L’incontro con Armando Riva avviene “per caso”, in rete, la mia passione per la ricerca del bello in tutte le sue sfumature mi fanno giungere a questo artista trasversale e poliedrico. Mi colpisce in modo particolare l’impatto visivo delle sue installazioni, paesaggi surreali del pensiero, architetture assolutamente intriganti. L’occhio dello spettatore si ferma, sussulta, per poi spingersi “oltre” cercando di sondare i meandri più reconditi di un’anima in continua trasformazione.
Il destino di suo padre sarebbe stato quello di morire in mare sulla prima nave affondata nella Seconda guerra mondiale, ma un piccolo infortunio sul lavoro alla Pirelli-Bicocca di Milano ha salvato lui e di conseguenza ha fatto nascere Armando. “Nato con la camicia” in un paesino del biellese, un’infanzia gioiosa circondato da zie che lo inseguivano per farlo mangiare, che gli spiegavano che la luna poteva solo guardarla ma non averla tra i suoi giochi, uno zio eterno bambino affetto da sindrome di down con cui conosce l’innocenza, lo stupore, il gioco e le bestemmie.
Armando Riva cresce con una mamma severa ma premurosa, dalla quale impara ad ascoltare molto e a parlare poco e un papà dolce da cui apprende a lavorare con le mani e ad essere sempre calmo, quasi sempre.
Il periodo dell’adolescenza è stato portatore di scoperte: la letteratura, la musica, la fotografia, l’arte. Gli studi tecnici gli sono serviti come un compasso per capire quanta distanza c’era tra la realtà e il sogno. Stare dietro a una macchina fotografica come Ugo Mulas a guardare gli artisti, poi stare davanti alla macchina fotografica cercando di essere un artista. Un gioco di ruoli che lo affascina e lo coinvolge in maniera travolgente.
Cercare di trasformare un pensiero, un'idea, in qualche cosa di concreto e visibile è stata la molla che lo ha spinto a “provare”. Inizia così a utilizzare macchine fotocopiatrici Rank-Xerox, modificandole per un uso non ortodosso in modo da trasformare un oggetto reale in un’idea di oggetto immaginario. Poi le Polaroid, fissare momenti e immagini e ricontestualizzarle in modo da cambiarne la percezione visiva ed emozionale. Il passo successivo e, oserei dire decisivo per Armando, è stato quello di utilizzare materiale di scarto, materiale normalmente destinato a un abbandono o a una distruzione, a suo parere mai meritata, quindi il recupero che si allarga allo scarto “mentale”, ricordi o memorie abbandonate, apparentemente e solo apparentemente perse. Tutto questo per creare, ricreare o scoprire le corrispondenze tra gli oggetti e le persone, attraverso il pensiero e il ricordo.
Nel 2015 a Milano, Armando Riva, in un simbiotico duetto con l’artista Roberta Toscano rinominato “Costarocosa”, presenta Progetto D'io sul concetto del limite, interpretando con le loro opere i testi delle tavole di scrittura di Alessandro Aleotti. I due artisti, quasi a voler sollecitare una resistenza altra, armati di cartucciere cariche di gessetti hanno dispiegato a terra un lungo foglio nero sul quale, a partire dai due opposti poli, hanno iniziato a scrivere e poi cancellare parzialmente parole e frasi. Come a voler riannodare un patto con la scrittura, col linguaggio, ricostruendo la comunicazione.
L’anno seguente Armando Riva presenta a Biella Memorie Abbandonate, progetto giunto anche a Bad Hersfeld in Germania nel 2018. Questo progetto fa parte di una seria di opere su Endina Loni (1929-2012), una fotografa o forse amatrice fotografica, di cui egli ha acquisito l'intero archivio nella sua stessa abitazione dopo la morte di lei. Un archivio cospicuo di cui Armando in più occasioni ha esposto sia le diapositive ordinatamente suddivise dalla fotografa stessa e poi presentate in piccoli bancali, sia alcune di queste da lui stampate a posteriori.
Ma nel lavoro esposto a Bad Hersfeld, le diapositive risultano trafitte da spilli. Gli spilli sembrano in questo caso, che tra l'altro non è il primo realizzato attraverso diapositive puntate con gli spilli, voler fermare un momento nello scorrere del tempo, a ogni diapositiva doveva infatti corrispondere un moto interiore, un interesse verso il soggetto, una fissazione visiva e la volontà di fermarla trasformandola in immagine, di non lasciarla sfuggire. Il fatto che questa fotografa non sia così nota e che le immagini di parte di questo archivio in altre installazioni non siano visibili, non fa che sottolineare la fragilità di ciò che è transeunte. Armando è anche stato colpito da quanto per lei queste immagini fossero importanti, vista la grande cura devoluta nel catalogarle.
“L’arte non è solo privata, ma è anche sociale”, racconta Armando “l’arte ha bisogno dell’altro per nascere, per crescere e anche per morire. Vivere l’arte per me è una continua partenza, un perenne inizio, non saprei scandire le tappe e ordinarle cronologicamente, lavori fatti trent’anni fa li posso vedere oggi come una novità, una creazione attuale, è come riascoltare una voce cara che ti parla senza mai spegnersi. Non so se quello che faccio è arte, in natura nulla risponde al nome di arte, però so che quello che faccio è una parte fondamentale e indispensabile della mia esistenza, che senza di questo non saprei cosa fare, che qualcuno da qualche parte ha bisogno anche di questo”.
Nel 2017 a Vercelli presenta il progetto Sconfinamenti che approfondisce il tema dello spazio inteso come duplice senso di pieno e vuoto. Entrare e uscire, attraversare le linee del confine tra un luogo e un altro sono gli sconfinamenti. Tensioni e passaggi continui dal dentro al fuori, intervalli di campo che segnano il varcare continuo delle linee di confine. Movimento e contromovimento che riportano a nuovi piani fisici e della mente. Intersecazioni, compenetrazioni del tempo e dello spazio, che si compiono senza soluzione di continuità in un susseguirsi di svanimenti: passaggi di stato che disegnano forme di assenza, abbandoni, contorni via via più sfumati nei dettagli ambigui della memoria.
Armando Riva delinea e pone, con questa sua opera, l’impalcatura formale di questa suggestione in una zona di confine estrema quale la stanza che era un obitorio. Costruisce piani in sequenza in cui è possibile esercitare la messa a fuoco dei rapporti mnemonici con i trascorsi rinnovando le distanze con gli echi, con i riflessi del pensiero emotivo ovvero attraversamenti e stasi di osservazione raccoglimento e riconoscimento. Muovendosi nell’opera lo spettatore è libero di scegliere il punto di vista, le angolazioni: eleggere l’interno o l’esterno di quel confine oltre il quale gettare lo sguardo, scegliere la propria finestra operando il proprio sconfinamento appropriandosi dell’opera stessa, che si offre come confine universale.
Alla mia domanda “Progetti per il futuro?” Armando risponde risoluto e sorridente “Il progetto più grande per il futuro è quello di camminare dandogli le spalle, guardando sempre al passato sorprendendosi sempre del presente”.