La Toscana, fin dai tempi più antichi, ha svolto in diverse parti del suo territorio storico, attività riconducibili alle manifatture del ferro; dalle fasi estrattive e fusorie (nelle quali fin dagli Etruschi primeggiò l’Isola d’Elba, che i navigatori greci chiamavano "Aethalia", la fuligginosa), al trasferimento via mare del prodotto iniziale e del “ferraccio” grezzamente ricavato. E poi, sul continente, c’era l’avviamento verso le vere e proprie prime forme di siderurgia. Che includevano diverse lavorazioni, da quelle più usuali alle più raffinate.
Sorse così, nei secoli, quella che possiamo definire la vocazione e infine la tradizione dei maestri ferrai; che si sostanziò in attività e specializzazioni molto diverse. I “progenitori”, cioè gli Etruschi, fondevano in modo da sfruttare solo una parte del materiale ferroso. Tant’è vero che nell’unica polis – Populonia – stanziata sul mare proprio di fronte all’Elba, molti secoli dopo, durante la Grande Guerra, l’enorme strato di 6 metri che ricopriva l’antica necropoli fu riutilizzato per più moderne fusioni. Così riemersero le ancora visibili tombe funerarie.
Il Parco archeominerario di San Silvestro, presso Campiglia Marittima, è una straordinaria testimonianza dell’attività dell’estrazione dei minerali e della lavorazione dei metalli durante i secoli. Oggi è possibile visitare le antiche cave, vedere i pozzi d’origine etrusca, percorrerne le strette vie aperte nel Medioevo, addentrandosi nel cuore della montagna trasportati da un trenino che corre sulle vecchie rotaie della miniera dismessa in età moderna. Inoltre è stata restaurata la medievale Rocca di San Silvestro (abbandonata alla fine del XIII secolo) che ancora conserva le tracce di questa antica.
Del resto in questo periodo, ma anche anteriormente al Mille, così come durante l’epoca longobarda, sono documentati in tutta la Toscana mestieri da fabbro ferraio: nel periodo comunale i libri fiscali che possiamo ancora consultare (per esempio il Liber focorum di Pistoia del 1244) annotano diversi capifamiglia tassati per questa attività. I forni di fusione, che avviavano alle lavorazioni successive, usavano il legname delle foreste per mantenere i fuochi accesi e l’energia idrica per azionare i mantici e i pesanti magli, creando manifatture sempre più complesse. Si va dai tiratoi, che stiravano il metallo per arrivare a manufatti piccoli e d’uso comune (ad esempio i chiodi), ai laminatoi, alle produzioni di strumenti taglienti (sembra che da un coltellino da chirurgo, il Pistorino perché prodotto a Pistoia, sia venuto il termine bisturi), alla manifattura delle armi.
È noto che alla fine del Cinquecento il granduca Ferdinando dei Medici fece venire di straforo da Brescia alcuni maestri armaioli per attivare anche in Toscana questa pregiata e costosa specializzazione: il rapido impoverimento del patrimonio boschivo delle zone interessate la fece ridurre a criteri meno impegnativi. Infatti in epoca moderna gli spezzoni dismessi dei binari ferroviari (la Toscana fu all’avanguardia nella stesura delle prime strade ferrate) furono soprattutto usati per la forgiatura di strumenti agricoli.
Cambiarono anche i modelli dell’attività lavorativa: il granduca mediceo ne aveva fatto una sua privativa (la Magona granducale) in Pistoia, Pisa e Pietrasanta. Le politiche liberistiche di Pietro Leopoldo di Lorena vollero invece dare spazio soprattutto ai privati; i quali però depauperarono così gravemente i boschi da ridurre il lavoro delle ferriere. Nel personale impiegato nel corso del tempo erano sorte forme associative quasi – si potrebbe dire oggi – di modello sindacale. Erano conosciuti per il loro vigore e di come lo manifestavano, ad esempio, i chiodaioli di Pistoia.
La lavorazione del ferro non è stata l’unica della metallurgia toscana: vengono ricordate in diversi comuni quelle del rame, poi dell’ottone, dei metalli preziosi fra cui primeggiano le oreficerie di Arezzo. Ma c’erano anche esercizi di attività minori, pure riconducibili ai metalli pregiati: quelle della lavorazione degli ornamenti metallici della vita quotidiana e degli arredi liturgici.
Oggi la memoria di questa vocazione toscana alla metallurgia è rimasta a macchia di leopardo, ed è visibile attraverso la testimonianza dei numerosi parchi minerari e musei disseminati in diversi territori, tra i quali – oltre a quelli già citati - il Parco Minerario del Monte Amiata, il Museo delle Miniere di Santa Fiora e quello delle miniere di lignite di Cavriglia.