Anissa abitava in una casetta di legno nel bosco con la nonna Teresa. Era una casa piccina come quelle delle fate, dipinta di azzurro e giallo come il cielo e il sole. Davanti alla casa, la nonna Teresa aveva ricavato un orticello in cui coltivava ogni ben di Dio, cibo divino che cucinava con amore nel suo angolino addetto al nutrimento. In un cantuccio dell’orto, fiore all’occhiello della proprietà, vi era l’Antico Pozzo degli Antenati, la vera ricchezza delle due donne. Gli faceva ombra un enorme albero da cui pendevano frutti di ogni tipo in ogni stagione. Nell’Antico Pozzo l’acqua non mancava mai, era pura, fresca e leggera come il tempo dei sogni.
L’albero poteva sembrare un vecchio fico, invece era una pianta fatata regalata alla nonna Teresa da un Elfo del bosco. Un semplice bastone fatto di pioppo si era riempito di germogli azzurri, viola, verdi, gialli, rossi crescendo fino a raggiungere il cielo. Nel suo tronco cavo alloggiava una vecchia lupa bianca, con cui la nonna trascorreva molte delle sue ore. Sembrava si confessassero i segreti del bosco, discorressero delle origini della vita o della magia che investiva chiunque si fermasse in quello spazio. La nonna Teresa era un’abile cantadora: raccontava ad Anissa magnifiche storie. Pareva gliele suggerissero delle voci, una moltitudine di voci provenienti dal fondo del Pozzo. Perché il Pozzo era così profondo che nessuno aveva mai saputo quanto. Se si gettava infatti un sasso e si aspettava di sentirne il rumore, si restava spaesati perché il suono non arrivava mai, quasi che il Pozzo giungesse proprio al centro della terra.
La nonna Teresa narrava ad Anissa delle ossa dei loro antenati sepolte nel fondo del Pozzo. Infatti nell’acqua si potevano udire suoni, gemiti e lamenti, i canti di quelle anime pure e sagge che sostenevano le loro vite. Anissa si affacciava spesso a guardare l’acqua sorgiva del Pozzo, si specchiava nel suo riflesso, si rinfrescava viso e mani e ascoltava quel suono ribollente di vita. Le capitava di fare spesso lo stesso sogno: si trovava dentro al Pozzo con il corpo sommerso nell’acqua e la faccia fuori, non galleggiava né affondava, ma si sentiva sostenuta alle sue radici. Guardava sotto di sé e scorgeva il volto di una vecchia rugosa le cui mani ossute tenevano con forza le sue caviglie. Guardando ancora più in basso vedeva una donna ancora più vecchia e rugosa che sosteneva allo stesso modo la prima vecchia e così poteva osservare un corteo inesauribile di vecchie rugose e ossute che si sorreggevano l’un l’altra come fossero un altissimo albero della vita. Anissa non riusciva a distinguere l’ultima vecchia e non sapeva se l’interminabile catena di vecchie poggiasse i piedi da qualche parte. Grazie a questo sogno non si sentiva mai sola, nemmeno quando la nonna spariva nel bosco per intere nottate. Nelle notti di plenilunio, infatti, la nonna incontrava le sue amiche per festeggiare la pienezza dell’astro argentato. Anissa avrebbe voluto curiosare, ma evidentemente non era ancora tempo. Quando la Stella del Mattino compariva all’orizzonte, le due donne si levavano e cominciavano la loro giornata, indaffarate a costruire le loro vite.
Una mattina la nonna non tornò e Anissa decise di andare a cercarla. Era una giornata di inizio estate e il sole illuminava la foresta penetrando in ogni anfratto. Anissa si vestì, prese un tozzo di pane, una fetta di torta della nonna, raccolse una mela, una pesca e un fico e li mise in una vecchia sacca. Poi prese un otre di pelle di montone e lo riempì d’acqua fresca. Quando s’inchinò per prendere l’acqua, udì distintamente una voce che sussurrava:
Per cercar nonna Teresa
segui la Stella del mattino
prendi la sua mesa
portati il pendolino.
Per trovar la vecchia
prendi un portafortuna
porta un osso di seppia
da donare alla Luna.
