Luca ha 18 anni e improvvisamente si accorge di non riuscire più a studiare, se non di notte, all'ultimo momento. Sente come un'impossibilità fisica, concreta, ad avvicinarsi allo studio concedendosi il tempo necessario la sua mente si blocca, si impenna, si chiude a qualsiasi apprendimento, c'è una sbarra che proibisce l'ingresso al nuovo.
Il nuovo può essere sinonimo di crescita, di vita e, forse, sente come pericoloso, addirittura proibito, accogliere dentro di sé la spinta a studiare-crescere, paradossalmente un'impresa da tenere nascosta, nelle tenebre, possibile solo nell'oscurità e nell'urgenza, deve sentirsi schiacciato dall'impellenza e da un tempo stretto: solo in questa condizione altamente stressante si può concedere di aprire la mente, di introdurre nuovi pensieri come se non fosse sua la responsabilità, ma una necessità che dall'esterno preme e lo costringe. Pare che il tempo sia un personaggio importante in questa storia, tempo del piacere e tempo del dovere, tempo da procrastinare e tempo da fagocitare, tempo lungo, infinito e tempo stringato, oppressivo, tempo che scorre via imprendibile e tempo tiranno. Luca è in balia del mostro-tempo che gli suscita una forte angoscia perché non si sente padrone in casa propria, ma è come se fosse abitato da fantasmi che si sono appropriati di sé offuscando la sua verità.
Ne resta intaccata tutta la vita, si sente sempre come stonato a scuola, con gli amici, in famiglia e questa difficoltà di regolarsi al tempo degli altri lo fa sentire in colpa, solo, diverso, confuso, escluso, criticato, non adeguato e imbrigliato in questa gabbia di proibizioni. L'unico cartello che vede chiaramente nel suo percorso di crescita è il segnale di divieto, il "non si può fare" è il dogma che costella la sua vita e allora no alla patente, no alle uscite con gli amici, no allo studio, no alle emozioni e, soprattutto, no al tempo libero, ed è proprio lì che, senza imbragature, si sente perso, come fluttuare in un infinito senza tempo e senza spazio che richiama le angosce agoniche del neonato del cadere nel vuoto per sempre e del frantumarsi in mille pezzi.
La madre non lo riconosce più, cosa ne è stato del suo bambino eccezionale? Non lo sente più suo, se ne allontana emotivamente e lo abbandona a una ereditarietà depressiva e bipolare che attiene al ramo paterno. Sua madre può solo stare in contatto col figlio ideale, non può accogliere e prendersi cura di Luca con le sue fragilità, né tanto meno può ascoltare e riconoscere la sofferenza del figlio che si sente sì diverso dagli altri, ma non perché individuo straordinario come l'aveva pensato lei, ma perché carenziato, spaventato, immaturo, incapace di percorrere la sua strada "mi sono sempre sentito non normale".
Finalmente, con l'esperienza di psicoterapia trova uno spazio e un tempo per sé, un tempo ritmato dagli appuntamenti delle sedute, che comporta un imparare a rispettare il giorno e l'orario convenuto, ad andare a tempo, in una nuova esperienza di armonia con se stesso e con l'altro; sperimenta inoltre uno spazio d'ascolto, di accoglimento di quello che è, del poter depositare i suoi pensieri, del potersi dire alla luce del sole senza dover ricorrere al segreto delle tenebre come avviene a casa. Probabilmente ha percepito che in sua madre non ci possa essere spazio e pensiero per un Luca diverso da quello agognato, sarebbe un peso per lei insopportabile, un dolore intollerabile, ma con la sua terapeuta lascia fluire i pensieri onirici in libertà non temendo di distruggerla, perché la sente forte più dei suoi mostri interni e soprattutto la sente vicina e in sintonia con lui. "... C'è un muro, è buio, ho voglia di vedere cosa c'è dietro... il muro c'è perché gli altri non scoprano chi vuole guardare di là...".
