Molte le cose inquietanti, nulla di più inquietante dell’uomo.
(Sofocle, Antigone)
Sofocle nell’Antigone ci presenta uno squarcio implacabile sulla dolorosità del vivere, sul dolore come intrinseca qualità dell’essere umani, introducendoci in maniera chiara e visionaria, allo stesso tempo, nella faticosità dell’avere una mente e un corpo dentro cui abitare e tramite i quali abitare il mondo.
Freud ha colto in Sofocle, in particolare nel suo Edipo re, la prefigurazione della tragedia umana, la rappresentazione del mistero e la dolorosità della condizione dell’uomo. Nella lettura psicoanalitica nel dopoguerra c'è uno spostamento dall'interesse per Edipo alla figura di Antigone che si invera nel teatro, nelle speculazioni filosofiche, nel cinema, nel balletto, in quanto le conflittualità generazionali, familiari, di potere, le trasgressioni e la complessità del tempo presente sono evidenti nella storia dell'eroina.
Antigone, figlia di Edipo e di Giocasta, è chiamata ad assumere l’eredità inquietante di portare avanti e vivere il dramma del vivere, portandosi dentro la colpa del peccato originale commessa dal padre. Peccato originale che ha a che fare con la trasgressione del divieto dell’incesto, ma anche dell’aver violato la proibizione alla conoscenza. Ha dunque un’eredità pesante fin dallo stato aurorale della sua vita, esperienza di vita dove è subito messa a confronto con una confusività relazionale importante, Giocasta le è madre, ma al contempo nonna, come Edipo è suo padre, ma anche fratello e, secondo alcuni interpreti della tragedia, anche lei colpevole di incesto per la relazione con Edipo e col fratello Polinice, dunque come condannata a ripetere un mandato transgenerazionale. “Ah, quell’atroce letto di mia madre, la sventurata,/sciagurati amplessi di lei con mio padre che era carne sua./ Da chi mai sono nata?”
Come può il pensiero umano tollerare questa situazione impensabile? E intrinseca alla confusione della storia è anche la temporalità della scrittura di Sofocle: in ordine di composizione, Antigone è la prima, poi segue Edipo re e per ultimo Edipo a Colono, come per un percorso a ritroso della mente. “Un cuore ardente anche di fronte a cose che raggelano”, ecco come Sofocle presenta Antigone nella tragedia, facendoci subito entrare nel dolore della carne, nella carne dell’esperienza dove si giocano con autenticità il coraggio di esistere, di essere, di morire e, nel contempo, l’ascolto del cuore, nel rispetto di quella verità originaria che va al di là delle leggi degli dei e degli uomini.
Ecco il racconto: Antigone decide di dare sepoltura al fratello Polinice, sfidando il divieto del nuovo re di Tebe, Creonte. Scoperta, viene condannata a vivere il resto della sua vita in una grotta, dove si ucciderà. Creonte, nonostante le profezie di Tiresia, non arriverà in tempo a liberarla, e la sua morte condurrà al suicidio del promesso sposo Emone, figlio di Creonte e di Euridice che, non tollerando la morte del figlio, si ucciderà. Creonte a questo punto, solo e terrorizzato, è condannato da un senso di colpa indelebile, maledetto a una pseudo-vita, perseguitato da una morte dell’anima che non avrà mai pace.
Antigone è ritenuta l’opera per eccellenza di Sofocle da tanti punti di vista. Pur avendo tratto la storia dal mito, l’ha elaborata in maniera assolutamente personale e questo fa sì che Antigone sia un personaggio vero, spontaneo, è un’eroina umana tanto che, anche se il coro le ricorda la vergogna della sua eredità, non si vergogna di piangere la maledizione, né di perseguire con determinazione la sua verità.
Tante sono le interpretazioni e i punti di vista che sono scaturiti dall’incontro con Antigone, proprio perché la tragedia ha quell’insaturità tipica dell’opera d’arte che permette varie identificazioni e letture. Antigone rappresenta un archetipo della cultura occidentale, è un mito nel senso che dà vita e narrazione alle verità inconoscibili dell'uomo, è un racconto simbolico che, contenendo una miriade di significati, è aperto sempre a nuove letture e interpretazioni e, ponendosi in maniera insatura, permette infiniti accoppiamenti, legittima rispecchiamenti da diversi punti di vista. È un mito proprio per il senso universale che contiene dove il passato, il presente e il futuro sono interpellati dinamicamente e dove qualsiasi epoca e qualsiasi persona può identificarsi e darne nome e senso.
Antigone è vissuta come simbolo di rispetto o di trasgressione, di amore o di odio, è Cristo ribelle o Cristo vittima, nemica dello stato o vestale della polis. La sua complessità giustifica le molteplici ermeneutiche: amore, giustizia, pietà, lotta, tradizione, famiglia, religione, rispetto, rivolta, temi carichi di implicazioni simboliche che trascendono il tempo e lo spazio dell'azione per inverarsi nella realtà dell'umano. Antigone è enigma, è personaggio che rappresenta mirabilmente la misteriosità di cui tutti siamo impastati per cui le contraddizioni, il tutto e il contrario di tutto coabitano naturalmente senza scandalo, richiamando l'immagine paradossale del nastro di Moebius, dove la superficie continua e discontinua, il dritto e il rovescio coabitano e compongono il modello, fungendo da stimolo a sempre nuove e molteplici interpretazioni.