Allora Anissa andò a rovistare tra gli oggetti della nonna e trovò una piccola mesa, un tavolino grande quanto un fazzoletto, sopra il quale erano poggiati un pendolino, un osso di seppia e una collana di noccioli di pesca. Mise ogni cosa nella sacca e s’incamminò nel bosco. Per molte ore non incontrò anima viva. A un tratto sentì muoversi le fronde e udì un sibilo. Si voltò ma non vide nessuno, si accorse, però, che per terra un mucchietto di ossa si muoveva dietro di lei. In un primo momento fu terrorizzata, poi pensò alle ossa degli antenati sepolti nel pozzo e si fermò. Rivolse la parola a quel mucchietto e subito vide comporsi uno scheletro:
Son la lepre dorata
corro nella foresta
dicono che son matta
vado dov’è la festa.
Usa quel pendolino
scopri la direzione
trasforma lo scheletrino
segui la sua intenzione.
Anissa prese il pendolino e lo fece oscillare nella direzione dello scheletro. Lo scheletro si trasformò immediatamente in una lepre dal pelo biondo e gli occhi d’oro che fuggì tra le foglie. Anissa le corse dietro. Dopo due ore di percorso la lepre si fermò e bisbigliò:
Fermati a riposare
la fata devi aspettare
io devo proseguire
lei ti deve aiutare.
Dette queste parole, la lepre sparì veloce nella foresta e poco dopo Anissa non sentì più il suo passo. Si sedette su una pietra, aprì la sacca, prese i tre frutti che aveva portato e li pose sulla mesa della nonna, poi bevette dall’otre. In quel momento in un turbine di luci si materializzò davanti a lei una fata piccola e carina, tutta vestita di rosso. Portava alla mano sinistra, invece della bacchetta magica, un’enorme spada argentata. Con un colpo di spada tagliò i frutti in due parti perfettamente uguali e disse:
I frutti sono tuoi
mangiane solo metà
e non quanti ne vuoi
poi metti il resto qua.
Detto questo la fata sparì diventando polvere argentata. Anissa mangiò le tre metà dei frutti tagliati e conservò le metà rimaste nella sacca come aveva suggerito la fata. Poi s’incamminò nella direzione giusta. Lungo la strada incontrò insetti, uccelli e altri animali amici. Verso sera si sentì stanca e si sedette vicino a un grande tronco. Apparecchiò la mesa con il pane e la torta della nonna e si apprestò a mangiare dopo avere bevuto un sorso d’acqua dall’otre. Una nuvola rossa uscì da un incavo del tronco e prese la forma di un vecchio drago, alto e magro, rugoso come il più vecchio dei draghi mai visti. Non sembrava un tipo pericoloso, infatti dalla sua lingua di fuoco lunga e sottile uscirono solo parole:
Per i tuoi sedici anni
raggiungi la tua meta
cammina senza affanni
non farti venir fretta.
Mangia il pezzo di torta
dona a me il tuo pane
la luna è appena sorta
regina in un reame.
Prosegui il tuo cammino
sapendo che hai le ali
sei proprio assai vicino
non metterti gli occhiali.
Dopo che ebbe parlato, il drago prese il pane e svanì.
Anissa mangiò e bevve e, dopo essersi riposata un poco, riprese la via. Camminò fino a una rupe. Il sole scendeva velocemente dietro la montagna e il cielo diventava amaranto. Dopo il tramonto del sole, una straordinaria luna scarlatta sorse dall’altro lato del cielo. Gli occhi di Anissa guardarono verso una radura non lontana dove scorse la lepre, la fata e il drago. Si avvicinò loro e attese. Il drago assunse pian piano le sembianze di un vecchio, il vecchio più vecchio che avesse mai visto e perse la sua pelle di drago. Quando la trasformazione fu completata, il vecchio mormorò:
Son il primo antenato
maestro di saggezza
al sogno incatenato
campione di vecchiezza.
Tra le mie ossa è posta
la vita lunga e dura
percorso fatto apposta
per chi non ha paura.
Son quello che sostiene
bloccando la caduta
ogni vecchia al suo piede
tengo il filo a tua insaputa.
Se guardi attentamente
ti dono ogni certezza
son lì nella tua mente
ti assisto con destrezza.
Conosco il tuo bisogno
nel pozzo del mistero
conosco il bel disegno
del tuo destino vero.
Così dicendo il vecchio scomparve e la parola passò alla fata che nel frattempo era diventata una vecchina piccola e carina, con i capelli argentati e gli occhi dorati. La vecchina così parlò:
Come prima antenata
la spada posso usare
son la più vecchia fata
che giace in questo mare.
