademecum psicopatologico per individuarne i sintomi. Andiamo dunque ad elencarli.
- Punto primo: circondarsi sempre di domestici diligenti che prima ancora di servire il proprio padrone, servono il denaro. Attenzione! È superfluo ricordare che per questo c'è bisogno di un'ingente quantità di soldi.
- Punto secondo: una volta approntato il proprio seguito, rivolgere l'attenzione a quanti più astanti possibili. Recuperarli attraverso ogni ceto sociale e in ogni modo. Anche qui ritorna utile disporre dei mezzi necessari.
- Punto terzo: non vergognatevi mai dell'irrealtà. Inserire un briciolo di vero in una bugia vuol dire minarne le fondamenta. Meglio puntare in alto ed esagerare. Le persone preferiscono credere a un glorioso incredibile che a un dubbioso probabile. Siate sempre indulgenti con la fantasia e ripetete le vostre verità quanto più possibile: prima o poi ci crederanno.
- Punto quarto: giocate coi numeri. Essi danno certezza e fiducia alla gente. Sono lo strato d'intonaco della (ir)realtà quantitativa e calcolabile posto lungo le solide mura del falso. Aumentateli senza pudore: aggiungete, moltiplicate, e, se opportuno, sottraete e dividete. Divisione dei numeri è spesso divisione di idee. Insinuate il dubbio, corrodete il legno della perplessità con il tarlo delle cifre.
- Punto quinto: in mancanza di nemici, createli. Ancora una volta, lavorate di fantasia. Proclamate avversari un po’ ovunque, immaginateli nei posti più assurdi. Presentatevi come minacciato, costantemente attaccato, bersaglio di tutti, ma tuttavia sempre vincente. La fiducia delle persone che le vostre bugie conquisteranno sarà il vostro scudo.
Seguite scrupolosamente le indicazioni e sarete il miglior fanfarone sulla piazza. La bugia sarà la vostra spada e l'inganno la vostra gloria. Così facendo, potrete giustamente ambire un posto tra gli equites o gli optimates. E perché no, forse addirittura tra i senatores o, se sarete davvero bravi, nella corte imperiale. O comunque, qualcuna delle alte cariche dello Stato.
Ora, ditemi voi, come si fa a considerare quanto scritto sopra e non pensare agli ultimi venti anni della politica italiana? Come si fa a leggere una lista come questa e non pensare a un Berlusconi, un Renzi, un Di Maio o un Salvini?
Come si fa a considerare i classici qualcosa di distante, lontano? Qualcosa che non ci appartiene. Come si fa?
Buona lettura a tutti.