Forse la scelta, impostale dal destino, di non accoppiarsi ad Emone "Guardatemi ... all'ultimo cammin muovere, e vedere l'ultima luce del sole ... senza che io abbia sorte di imenei, senza che mai alle mie nozze l'inno risuoni ..." ha anche il significato di renderla vergine e disponibile a tanti altri accoppiamenti, accoppiamenti non di carne, ma di pensiero per generare non figli mortali, ma sempre nuove e profonde significazioni che garantiscono l'immortalità del pensare. Antigone ha stimolato e continua a stimolare interesse, infiammando cuori e menti, inducendo intriganti visionarietà.
Goethe ritiene che rappresenti interamente la donna, la sorella perfetta, l’amante perfetta, secondo Lacan la lotta di Antigone non è contro Creonte ma contro l’empietà del desiderio genitoriale, è contro una generazione sciagurata, che porta alla degenerazione e alla difficoltà di vivere la generatività, sceglie la morte al talamo nuziale, l’etimo del suo nome anti-non e gen-generare, erige la purezza, la verginità come contrappunto al desiderio della madre, ma per fare questo non deve essere corrotta, toccata dal desiderio di vita “la mia vita già da tempo è morta”, morta fin dalla nascita perché concepita da un rapporto impuro.
Secondo una visione junghiana, Antigone è paradigma dell’inquietante percorso dell’uomo alla ricerca di se stesso ed è donna coraggiosa perché autentica, tanto da potersi concedere di essere sola nella sua impresa che riconosce impossibile “lascia dunque che io e la mia assurda volontà andiamo incontro alla sofferenza di questo terribile momento, non mi capiterà nulla di così grave da impedire che io muoia nobilmente”.
Per Heidegger il dramma di Antigone evidenzia le problematiche di base dell’uomo, di ogni uomo che su questa terra compie il suo destino, e sottolinea come le parole del coro rivelino la condizione umana, condizione che fa paura, che è carica di violenza, che continua a sorprenderci. “La parola di Sofocle dicendo che l’uomo è l’essenza più inquietante, dice allora che l’uomo non è di casa e che il farsi-di-casa è la sua cura”, l’uomo è dunque angosciato da uno spaesamento che lo disorienta e lo confonde.
Secondo Massimo Cacciari “Antigone … ci sconquassa ancora dopo più di duemila anni … a lei non importa nulla della città, vuole solo seguire la legge non scritta del suo sangue, della famiglia. Da questo punto di vista è completamente impolitica”, il filosofo ne coglie soprattutto la carnalità, è il sapere implicito che appartiene all’inconscio non rimosso che la fa da padrone. Antigone non potrebbe comportarsi altrimenti, è la storia viscerale che la forma, che la fa avanzare senza sbandamenti, con sicurezza pur nella coscienza dell’orrore, c’è un sapere non pensato che le costruisce il cammino, percorso inesorabile, obbligato, che è esistito dalla notte dei tempi e che è stato tracciato per sempre.
Non solo le interpretazioni critiche, ma anche le differenti traduzioni e interpretazioni teatrali risuonano di molteplici visioni e approcci rispetto ad Antigone, sottolineandone aspetti diversi. Come intensamente scrive Giancarla Dapporto "Più si legge intorno ad Antigone e alle interpretazioni che ne hanno dato e continuano a darne, più il mistero della sua bellezza e vitalità, anziché svelarsi, s'infittisce come quando scrutando il firmamento e puntando il telescopio nel blu della notte, lo spazio tondo della lente, si riempie di miliardi di stelle. Tanti sono i pensieri delle donne e degli uomini che, amandola le hanno dedicato infinite cure e interpretazioni ...".
Dal 22 al 27 gennaio la compagnia Atir, in collaborazione con Fondazione Teatro Donizetti, dopo che nel giugno scorso aveva programmato un mese di appuntamenti dedicati all'eroina di Sofocle, Antigone on the road, approda al Teatro Elfo Puccini con il debutto del nuovo spettacolo diretto da Gigi Dall'Aglio. Ecco come Serena Sinigaglia argomenta il perché di questa scelta "Antigone perché racchiude dentro di sé tutto il dolore, tutta la contraddizione, tutte le domande (e le speranze) che si sono riversate su di noi all'indomani della decisione comunale di chiudere il Teatro Ringhiera. Era come trovarsi di fronte al corpo di Polinice. Un teatro viene chiuso per ragioni di sicurezza: ma un teatro chiuso è un "corpo" morto abbandonato al degrado del tempo. Dimensione privata e dimensione pubblica in Antigone coincidono e la posta in gioco è altissima: l'inviolabilità di un corpo".
E il regista Dall'Aglio aggiunge "Il senso contemporaneo di Antigone sta nella natura e nella forma dialettica del confronto. Non è un confronto tra posizioni di potere. ... Cosa posso chiedere agli attori, alla musica, alla scrittura scenica se non di concorrere, ciascuno con la quota politica che gli compete per rivelare proprio l'origine di questo dibattito che arriva fino a noi ancora irrisolto?"
Eccoci ancora con una domanda che tocca le origini, le origini della vita, del pensiero, dell'essere umani, domanda che ci interrogherà sempre e a cui non potremo mai dare una risposta, ma il sognare, il narrare, il suonare, il cantare, il recitare, con un'estensione, quindi, nel campo del senso, del mito e della passione, ci porteranno vicini, "on the road" appunto, senza essere morsi dall'arroganza conoscitiva che acceca, alle leggi della vita e al dolore che la connota, questioni che "...non sono d'ieri né d'oggi, ma da sempre vivono e quando diedero di sé rivelazione è ignoto" (Sofocle).