Gioca come un guerriero
usa bene la tua lancia
con il tuo sguardo fiero
colpisci nella pancia.
Vinci tutta la guerra
il nemico è originale
buttalo prima a terra
ma prova a perdonare.
I due vecchi si allontanarono nel bosco, mentre la lepre si trasformò in una vecchietta dai capelli dorati e gli occhi di madreperla azzurra. Con una vocina rauca e lontana canticchiò:
Sono certo la più matta
ma solo una vecchina
né drago né son fata
ma vispa e chiacchierina.
Io corro tutto il giorno
cambio spesso dimora
non faccio mai ritorno
questo ho fatto finora.
T’insegnerò apertura
a vita e cambiamento
senza alcuna paura
e sempre in gran fermento.
Mi chiamo Pasqualina
non son una badessa
son brava anche in cucina
a far la pappa lessa.
Corri veloce e danza
in questo cerchio sacro
cogli tutta l’essenza
e lascia il simulacro.
Mentre la lepre-vecchina parlava, la luna splendeva argentea e sulla radura comparvero pian piano una miriade di vecchine, tutte vecchie come la lepre. Come ebbe finito la sua canzone anche la lepre-vecchina prese posto tra le altre disposte in un grande cerchio. Le vecchine erano vestite con veli di tulle bianco, cuciti tra loro come enormi fazzoletti e le loro teste candide e turchine brillavano sotto l’occhio attento della luna. Dal cerchio delle antenate usciva una specie di canto senza che la voce di ognuna fosse percettibile. A un certo punto, poi, una luce intensa si fece largo tra gli alberi. Apparvero quattro lupi bianchi che trainavano una slitta: sopra sedeva una dama con un vestito argentato, ampio e pieno di veli, il volto nascosto da una veletta di organza. La dama prese posto al centro del cerchio delle antenate formando un altro cerchio insieme alle lupe. Anissa riconobbe la vecchia lupa che abitava nel tronco cavo dell’albero sopra il Pozzo. La dama cantava e si sfilava le vesti mentre le quattro lupe si sfilavano le pellicce trasformandosi in cinque splendide fanciulle. Nella giovane dama Anissa riconobbe la nonna da giovane. Teresa fece cenno ad Anissa di togliersi gli abiti e di entrare nel cerchio più piccolo:
Partecipa al gran ballo
che avviene in questo luogo
festeggia il compleanno
e sciogli presto il giogo.
Sei nata dal mio piede
di tutti i piedi in cerchio
dovrai tu sostenere
la prova del coperchio.
Vaga nella foresta
e cerca attentamente
col sole o la tempesta
lo scheletro accogliente.
Raduna le tue ossa
raccogli con pazienza
datti una bella mossa
conosci la tua essenza.
Dopo le parole della nonna Teresa, la fanciulla-lupa del tronco cavo sopra il pozzo cantò questa filastrocca:
Uccia baciccia
salta la miccia
sciogli la tela
scuci la vela.
La lepre-vecchina, uscita dal grande cerchio per un attimo rispose:
Tira la tiacca
cuci la scocca
sbuccia la mocca
rizza la lobba.
La nonna Teresa annunciò ad Anissa:
“Dovrai pronunciare queste formule magiche per ricostituire le ossa, ora partecipa alla festa, poi, alla prima luce dell’alba volta le spalle e vattene senza girarti mai indietro. Dopo una giornata di cammino incontrerai l’Elfo della foresta che ti aiuterà a trovar la strada. A presto figlia mia.”
Dopo queste parole, ebbe inizio la cerimonia delle fate-streghe-vecchissime-antenate. Una vecchina dai capelli azzurrini accese l’erba sacra e purificò tutte le altre vecchine del cerchio che diventarono leggere come piume e iniziarono a svolazzare con le vesti candide al vento. La lepre impresse al volo una velocità di rotazione costante e tutte le vecchine volarono ruotando intorno al cerchio più piccolo e ululando in modo selvaggio:
“Uuuuuuuuuuuuuhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh.”
Le lupe del cerchio interno, risposero in coro con un ululato molto più forte:
“UUUUUUUUUUUUUUUUUUHHHHHHHHHHHH.”
