Il ritrovamento di due importanti lettere di Arcangelo Corelli ci propone la riscoperta di un personaggio pietra miliare della musica strumentale occidentale, ce ne parla Sergio Baroni 1, promotore e realizzatore dell’acquisto delle lettere stesse.
Ho un rapporto molto stretto con la Romagna, essendo nato a Fusignano, dove ho trascorso la mia gioventù, di conseguenza il nome di Arcangelo Corelli (1653 – 1713) mi è molto familiare. Entrando nella mia cittadina si legge 'Fusignano, paese natale di Arcangelo Corelli' e la figura del musicista è presente in molte forme: il nome della piazza principale, l’auditorium, il bassorilievo in marmo del 1960 circa, opera dello scultore Raul Vistoli, il violino in ferro che adorna uno spartitraffico, infine il documento principale: il suo certificato di nascita, conservato nell’archivio parrocchiale. È attivo il coro corelliano, benché Corelli non abbia mai scritto opere cantate e in passato si era costituita l’associazione 'Amici di Corelli', che organizzava convegni e concerti, la cui anima era il mio padrino, Alfredo Belletti, purtroppo scomparso. Sono tutte testimonianze e attività che provano quanto il legame tra Corelli e la città sia stretto e fondato su un senso di fierezza che il famoso musicista suscita a tutt’oggi negli abitanti. Da tempo vivo a Milano, dove svolgo la mia attività di gallerista e di eventi culturali, ma a Fusignano c’è ancora la mia casa paterna, meta delle mie vacanze.
Si può facilmente comprendere come alla notizia che lettere corelliane sarebbero andate in asta alla Sotheby’s di Londra (maggio 2018), alcuni musicologi e musicisti appassionati di Corelli abbiano allertato il Comune di Fusignano, che si è rivolto a me per aiutarlo nell’acquisizione dei documenti. Si trattava di due lettere scritte e firmate da Arcangelo Corelli: una datata 1679, destinata al conte Fabrizio Laderchi di Faenza, anch’egli musicista, che viveva a Firenze e una datata 1711 scritta al compositore Giacomo Perti di Bologna.
Ho consigliato di non partecipare all’asta, vista la stima molto alta, e a ragione: le lettere sono rimaste invendute, aprendo la possibilità di entrarne in possesso a una cifra più bassa. Bisognava però fare in fretta, affinché le lettere non tornassero alla proprietà, una Fondazione americana. Ma il Comune di Fusignano aveva bisogno di tempi più lunghi per questioni burocratiche e amministrative. Ho deciso quindi di acquistare personalmente le lettere per poi trovare la soluzione migliore, in modo che Fusignano non perdesse questa opportunità. Non è stato facile, la Fondazione americana tentennava, anche perché la mia offerta era di 'soli' 10.000 euro, ben al di sotto della base d’asta. Ho trovato una buona argomentazione, in quanto fusignanese, e ho scritto una lettera alla Sotheby’s per spiegare che il mio acquisto era finalizzato a portare le lettere nella città natale del compositore. Alla fine hanno accettato la mia proposta e quindi ho potuto procedere con il pagamento e con il trasferimento dei documenti a Milano. Assieme alle due lettere è arrivata una ricca documentazione, comprendente un’ulteriore lettera del 1679 scritta dal musicista Scipione Zanelli a Laderchi con in oggetto Corelli. Nel frattempo ho aperto un conto a Fusignano per le donazioni, così da raccogliere la cifra da me pagata. La risposta è stata immediata, ovviamente da parte dei Fusignanesi ma non solo. Sono arrivati contributi da tante città della Romagna e da altre parti d’Italia e perfino dall’estero e la cifra per le lettere è stata abbondantemente superata.
Quanto è successo mi ha fatto capire l’interesse attorno alla figura di questo geniale compositore e ho così deciso di promuovere la costituzione di un comitato che vorrei chiamare 'Amici di Arcangelo Corelli'. Avrà come missione quella di essere un punto di riferimento per gli studi corelliani, occupandosi della conservazione e della raccolta di documenti, ma anche dell’organizzazione di eventi. In questa affascinante vicenda che mi ha particolarmente coinvolto, ho avuto l’opportunità di conoscere Enrico Gatti, violinista di fama internazionale, specializzato nel repertorio barocco e classico, il quale è stato fra i più grandi sostenitori per l’acquisizione delle lettere ed è ora fra i promotori dell’iniziativa da me sostenuta.
