Le giornate sono strane a volte e ti risucchiano in situazioni così impensate che stupiscono. Un appuntamento con la referente di Sea-Watch in Italia, che doveva essere di un’oretta circa, si trasforma in un pomeriggio di telefonate a raffica tra capitanerie e sindaci di città, per possibili approdi della nave da “diporto” che da sabato 19 gennaio ha a bordo 47 naufraghi, e che attende di entrare in qualche porto per dare terra a questi poveri disperati.
La Sea-Watch3 è un’imbarcazione di 50 metri per 650 tonnellate che da tre anni opera come ONG per le operazioni di salvataggio dei migranti che partendo dalle coste libiche attraversano il Mediterraneo centrale su gommoni mezzi sgonfi e carrette del mare. La nave batte bandiera olandese, ma la ONG è tedesca e le rappresentanti italiane sono due giovani attiviste, con funzioni una di addetto stampa e l’altra di portavoce, che tengono i contatti con amministrazioni ed enti per la gestione delle attività della Sea-Watch.
La tragedia che si è consumata nello stesso giorno in cui sono annegati i 117 migranti ha visto coinvolta la nave della ONG, che ha raccolto il messaggio di aiuto tramite la app AlarmPhone ed è riuscita a raggiungere in tempo quelle persone, salvandole dal destino degli altri poveri cristi. Dopo aver avvisato del salvataggio e fatto richiesta di Pos (Place of safety) alla guardia costiera libica, a quella maltese e al comando italiano, la nave ha deciso di dirigersi verso Lampedusa come primo porto sicuro dove mettere in salvo i naufraghi, avendo ricevuto risposte negative dai libici, da Malta, e da Matteo Salvini.
Nel frattempo, la situazione meteo andava peggiorando e la vita delle persone a bordo diventava rischiosa, anche perché oltre ad aver superato del doppio i limiti di omologazione del numero degli imbarcati, la nave aveva solo una stanza di circa 20 mq che non era sufficientemente ampia per tutte le persone, che hanno trovato l’unica sistemazione sul ponte di coperta. Pensiamo che con le temperature di questi giorni, ragazzi e uomini devono sopportare condizioni al limite della vivibilità e nonostante ciò il ministro dell’Interno volta le spalle e ripete: “i porti sono chiusi!”, “no, no, nisba!”.
Intanto, nella notte di mercoledì, un uragano con onde altre fino a 7 metri a largo di Lampedusa ha costretto la nave a cercare riparo a ridosso della parte sud-est della Sicilia, cercando di mettersi al sicuro nel primo porto utile, individuato in quello di Siracusa, poiché anche Lampedusa aveva negato lo sbarco. Per le avverse condizioni meteo la nave non è riuscita a raggiungere Palermo o Napoli, i cui sindaci, come abbiamo sentito nei giorni scorsi, hanno dichiarato che erano pronti ad accogliere i migranti. La situazione dei porti chiusi è ancora tutta da verificare non essendoci al momento atti che ne attestino e comprovino la chiusura.
Frattanto, il sindaco di Siracusa, avvisato della possibilità di ingresso della Sea-Watch, ha preso contatto con la responsabile della missione dando la disponibilità all’accoglienza. Il comandante della nave è stato avvertito e, dopo aver egli stesso fatto richiesta formale di ingresso in porto, ha preso la decisione di puntare su Siracusa. Per tutto il pomeriggio abbiamo atteso e valutato le reazioni dei responsabili dei vari uffici competenti, tra difficoltà interpretative, timori di assunzioni di responsabilità e criticità a prendere decisioni.
È impressionante assistere alla situazione di incertezza e timore che ha creato la politica di Salvini e soprattutto la mancanza di lucidità nel capire che salvare vite umane è un sacrosanto dovere, perché ricordiamoci sempre, le persone tratte in salvo dal mare sono naufraghi e solo dopo, quando scendono a terra diventano migranti, si devono necessariamente scindere le due fasi della procedura. E un salvataggio non è concluso se non si fanno scendere a terra i naufraghi.
Sono le 19:56, il sindaco di Siracusa ha rilasciato all’AGI la dichiarazione che acconsente all’ingresso della nave ma che attende comunque le risposte dalla Marina Militare, dalla Capitaneria e dal Governo. Insieme a me ci sono le due responsabili di Sea-Watch, un rappresentante di un’altra ONG, un rappresentante del parlamento e il suo collaboratore. Non abbiamo pranzato ma abbiamo consumato decine di gigabyte di connessione Internet tra telefonate, localizzazioni su MarineTrafic della nave ora dopo ora, e monitoraggio delle condizioni meteo progressive.
Una lotta contro il tempo, la burocrazia e il non voler comprendere le priorità da una parte, e dall’altra il freddo, il terrore e l’angoscia di 13 ragazzi e 34 adulti ancora in attesa di porre fine a un'odissea vissuta per il diritto di cercare una vita migliore.