46 anni, ultima di tre figli, moglie e mamma di due maschi, sono cresciuta respirando “spirito di servizio”. E la mia strada, in qualche modo, è stata tracciata nei miei primi passi. Ho sempre pensato che la mia vita non sarebbe stata “ordinaria”: desideravo aprire una casa famiglia per bambini e, mentre attendevo che il mio progetto si realizzasse, mi sono laureata, ho fatto volontariato, lavorato e vissuto due anni in Kosovo con la Caritas.
Incinta del mio primo figlio, ho poi iniziato la mia avventura al CIAO: una vocazione che coinvolge tutta la mia famiglia. Mia madre ha fondato l’associazione insieme a un gruppo di amici della parrocchia, mio padre si è impegnato per anni come volontario, mio marito lavora con me come direttore, i nostri figli giocano in struttura con gli altri bambini.
Un “destino”, oltre ogni previsione e pensiero. E una faticosa compagna di vita, la fibromialgia, che rende tutto un po’ più difficile, che mi chiede di rallentare, dosare le mie forze, che mi fa scontrare con i miei limiti e mette profondamente alla prova la tolleranza verso me stessa. Gioie, fatiche, conquiste e salite: una vita ancora tutta da vivere.
La detenzione è legata al concetto di pena: riscontra che oggi il sistema carcerario promuova un'effettiva rieducazione e riabilitazione del carcerato?
Questa domanda è da sempre oggetto di riflessione e discussione. Ritengo ammirevole il lavoro che il personale penitenziario compie all’interno delle strutture, a fronte del sovraffollamento e della scarsità di risorse che caratterizzano il sistema. E degne di nota sono tutte le proposte che vengono fatte all’interno degli Istituti, quali l’istruzione e la formazione, le attività culturali e religiose, le imprese lavorative, che cercano di favorire la riabilitazione. Ma io mi occupo di attività extramuraria, e sostengo l’importanza delle misure alternative dove il soggetto continua a scontare la propria pena ma al contempo rientra nella società, si riabitua alle relazioni, rendendo più efficace l'opera di risocializzazione. Anzi, oserei dire, che le istituzioni ai vari livelli, la comunità civile nelle sue molteplici espressioni, ciascuno per quanto di competenza, ma insieme in modo integrato, hanno il dovere di adottare azioni e comportamenti adeguati e mirati che facilitino l’inclusione sociale. E l’associazione CIAO (Coordinamento alloggi per l’autonomia di mamme detenute con bambini), in questo impegno, c’è!
L'ultimo rapporto Censis sugli italiani, sottolinea una tendenza alla paura e alla chiusura verso l'altro, a quali fattori pensa sia dovuto?
Viviamo in una società frammentata che chiede di pensare a noi stessi. La vita è così incerta e precaria che abbiamo il timore che l’altro possa “rubarci” le poche sicurezze che ci sono rimaste. Le persone comunicano con i social e perdono il contatto diretto, umano. Penso sì, che ci sia molta paura: del futuro, dell’imprevisto, della situazione economica. C’è la paura di tutto ciò che è diverso da noi, il timore che l’altro possa “attaccare” la mia persona, la mia identità. Mentre è proprio nella condivisione che è possibile far fronte alle difficoltà e fatiche che la vita ci pone. E non si può negare la responsabilità che i media e la politica hanno nel raccontare la nostra società, perché la paura è di per sé emotiva, irrazionale e la gente crede e si convince. Come ho letto recentemente: forse per imparare a non avere paura della diversità, è utile ogni tanto sperimentare noi stessi come “diversi”.
È presidente del C.I.A.O., che gestisce la casa famiglia protetta per madri detenute e i loro bambini: ce ne può descrivere sinteticamente le finalità e l'organizzazione e da dove è scaturita questa idea?
