Tutti almeno una volta abbiamo sentito parlare di QI (quoziente intellettivo) e molti di noi hanno anche svolto qualche test sul web per capire a che punteggio si “collocava” il proprio sviluppo cognitivo. Wikipedia lo definisce così: Il quoziente d'intelligenza, o QI, è un punteggio, ottenuto tramite uno dei molti test standardizzati, che si prefigge lo scopo di misurare o valutare l'intelligenza, ovvero lo sviluppo cognitivo dell'individuo. Persone con QI basso sono a volte inserite in speciali progetti di istruzione.
Quindi sappiamo che il QI è di norma compreso tra 0 e 230; il limite inferiore alla “normalità” è 80, la media si aggira intorno ai 100 e poi ci sono i più classici casi dei 180 di Einstein e Stephen Hakwing, i 190 attribuiti a Leonardo Da Vinci e a Galileo Galilei, fino ad arrivare ai 225-230 di Terence Tao, classe 1975, considerato l'uomo vivente più intelligente del mondo.
Tornando a noi, in realtà in rete trovi un po’ di tutto: dai test sul QI di pochissime domande, a quelli che impieghi anche più di un’ora per terminarli; da quelli più “ufficiali” a quelli creati come passatempo. Non ci stupisce che i risultati dei test più complessi siano stati utilizzati per determinare statisticamente il livello evolutivo medio dei soggetti presi in esame e sono state diverse le ricerche che da questi hanno individuato diversi dati che spesso portano a riflessioni più profonde.
Teoricamente il QI è determinato geneticamente, anche se il contesto sociale e culturale ha la sua influenza, così come parrebbe averla il livello di istruzione: uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science e condotto da Stuart J. Ritchie, psicologo dell’Università di Edimburgo, ha infatti evidenziato che l’educazione scolastica ha un peso sul miglioramento dei punteggi ottenuto sui test di intelligenza dei ragazzi – circa 615 mila – sottoposti alla ricerca di diversi punti rispetto a chi non avesse frequentato la scuola.
Come scrivevo i risultati dei test non servono solo alla persona che si sottopone ad essi; ma anche a quanti studiano l’andamento globale della nostra società contemporanea. Detto questo, mi spiace dare la ferale notizia che sembra che ci sia stato un peggioramento della media dei risultati ottenuti dai test. Lo affermano Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg del Centro Ragnar Frisch in Norvegia, che hanno condotto una ricerca – poi pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences – su 730 mila test dal 1970 al 2009. Sembra infatti che dagli anni ’70 si sia riscontrata una diminuzione del risultato di circa 7 punti per generazione. Certo, quella era una ricerca effettuata in Norvegia, ma esiti simili sono stati evidenziati successivamente anche in Inghilterra e negli Stati Uniti.
La “decrescita infelice” pare sia causata da diversi fattori, come le cattive abitudini già in giovane età (più videogiochi, meno libri), sistemi educativi non sempre adeguati, stili di vita sempre meno confacenti allo sviluppo cognitivo. C’è però da considerare anche l’altro lato della medaglia: il fatto, per esempio, che un alto QI non sempre corrisponda al successo in ambito personale e professionale e che per questo contino altri fattori come la capacità di interloquire e interfacciarsi con le altre persone, di pianificare, o la tendenza alla ricerca del miglioramento. Tutto questo per dire che l’intelligenza di una persona – senza nulla togliere alla serietà dei test del quoziente intellettivo – non può essere misurata attraverso un singolo esame perché l’essere umano ha sfaccettature e aspetti di diversissima natura e quelli valgono eccome!
È comunque vero, però, che un’attenzione maggiore, in quest’epoca dove è più facile essere soggetti a “lobotomizzazioni” parziali derivanti dai media o dai social, che “distraggono” più che stimolare, è dovuta. Insegnare ai nostri figli a usare il cervello, spronarli al ragionamento piuttosto che alle facilitazioni tecnologiche è senza dubbio – per loro e per noi – un ottimo modo per risvegliare il potenziale intellettivo di ciascuno. Ci stiamo dirigendo verso a una diminuzione delle capacità cognitive di media? Beh, è un processo che dipende da noi e che è possibile invertire.