Anche le lupe si misero a volare in cerchio nel verso opposto rispetto al volo delle vecchine. Teresa, invece, si alzò in aria sopra i cerchi che ruotavano così velocemente che Anissa vedeva solo due nuvole bianche. Dopo una lunga rotazione, sotto lo sguardo attonito della luna, le vecchine divennero cavalli bianchi galoppanti con le criniere al vento, mentre le lupe si trasformarono in un grosso toro candido. Il toro sembrava indomabile, eppure la nonna lo cavalcava e lo ammansiva tenendolo per le corna e accarezzandogli di tanto in tanto la coda dritta e pelosa. Dopo varie ore di rotazioni, trasformazioni da vecchine in cavalli, da lupe in toro e viceversa, dopo ululati, gemiti e lamenti di una bestialità selvaggia, tutto divenne canto e danza e il cielo si unì alla terra con l’applauso di tutte le stelle, fino a quando la luna e il sole effettuarono lo scambio. Nonna Teresa orchestrava la danza dell’universo in quella notte di ritorno selvaggio agli istinti. Quando giunse l’aurora, Anissa si ricordò del dono per la Luna, prese la collana di ossi di pesca e la depose al centro della danza, poi s’inoltrò nella foresta.
Non si voltò più anche se canti e suoni selvaggi le risuonavano nell’animo con la forza di una sferzante pioggia d’amore. Per questo rimasero incisi come un marchio a fuoco nelle pieghe sottili del suo piede. Era stanca, non dormiva da tante ore e un sonno pazzesco scese come una scure sui suoi occhi. Quando le palpebre stavano per cedere al sonno, vide una capanna di fango e paglia, la raggiunse, vi entrò e si lasciò cadere sopra un soffice letto. Precipitò nel braccio nero del sonno per un tempo senza tempo. Quando si svegliò, si rese conto che nella capanna regnava un grande ordine. Il letto era un comodo e fresco giaciglio di legno e paglia e un tavolino di quercia era apparecchiato per la colazione: frutti di bosco, un tozzo di pane, un dolce di mirtilli, una piccola zucca contenente acqua fresca e vari barattolini di legno con diversi tipi di semenze. Il sole entrava nelle fessure dell’uscio. Anissa si stropicciò gli occhi e osservò una corona di mirto e spighe, una ghirlanda di petali di rosa e una collana di semi di girasole posti sopra una mensola. In quel momento l’uscio si aprì e comparve un Elfo, verde come il fogliame del bosco, vestito di foglie secche e con i capelli fatti di fili di giunco. Era piccolo e magro e portava una barbetta rossastra sul mento. La colpirono gli occhi scintillanti come schegge d’ossidiana e le mani rugose ma lunghe e delicate. Anissa parlò per prima e disse:
“Devi essere l’Elfo della Foresta. Mia nonna mi ha detto che ti avrei incontrato. Aiutami a costruire la mia ossatura.” L’Elfo rispose con una voce sottile come il fruscio delle fronde nel vento della foresta:
“Sono Liano, l’Elfo della Foresta. Questi cibi ti daranno energia, mangiali. Poi indossa gli oggetti. La corona ti proteggerà dagli esseri malevoli del bosco, la ghirlanda attirerà le energie benefiche della foresta e la collana ti servirà quando avrai fame. Ogni seme contiene un cibo magico sufficiente a farti passare fame e sete ogni volta che lo vorrai. Mangia una volta al giorno e ti dureranno tre mesi. Porta con te questo amuleto d’ossidiana, vi è scolpito il volto del primo avo. Usalo per orientarti nella foresta. Prendi anche questo fossile di conchiglia, vi è scolpito il volto della prima ava. Utilizzalo quando avrai trovato le tue ossa. Questo fossile ha l’età della vita sulla terra ed è un concentrato di saggezza”.
Dopo che ebbe parlato con dolcezza, l’Elfo sparì in una nube di polline. Anissa fece colazione e si sentì fresca e serena. Mise in testa la corona, al collo la ghirlanda e la collana e si vide bella ed elegante. Pose gli amuleti sul fondo della borsa e si incamminò nella luce del mattino. Il sole le penetrava nella pelle e nel cuore. Gli uccelli volavano cinguettando allegri e tutti gli animali del bosco erano gioiosi. Gli alberi si inchinavano al suo passaggio e la salutavano agitando le fronde. Le pietre brillavano come stelline luminose. Anissa avvertì dentro di sé tutta l’armonia della foresta e si rese conto di essere protetta. Camminava scalza per ascoltare ogni gemito e ogni lamento e per avere coscienza della direzione in cui proseguire. Quando credeva di aver smarrito la via le bastava stringere in mano l’amuleto d’ossidiana e ascoltare i suggerimenti del suo primo antenato. Dopo un mese di cammino in cui trovò sempre un giaciglio per la notte - dentro un tronco, sopra un albero, in una casetta tra le fronde - giunse in prossimità di un laghetto.