Abbiamo chiesto a Enrico Gatti 2, interprete e critico corelliano, un suo contributo sul musicista e il significato delle lettere riscoperte.
Corelli, ovvero: la complessità risolta
Se dovessi definire con una singola parola il tratto caratterizzante la figura di Arcangelo Corelli sceglierei la parola sintesi. I grandi, prima di mettere in luce personalità dirompenti o innovatrici, sono piuttosto coloro che mostrano capacità di comprendere appieno i valori del passato riutilizzandone l’essenza migliore, giudicando quale possa essere il superfluo ed essendo in grado di rinunciarvi guardando oltre, seguendo la propria strada con determinazione. Bisogna lavorare a lungo prima di imparare a sintetizzare, a rinunciare alla ridondanza, specie quando si operi nella Roma del XVII secolo.
In quella Roma, Arcangelo - nato nel piccolo borgo di Fusignano, in terra di Faenza, nel 1653 - era arrivato dopo aver compiuto a Bologna i suoi studi di cui abbiamo poche notizie certe; sicura è invece la sua affiliazione in seno all’Accademia Filarmonica nel 1670 all’età di soli 17 anni. È da notare che il giovane violinista venne ammesso col titolo di “compositore” e non con quello di semplice musico suonatore. Spinto dai consigli degli amici e colleghi bolognesi Arcangelo si recò nella capitale dove si dedicò in maniera approfondita agli studi di contrappunto e composizione, facendosi nel frattempo conoscere come ottimo esecutore sul violino tanto da sbaragliare, nel volgere di pochi anni, la concorrenza locale.
Oltre a possedere indubbie capacità di violinista e compositore di musica strumentale, egli fu molto abile nel coltivare una rete di protezioni presso le alte sfere: suoi mecenati furono la regina Cristina di Svezia, il cardinale Pamphilj, il duca Francesco II d’Este, il cardinale Ottoboni (nipote di Papa Alessandro VIII) e altri nobili signori d’Italia e d’oltralpe.
Uno dei maggiori meriti del fusignate fu l’aver compreso l’importanza di affidare alle stampe i propri lavori. In una Roma e, più generalmente, in un’Italia in cui la lobby dei copisti occupava quasi per intero il mercato musicale Corelli con intelligenza mise a frutto l’esperienza bolognese. Nella città felsinea infatti l’editore Monti aveva saputo diffondere la straordinaria fioritura di musica strumentale che negli anni ’60 - ’80 del Seicento aveva caratterizzato la vita musicale di area emiliana grazie alle opere di Uccellini, Vitali, Bononcini e molti altri ancora.
L’Arcangelo del violino si preparò per anni e solamente nel 1681 decise di presentarsi ufficialmente con una raccolta a stampa di sonate a tre da chiesa. Seguirono, sempre a intervalli piuttosto regolari (1685, 1689, 1694, 1700) altre raccolte di sonate a tre e a solo da chiesa e/o camera, finché la serie delle opere venne chiusa dai concerti grossi pubblicati postumi nel 1714, un anno dopo la morte. Grazie alla testimonianza del coetaneo Georg Muffat, che si trovava a Roma a scopo di studio, sappiamo che già nel 1682 Corelli stava facendo eseguire alcuni suoi concerti; ciò ci mostra come il compositore sperimentasse lungamente prima di firmare la versione definitiva delle sue opere. Probabilmente molte composizioni non passarono il vaglio e solamente le opere migliori e frutto di una lunga e severa selezione furono destinate alla pubblicazione, se è vero quanto affermato da Ferrante Borsetti nel 1735: Alia [opera] quoque multa reliquit maximus Corelli noster, quae inedita remanserunt.