L’associazione ha sede a Milano, all’ultimo piano di un edificio della Parrocchia Ss. Quattro Evangelisti. Dopo una pluriennale esperienza di accoglienza di detenuti, ex detenuti e loro famigliari, nel 2010 vi è la svolta. Sono bastate 12 ore, quelle di un permesso concesso a una donna detenuta in carcere insieme alla figlia perché partisse il progetto Mamma, sempre e ovunque, volto all’accoglienza di madri detenute con i loro bambini. I bambini, infatti, non devono stare in carcere e bisogna offrire la possibilità alle loro mamme di uscire in misura alternativa. Vogliamo tutelare il diritto del bambino di crescere con la propria madre, in uno spazio e un tempo adeguato a un equilibrato sviluppo psicofisico. Nel 2016, una convenzione firmata dall’associazione con il Comune di Milano e il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria e alla quale hanno aderito, nelle sue finalità, anche il Tribunale di Sorveglianza e il Tribunale di Milano, riconosce la struttura come casa famiglia protetta così come previsto dalla legge 62/2011. Tre alloggi per l’autonomia, una sala di condivisione, una ludoteca, la zona lavanderia e un lungo e ampio corridoio che “unisce”: è l’incontro della libertà di vivere la propria privacy e tranquillità, con la scelta di condividere e stare insieme. Le donne accolte con i loro bambini vengono prese in carico nella loro totalità: fornitura di beni necessari per gestire la quotidianità, sostegno nell’accesso ai servizi sul territorio (sanitario, scolastico, legale, …), accompagnamento socio educativo e supporto psicoterapeutico laddove necessario. Perché accogliere vuole dire non solo dare ospitalità, ma “accompagnare” la persona a riconoscere la propria identità e dignità di donna e madre, a crearsi nuove opportunità.
Come hanno risposto le istituzioni, pubbliche e private, al suo importante progetto?
Il progetto nasce proprio su sollecitazione delle istituzioni penitenziarie che, collaborando da anni con l'associazione, chiedono la disponibilità ad accogliere le mamme detenute coi bambini. La rete con le istituzioni e i servizi, pubblici e privati, è fondamentale perché ciascuno con la propria professionalità e competenza possa contribuire alla presa in carico, condivisa e responsabilizzante, del nucleo accolto. Sia la legge 62/2011 che la convenzione firmata col Comune di Milano non prevedono alcun onere economico per l’ente pubblico, ma noi, pur non sottovalutando l’aspetto finanziario, riteniamo siano comunque fondamentali la stima e l’apprezzamento che le istituzioni hanno per il nostro servizio, svolto per e con il territorio.
Da parte dei padri c’è collaborazione?
Il padre è una fondamentale figura per lo sviluppo del bambino e la sua personalità, ma di solito è sconosciuto, deceduto e, nella maggior parte dei casi, detenuto. Se è possibile, non portiamo i bambini in carcere per la visita, ma, per coloro che ne hanno diritto, attiviamo permessi perché il padre detenuto, anche scortato dalla polizia penitenziaria se necessario, si rechi in struttura e trascorra le ore concesse in compagnia del figlio/a. E qui favoriamo la relazione con i figli e la condivisione di momenti di quotidianità come il pranzo, i compiti e il gioco insieme. Al di là, infatti, di quelle che sono le prospettive e il futuro della coppia, si rimane comunque genitori.
Che tipo di rapporto si sviluppa tra una madre carcerata e i suoi figli? Quali sono i problemi più gravi?
