Non voglio realismo. Voglio magia.
(Dal film Un tram che si chiama Desiderio)
Mani che imbrogliano è la seconda mostra personale dell’artista Alessandra Spranzi alla galleria P420 di Bologna, dopo Maraviglia (2014) e la collettiva Lumpenfotografie, per una fotografia senza vanagloria, a cura di Simone Menegoi (2012, con Hans-Peter Feldmann, Peter Piller, Joachim Schmid e Franco Vaccari).
La nuova mostra presenta lavori recenti e altri che risalgono fino al 1995 - una coralità che dimostra quanto nella ricerca artistica della Spranzi sia presente la volontà di attribuire all’attività del guadare un’azione magica - osservare diventa un rituale mistico pronto a svelare molteplici realtà segrete - nella vita silenziosa degli oggetti.
Gli oggetti che la Spranzi preferisce sono i libri, i manuali, le riviste vintage scientifiche, le riviste di annunci pubblicitari - ma soprattutto e non per ultime - le immagini stesse. Alessandra Spranzi, volendo usare un termine contemporaneo attinente al mondo digitale, screenshotta quello da cui è attratta per poi riproporlo - l’artista taglia, ritaglia, cancella, colora, isola, sottrae, evidenzia, mette in mostra una porzione inaspettata di realtà quotidiana. Alessandra Spranzi spoglia - riveste e denuda ancora un’altra volta, in un ciclo perpetuo di sguardi - l’immagine.
Alessandra Spranzi non crea immagini ex novo - ma va alla ricerca di quelle dimenticate - abbandonate - circoscritte a un’oscurità eterna - da queste macerie avviene una rinascita. Non è forse l’arte come la magia, in grado di condurci, come attraverso un ponte immaginifico, da uno stato di tangibilità fenomenica a quello di mondo invisibile e plurimo?
Le mani dell’artista non sono altro che mani ingannevoli, imbroglione, in grado di confondere e destabilizzare, di sorprendere, di divertire e appassionare il voyeur, ed ecco quindi che “le cose accadono” come il titolo dell’omonima serie di fotografie dal 2002 al 2006 - lo scatto più iconico in mostra rappresenta un primo piano sulle mani nascoste dietro la schiena di una donna che abilmente intreccia tra le dita tre palline da tennis.
Ecco che entra in campo l’elemento del gioco - in gran parte dei lavori in mostra - si ha l’impressione che i soggetti umani e gli oggetti entrino in contatto con una dimensione metafisica in grado di trascendere una banalità avvilente propria del quotidiano.
To play in inglese non a caso significa giocare - recitare, suonare - un verbo che attesta l’affinità simbolica di azioni così correlate. Giocare a guardare con nuovi occhi il grande spettacolo di magia che si cela dietro all’equilibrio di ogni realtà - ecco cosa ci sussurra la Spranzi in un eco incessante.
Nella serie L’insieme è nero il clima perturbante sale e cambia a seconda dei soggetti - da piatti di porcellana esangui e vergini a tovaglie sospese a ipnotizzatori di animali - un grande cabaret - un grande set a tratti orrifico - un horror vacui dalle atmosfere intrise di mistero da La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock.
L’insieme è nero ricorda inoltre il libro d’artista “Nel 1988 ho studiato (con) Ad Reinhardt”, non a caso celebre per le sue tele completamente nere (Black paintings) - un grande maestro del minimalismo. Quale più grande trucco se non quello di celebrare un astrattismo assoluto a sfavore di una realtà ormai naufragata?
La serie Sul tavolo ribadisce l’urgenza dell’artista di soffermarsi sui teatri silenti degli oggetti - connotati da una forte metafisica Morandiana - si ergono spogli e in equilibrio per mostrarsi nel loro totale abbandono - su un tavolo in legno di magistrale bellezza; è sul e attorno al tavolo che (anche se le persone non se ne accorgono) accadono le cose (proprio come ha raccontato l’artista a Luca Panaro in una splendida intervista su Flash Art qualche anno fa).
Se la realtà è oscura, nebulosa, ostica e irrisolta - incomprensibile nel suo manifestarsi come una tela di Ad Reinhardt - ma dalle mille sfumature - allora l’unico trucco a disposizione è scardinarne l’ordine tramite piccole illuminazioni, ecco allora che i lavori di Alessandra Spranzi come fari in lande nebbiose - portano in luce l’infinitesimale universo microscopico delle cose - tramite un’osservazione attenta - magica - colma di “maraviglia”.
In questo mondo quotidiano,
che somiglia tanto al libro delle Mille e Una Notte,
non c’è un solo gesto che non corra il rischio
di essere un’operazione di magia,
non c’è un solo fatto che non possa essere il primo
di una serie infinita.
Mi domando che ombre getteranno
questi oziosi versi.(Jorge Luis Borges)