La pianificazione delle edizioni si rivelò perfetta e ben studiata: le prime cinque opere vennero pubblicate in contemporanea sia a Roma (Mutij, Komarek e Pietrasanta) che a Bologna (Monti) e ciò ne assicurò una capillare distribuzione non solo sul territorio italiano ma anche nel resto d’Europa. Nell’arco di un secolo si conteranno 39 edizioni dell’op. I, 41 dell’op. II, 37 dell’op. III, 39 dell’op. IV e 36 dell’op. V oltre alle centinaia di copie manoscritte d’epoca conosciute al giorno d’oggi. Queste cifre possono rendere l’idea di come la fama di Corelli si espandesse rapida in tutto il continente, oltremanica e fin oltreoceano: forse più di ogni altra cosa possono valere i riconoscimenti - diretti e indiretti - di grandi compositori ed esponenti di differenti stili come Henry Purcell, François Couperin, Georg Friedrich Haendel e Johann Sebastian Bach, che si giovarono delle architetture musicali corelliane, veri e propri edifici sonori basati sulla proporzione e sulla armonica disposizione delle parti. La bellezza della semplicità è la chiave del contrappunto di Arcangelo, quel contrappunto che - attraverso il suo insegnante Matteo Simonelli - si può far risalire a Carissimi e addirittura al sommo Palestrina, quindi alla musica vocale.
La semplicità come punto d’arrivo è una “complessità risolta”, presuppone un lavoro lunghissimo e paziente, una intensa concentrazione sull’obiettivo da perseguire. Corelli ha intelligentemente incorporato anche la lezione dei suoi antecedenti emiliani e di chi a Roma operò prima di lui creando nuove prospettive sonore per la musica strumentale: un nome su tutti è quello di Alessandro Stradella autore di notevoli sonate a tre (eseguite come sinfonie degli oratori romani) e geniale inventore della policoralità strumentale.
Venendo alle lettere recentemente acquisite, esse risalgono a due distinti periodi: le prime due portano la data del 1679 e la terza quella del 1711. Le prime sono quelle che maggiormente ci interessano in quanto forniscono prove relativamente ad un’attività compositiva di Corelli già due anni prima della pubblicazione della prima raccolta a stampa. La musicologia del passato non ha preso troppo sul serio tutte quelle composizioni che ci sono pervenute al di fuori delle edizioni ufficiali ma esse ci restituiscono l’immagine di un compositore figlio del suo tempo, uno sperimentatore che persegue una propria ricerca alchemica.
Il conte Fabrizio Laderchi, gentiluomo di camera di Francesco Maria de’ Medici e destinatario delle missive, è committente di una sonata per violino e liuto. La corrispondenza ci conferma che Corelli stava già da tempo esercitandosi nella composizione di sonate per un violino solo e basso continuo, anche se le uniche sonate per questo organico vennero da lui date alle stampe solamente il 1° gennaio 1700. È però probabile che già durante il suo soggiorno bolognese (ca.1670) avesse composto sonate da camera per violino solo e basso come dimostra un manoscritto tardo conservato presso la biblioteca del Sacro Convento di San Francesco in Assisi.
1 Sergio Baroni, esperto e critico di arti decorative, sulle quali tiene una rubrica sulla rivista Antiquariato, titolare di una galleria per eventi culturali, a Milano, in via Madonnina 17, è perito del Tribunale di Milano. Negli anni '80 ha svolto attività di consulente in arte e arredi neoclassici per Gianni Versace e per molti antiquari internazionali.
2 Enrico Gatti, violinista, nato a Perugia, si è specializzato nel repertorio dei secoli XVII e XVIII a Ginevra e a Den Haag. Ha suonato in tutto il mondo con complessi fra i più conosciuti nell’ambito dell’Historical Informed Performance Practice. Alterna l’attività concertistica con la ricerca musicologica e l’insegnamento presso il Royal Conservatoire di Den Haag e il Conservatorio di Bologna.
La presentazione delle lettere avverrà il 17 febbraio ore 10.30, presso l’Auditorium di Fusignano (RA). Parteciperanno il sindaco Nicola Pasi, Sergio Baroni, Enrico Gatti, Francesco Zimei.