Quando si avvicinano periodi di vacanza, lo spauracchio del tempo libero non arginato da impegni regolari lo terrorizza, e anche ultimamente, nell'approssimarsi del periodo natalizio, si sente distrutto, deve stare a letto, un forte calo dell'umore lo invade come una pece nera che immobilizza, soffoca e, come un manto funebre, lo avvolge e lo nasconde proteggendolo dall'impatto col fulgore delle festività, fulgore abbagliante che potrebbe mettere a nudo la sua mente spaventata e ustionare la sua fragile pellicola di pensiero.
Anche l'atmosfera della seduta è fortemente intaccata dallo stato di paralisi emotiva di Luca, tutto sembra bloccato come nel maleficio della Bella Addormentata, dove assieme a lei tutto il reame era caduto in un sonno profondo, anche lì il tempo si era bloccato. E in seduta Luca segnala di sentire sonnolenza, malavoglia, noia, sensazioni che serpeggiano in quello strato profondo e antico, nell'originario tutt'uno dello psiche-soma, stato aurorale dell'esistere dove il dolore dell'impatto con la realtà può essere traumatizzante. Anche la terapeuta è avvolta da questa aura mortifera che sente come blocco comunicativo, come faticosità nello stare assieme e che, sensorialmente, avverte come una sensazione sgradevole di melassa.
Sembra che annaspino entrambi faticosamente in acque paludose, dove i movimenti sono rallentati, quasi paralizzati dalla melma, e col pericolo di essere risucchiati da un gorgo malefico, una sorta di buco nero ... Le immagini che Luca riesce a individuare e a estrapolare da dentro quella cortina appiccicosa sono quella di uno stop e di un semaforo rosso, entrambe possono raffigurare l'angoscia di morte o comunque l'arresto di un percorso, ma entrambe contengono anche un significato protettivo rispetto a eventuali incidenti, incontri pericolosi, entrambe veicolano il bisogno di una pausa necessaria, di una sosta per salvarsi da incontri/scontri che lederebbero la mente o da pensieri selvatici ustionanti.
Attingendo da queste immagini Luca e la terapeuta riescono a emergere dalla palude, si comincia a respirare, parlano del tempo, dell'angoscia di non starci dentro "corro per arrivare giusto perché parto all'ultimo momento...", infatti, anche in seduta arriva sempre trafelato, co-vivendo in diretta con la dottoressa l'angoscia di sentirsi vittima e incapace di abitare e gestire il tempo della vita, imprigionato in una ripetizione di rincorsa ansiosa per tentare, inutilmente, di essere a tempo.
In questa fase del trattamento i passi nella danza terapeutica incespicano un po', mettono in scena la difficoltà di sintonizzazione, c'è impaccio a volteggiare liberi e Luca esprimerà questa pesantezza con un'immagine speciale, speciale perché non usuale, speciale perché è tutta sua, speciale perché ha la forza di emergere nonostante la lava paralizzante, speciale perché produrrà trasformazione. Luca, dunque, dice di sentirsi con un pallone pieno d'acqua che pesa sulla schiena.
Da questa immagine così insolita, vero guizzo di vita energetico emergeranno pensieri nuovi, creativi che contribuiranno a dare senso a tutto quel buio asfittico e a far circolare aria, dunque vita, dunque speranza. Quella palla piena d'acqua ha evocato l'immagine di un utero, anche se posizionato nella parte posteriore del corpo, una sorta di gobba creativa, d'altra parte i cammelli hanno gobbe piene di acqua, riserve indispensabili che li mantengono in vita e permettono loro di attraversare il deserto. Forse Luca stava comunicando il bisogno di una scorta di idratazione affettiva per attraversare il deserto emotivo della sua vita. Mi è rimbalzata immediatamente nella mente La storia del cammello che piange un docufilm di cui avevo sorprendentemente ricevuto il link poche ore prima di ascoltare la storia del percorso terapeutico di Luca.