Era l’ora del tramonto. La pervase un senso di spaesamento angosciante. Si avvicinò al lago e nella trasparenza dell’acqua osservò il riflesso argenteo di un mucchietto d’ossa. Ebbe un brivido di terrore quando le vide saltare fuori e stendersi ai suoi piedi. Arretrò spaventata, ma il mucchietto la seguì. Si fece forza stringendo in mano il fossile dove era scolpito il volto della prima antenata e fu investita subito da una raffica di energia benefica. A quel punto provò a muoversi camminando al bordo del lago e le ossa seguirono ogni suo passo. Quando Anissa completò il giro del lago, le parve che le ossa sorridessero. Non avrebbe saputo dire con certezza a quale tipo di animale appartenessero, perché l’ossatura non era completa e i pezzi le venivano dietro alla rinfusa, ma potevano essere ossa di cane, di lepre o forse di lupo. Il suo viaggio proseguì con questa compagnia che non la lasciava nemmeno un istante, cosicché lei si abituò alla loro presenza. Infatti esse erano gentili e amorose e divennero indispensabili alla sua interezza. Non andava più da nessuna parte se non aveva controllato se il mucchietto le veniva dietro, come un’ombra senza la quale la propria immagine non ha riflessi. Nel mucchietto mancava il teschio, invece si provava la sensazione che in esso ci fosse come il pulsare di un cuore.
Dopo un mese di cammino, in una sera di tempesta, Anissa giunse in prossimità di uno strano torrente. Scorreva tra rovi e insenature difficili da attraversare ed era quasi interamente nascosto tra le foglie. Lo scoprì solo per il suono dell’acqua che vi fluiva anche se quel suono nascondeva una sorta di sinistro presagio. Il mucchietto, infatti, la seguiva circospetto come se il cuore avesse timore di pulsare. Non si udiva più il canto degli uccelli e anzi tutti gli animali che le avevano tenuto compagnia fino a quel momento sembravano scomparsi. Per questo Anissa prese in mano la conchiglia fossile e si fece invadere dalla sua energia benefica. Sentì due energie opposte che lottavano tra di loro, cosicché toccò i petali della ghirlanda per spostare verso di lei il campo di energia positiva. In quel momento pensò alla collana di semi di girasole, tolse un seme e si nutrì. Questo la fece sentire forte e fece tornare il respiro al mucchietto che la seguiva. Anissa intuiva che stava per trovare qualcosa. Si spinse tra i rovi e gli stretti passaggi del torrente, finché non si accorse che il suo corso entrava nelle viscere della terra. Si fece coraggio e si spinse sotto. Riconobbe immediatamente il brillio delle ossa, riluceva nel buio assoluto del canale sotterraneo il lume di lunghe ossa che parevano arti. Avvertì che il mucchietto pulsava più forte e vide distintamente che quegli arti si congiungevano con il resto delle ossa e che si materializzava una scheletro senza teschio. Riconosceva arti e schiena di una animale selvaggio che camminava a quattro zampe seguendola con un’eleganza felina, il passo ovattato di una pantera. Ma non era un felino. Questa ossatura cominciava ad acquisire bellezza e forza. Anissa si impose di completare l’opera di ritrovamento delle ossa prima di esaurire le scorte di cibo.
Camminò tra scoscesi dirupi e dolci colline, tra animali selvaggi e alberi rigogliosi ma le parve di non trovare nulla che completasse la sua ossatura, sempre monca della testa. Stava quasi per farsi prendere dallo sconforto, quando si ricordò del suo primo antenato. Prese in mano l’amuleto e chiese intensamente all’energia dell’ossidiana in che direzione muoversi. La pietra si rivoltò nelle sue mani come un ago di bussola indicandole di tornare indietro. Qualcosa nel suo cammino le era sfuggito. Dopo mezza giornata di strada, si appoggiò ad una strana quercia e avvertì una lama di freddo alle spalle. Lo scheletro arretrò spaventato come se qualcosa gli impedisse di passare, una sorta di spirito malvagio e infido. Anissa capì che doveva voltarsi e guardare in faccia la quercia. Un terrore immenso la invase quando vide il ghigno sinistro di quel volto fatto di rami intrecciati, intricati e senza fronde. Dietro la quercia pietrificata vi era una fessura. Anissa prese in mano la sua conchiglia fossile per prendere coraggio e si introdusse nella crepa. Lo scheletro era pietrificato dal terrore e ad ogni passo si avvertiva come un’aritmia nel suo respiro. Anissa iniziò a battere i denti dalla paura e si aiutò con i petali della ghirlanda. Un poco di calore la raggiunse ma non fu sufficiente a scaldarla. Si apriva davanti ai suoi occhi una distesa di querce pietrificate. Il terreno era ricoperto di cenere come se, in quel tratto di foresta, un incendio avesse distrutto ogni forma di vita lasciandosi dietro solo terra riarsa. Quelle querce sinistre con i rami intrecciati parevano tante malefiche teste di medusa.
