È quantomeno curioso che un jazzista ben noto alla sua comunità da almeno un quindicennio decida di chiamare il suo primo disco Debut (Jando Music\Via Veneto Jazz). Lo ha fatto appunto Julian Oliver Mazzariello, nato in terra d'Albione e lì cresciuto fino alla sua adolescenza per sviluppare un talento naturale di altissima grana. La carriera però l'ha avviata in Italia: è stato uno dei membri dell'High Five Jazz Quintet, dove ha conosciuto Fabrizio Bosso con il quale ancora collabora stabilmente, ha lavorato con jazzisti illustri come Enrico Rava e Stefano Di Battista, dietro presentazione dell'amico Gegè Telesforo, ma è stato anche al fianco di stelle del nostro cantautorato come Lucio Dalla, Fabio Concato e Fiorella Mannoia. In questa intervista ci racconta la sua soddisfazione.
Riavvolgiamo il nastro di questo debut: in realtà sei attivo da molto tempo, come mai ne hai messo altrettanto prima di compiere questo sospirato passo?
Ho impiegato tanto tempo perché non ho mai avuto una sola direzione musicale e quindi non ho mai rinforzato un solo aspetto. Soltanto ora sto capendo che potrebbe essere una mia identità questa o almeno un punto di partenza che è stato utile per questo debutto. In più nonostante un discreto cammino alle spalle, dubbi e insicurezze non si dissolvono mai del tutto. Ho fatto esperienza come sideman e quindi ho sviluppato l’abitudine di ‘nascondermi’ dietro agli altri, o almeno di essere protetto da una ‘direzione’ musicale già prestabilita.
Come hai pensato e successivamente realizzato questo disco?
Un pensiero “nascosto”, se pur ricorrente, che accompagna questo disco e la scelta dei brani, è il fatto che ogni brano potrà essere a sua volta spunto per un progetto stilistico ulteriore... ho scelto un brano napoletano, una ballad, un funk, un tango appunto, per accogliere diversi ‘lati’ dei miei gusti e l'ho fatto in trio con Andrè Ceccarelli, un vero caposcuola oltre che amico e mentore, che mi ha spinto a ‘sbloccarmi’, e Remi Vignolo collabora con Ceccarelli da tempo. Insieme ci siamo ritrovati in un un suo progetto e quindi una volta ravvisata la mia esigenza di partire con un trio ortodosso, piano basso e batteria, è stato tutto molto conseguenziale.
Quando la musica è entrata nella tua vita e come ti sei scoperto jazzista?
La musica è sempre stata presente in casa, perché mio padre era un musicista e mia madre una grande appassionata. Papà era il batterista dei Caravan Band, un gruppo che nacque negli anni '60 sulla scia del grande successo raccolto dai Beatles e Stones. Ho iniziato a strimpellare il piano intorno ai 6 anni, e ho iniziato a prendere lezioni a 7. Mi sarebbe piaciuto seguire le orme di papà, ma non ho potuto farlo per questioni di vicinato. Sono sempre riuscito a improvvisare anche con una sola scala o pochi accordi, piano piano ho iniziato a capire che esistevano anche tradizioni e culture nel grande solco della musica. Definirmi jazzista è uno status impegnativo: ancora oggi è una cosa che faccio con cautela.
Quali sono stati i tuoi miti e ispirazioni?
Miles Davis, Jaco Pastorius, Chick Corea, Michel Petrucciani, Oscar Peterson, Prince, James Brown. Sono tutti dei grandissimi, ovviamente e per certi versi inavvicinabili, ma il mio idolo in assoluto resta probabilmente Miles. È il primo musicista che ho ascoltato ed è quello che tuttora mi emoziona di più.
Nei tuoi pezzi un elemento predominante è quello della melodia, probabilmente anche per le origini della tua famiglia. In un momento in cui la musica va spesso sempre più nella direzione della sintesi, spesso dell’astrazione, quale può essere il peso che la melodia esercita su chi la scrive e chi la ascolta?
Sono lusingato, anche se ‘comporre’ è una cosa che ho fatto poco nella mia vita, mi rendo conto che la melodia è una cosa che cattura parecchio la mia ispirazione: la musica, per me resta un mezzo di comunicazione straordinario, più della parola. Mi affascina il suo potere intrinseco di scatenare emozioni e mi piace l’idea di poter far conoscere il mio disco sia a un intenditore che alla signora che abita sul pianerottolo!
Secondo te si può parlare di tecnica specifica relativa al jazz? In che cosa consiste?
Assolutamente sì, esistono delle tradizioni, di linguaggio e di storia, ed è anche facile confondersi, come spesso faccio io... perché non è sempre così evidente che esistono delle ‘regole’ ben precise e quindi il rischio è quello di essere superficiali: io stesso a volte tendo ad essere vittima di questo.
Qual è stata l'esperienza\incontro più importante della tua carriera?
Ce ne sono stati tanti tanti, tutti importantissimi: non posso non ricordare il grande calore umano di Lucio Dalla, che resta un musicista sensazionale. Questo duo con Fabrizio Bosso è un rapporto che ritengo inscindibile, non solo dal punto di vista musicale: abbiamo appena suonato con grande successo a Orvieto per la sezione invernale di Umbria Jazz. Con lui ci saranno altre cose previste per le prossime settimane.
Cosa ti riservano i prossimi mesi?
Ancora qualche data con Eduardo De Crescenzo. Sto sviluppando un progetto in piano solo in parallelo: una sfida oltremodo impegnativa per quanto affascinante.