*È un documentario narrativo girato da Byambasuren Davaa e Luigi Falorni tra le sabbie del deserto del Gobi, dove una famiglia di pastori nomadi aiuta i cammelli del proprio gregge a partorire. Una cammella, dopo due giorni di travaglio dà alla luce un cucciolo albino che rifiuta di riconoscere e di allattare, vuoi per i patimenti provati e forse anche per il diverso colore del manto. I pastori si stringono attorno alla cammella, si danno da fare con viva partecipazione per aiutarla, si sente una preoccupazione profonda, come se non ci fosse cesura tra il mondo umano e quello animale, ma la tensione per la vita crea un legame intenso, si percepisce una condivisione del dramma della sofferente relazione della madre e il suo cucciolo, vibra una naturale armonia che commuove.
In particolare, una giovane donna si identifica col dolore della cammella e l'esperienza generativa che le accomuna la rende capace di avere nei confronti dell'animale una cura attenta e sensibile, tanto che accompagnerà con una nenia dolce e nostalgica il violinista chiamato dai pastori per curarla tramite il potere taumaturgico della musica. (usare la musica come terapia per gli animali è una pratica abituale tra i nomadi). Il suono del violino scioglierà in una lacrima il gelo nel cuore della cammella sciogliendo di conseguenza il suo rifiuto del figlio, scioglierà in una lacrima la lastra di ghiaccio che pietrificava e annebbiava il suo sguardo, così da poterlo finalmente guardare, riconoscere e nutrire*.
Questa storia ha generato una nuova pensabilità della situazione clinica, aprendo a una comprensione emotivamente più vicina alla madre di Luca, recuperando così una parte di quella disarmonia relazionale che contribuiva a inficiare la crescita armonica del ragazzo. Sono spontaneamente emersi pensieri affettivi verso di lei, una sintonizzazione con le sue parti ferite, colla difficoltà di accettare una separazione dolorosa, e il riconoscimento di un suo bisogno di essere sostenuta nel patire il dolore senza evacuarlo. Si è pensato a parole-musica che trasmettessero affetto, comprensione, accoglimento, parole sussurrate con un tocco rispettoso e rassicurante che la facessero sentire accolta così da potersi permettere a sua volta di accogliere il figlio.
È stato più facile vedere il suo bisogno di essere aiutata a trasformare il suo dolore impensabile in una possibilità di accettare e pensare a Luca in maniera diversa, realistica non imprigionata dall'immagine interiore di un figlio ideale. Nella pittura di alcune Annunciazioni, si vede calare dall'alto un raggio di luce o un angelo o, nel caso del film, si diffonde una melodia e una prosodia di parole cantante come una ninna nanna. Il pensiero di Stern sulla "costellazione materna" parla dell'estremo bisogno di una neo-mamma della propria madre che si identifichi con lei e condivida il cambiamento catastrofico della sua nuova condizione, che comprenda il suo travaglio trasformativo e non la lasci sola, proprio come fa mirabilmente la comunità dei pastori.
In particolare, la giovane del film identificata nella esperienza della generatività con la cammella, ha creato un contatto sensoriale con lei accarezzandola e parlandole, non lasciandola sola e spaventata, ma accompagnandola nel processo di trasformazione, facendola sentire compresa e contenuta. È stato più chiaro allora il bisogno della madre di Luca di essere aiutata a guardare negli occhi e a riconoscere il suo figlio reale, fatto di carne e ossa, per poterlo fiutare senza troppa paura, accettare nei suoi limiti con rispetto e fiducia, permettendogli di diventare se stesso. Questa è stata la musica che l'immagine di Luca ha donato alla sua terapeuta, a sua madre, a se stesso perché si potesse sciogliere, dalla immobilità mortifera, una calda lacrima di luce, di speranza, di vita.