Il rapporto materno, pur nella sua ricchezza affettiva, è soggettivo, ricco di sfumature che solo quell’essere mamma e quell’essere figlio portano nella relazione. Lavoriamo con le mamme in un ambito come quello detentivo dove spesso, proprio la privazione della libertà o il senso di colpa, portano la donna ad assumere un atteggiamento di insicurezza, a vivere un profondo stato di ansia e la paura di perdere il figlio. Accompagniamo la madre nell’assunzione del suo ruolo materno e delle sue responsabilità, la sosteniamo e incoraggiamo nelle attività educative e di cura. Tutte hanno un vissuto faticoso e doloroso: figlie private dell’amore materno, spose maltrattate o usate, bambine divenute madri troppo presto. La difficoltà più grande da gestire è quella legata alla limitata libertà: mamme e operatori cercano di far vivere ai bambini una normale quotidianità, di non farli sentire reclusi. Soprattutto quando arriva il momento della verità, quello in cui i figli iniziano a fare domande alle madri. Pochi dettagli, fondamentali, necessari per capire perché non possono uscire con la loro mamma quando vogliono, perché il loro fratello non è lì con loro, perché ogni volta che escono devono chiamare la polizia. Tutte le mattine, dopo aver accompagnato i miei figli, passo in associazione per augurare buona giornata ai nostri piccoli scolari. E quando la mamma mi dice che “Oggi non voleva proprio andare a scuola” la capisco, perché “Anche mio figlio, oggi, ha fatto un po’ di capricci”. Perché sono mamma anche io e fai loro capire che le comprendi, che le fatiche che vivono loro sono le stesse che vivi tu, e che grande deve essere la gratitudine per avere con sé il proprio figlio che va protetto, tutelato e amato sopra ogni cosa!
C'è qualche situazione che potrebbe raccontare?
Potrei raccontare di quelle accoglienze che arrivano così, d’improvviso, in una sera piovosa di novembre, quando scarcerano una donna straniera con una piccola di due mesi. E di quei bambini che devono rientrare in carcere perché la mamma ha ottenuto la condanna definitiva e non ha più diritto a stare lì con noi, e quindi, neanche lui. E di quel bambino che, dopo anni di comunità perché la mamma aveva deciso di non tenerlo con sé in carcere, ora è tornato a vivere con lei, insieme a noi. E di quei bambini malati, più o meno gravemente, intorno ai quali tutto il mondo CIAO si stringe, insieme alle loro madri, forti e coraggiose. E dei bambini che crescono con noi: spuntano i dentini, fanno i primi passi, iniziano a parlare, ti corrono incontro per abbracciarti. Sono momenti che la nostra quotidianità ci offre, attimi di gioia, stanchezza e faticose conquiste.
Milano è una città accogliente per i “diversi”?
Milano è una città molto attenta ai problemi di carattere sociale, sia a livello istituzionale, sia per la presenza di numerose realtà del privato sociale che svolgono fondamentali servizi a favore della comunità. Sono proposte alle quali è possibile aderire se si desidera impegnarsi attivamente, farsi coinvolgere, dare il proprio contributo. Milano è una città che corre ma che è in grado di fermarsi laddove c’è il bisogno. Milano è un crocevia di idee, esperienze, progetti, passioni di professionisti e gente comune che si incontrano e si fondono per fare “grandi” cose.
Ci può accompagnare in un itinerario della città che scopra la Milano generosa e “cont el coer in man”?
La prima fermata la farei nella San Gottardo Meda Montegani Social Street, un network che ha come principi fondanti la gratuità, l’inclusione e la socialità. Nati per favorire la conoscenza fra i vicini di casa in una relazione reale e non solo virtuale, le persone che vi fanno parte si aiutano reciprocamente e si prendono carico delle persone in difficoltà che incontrano sulla propria strada (nel vero senso della parola!). E sono cittadini normali, la Milano con il cuore in mano. Passerei per le attività promosse dalle parrocchie dove volontari di ogni età si impegnano in centri di ascolto, guardaroba, banco alimentare per poi andare all’Opera Cardinal Ferrari che con i suoi volontari offre pasti caldi, distribuisce indumenti, mette a disposizione docce e vestiti puliti, organizza attività. A me piace la solidarietà che parte dal basso, dal bisogno che viene colto e accolto. Mi piacciono le forme di aiuto che, seppure con professionalità e competenza, lavorano nell’ombra ma nell’amore del loro servizio.