Anissa capì che doveva passare per quel baratro. Toccò la collana e si rese conto che le erano rimasti solo due semi di girasole, li prese entrambe e se li mangiò. Era convinta che senza quella dose doppia di energia non sarebbe riuscita a oltrepassare quel luogo. Lo scheletro ricominciò a respirare timidamente, muovendosi circospetto come se si trovasse su un territorio minato. Anissa si caricava con l’energia dei petali della ghirlanda, stringeva nella mano l’amuleto d’ossidiana e nell’altra mano la conchiglia fossile. Si era infilata le scarpe perché non sopportava il freddo contatto con quella parte del bosco. Camminando tra le spaventose teste di medusa, desiderò infinitamente di incontrare un’anima che non le fosse ostile. Improvvisamente comparve davanti a lei una nube di polline e ne uscì il suo amico Elfo della foresta. L’Elfo la prese per mano e la condusse attraverso le querce in silenzio. L’ossatura senza testa li seguiva con un respiro affannoso e titubante. Dopo una terribile ora di silenzio e di ghiaccio, Anissa giunse all’imboccatura di una caverna, lo scheletro appresso sempre più spaventato. L’Elfo finalmente sussurrò:
Nella caverna entra sola
sarà molto importante
passa dall’ingresso viola
trova la parte mancante.
Ti dovrei sostenere
ma tu ce la farai
ora mi tocca sparire
tirati fuori dai guai.
Anissa si fece ancora forza con gli amuleti. Fece un passo e si trovò al buio della caverna. Il silenzio di tomba che vi regnava le faceva provare un terrore senza fine. Dietro di lei lo scheletro acefalo camminava senza fiato e in quella solitudine immensa i due si addentrarono nella caverna percependone tutta l’energia ostile. Dopo un’ora di cammino nel buio assoluto, Anissa e lo scheletro videro che lo spazio si restringeva facendosi ancora più soffocante. Percorsero un cunicolo stretto che penetrava sottoterra. Dopo pochi passi videro un chiarore. Un teschio brillava nel buio, le orbite degli occhi imprigionate dai tentacoli di un fossile di medusa. Anissa si avvicinò e lo toccò. A contatto con la sua mano calda, i tentacoli si polverizzarono in minuscoli granelli. Il teschio volò sopra lo scheletro e un bagliore immenso illuminò la caverna. Anissa capì di trovarsi proprio in fondo al pozzo, nel suo canale più remoto. Strinse forte gli amuleti e pronunciò le formule magiche che aveva appreso durante la cerimonia al chiaro di luna:
Uccia baciccia
salta la miccia
sciogli la tela
scuci la vela.
Tira la tiacca
cuci la scocca
sbuccia la mocca
rizza la lobba.
Poi guardò l’ossatura dello scheletro con amore e si accorse che ogni osso si riempiva di polpa e la vita invadeva quel corpo esanime. Quando ogni osso fu circondato di nuovo di carne, si materializzò un magnifico lupo bianco bello come non ne aveva visto mai, con gli occhi di fuoco e il sorriso splendente. Si avvicinò vinta da un’attrazione magnetica e lo strinse tra le braccia. Al lupo cadde la pelliccia e dalla sua nudità nacque un giovane bello come la natura fa le sue creature più selvagge. Aveva i capelli e gli occhi neri come l’amuleto d’ossidiana, le mani affusolate e la pelle sotto il piede candida come il latte. Sembrava affamato e assetato. Anissa prese dalla sua borsa i tre mezzi frutti che le aveva fatto conservare la fata e il suo otre pieno d’acqua e li offrì allo sconosciuto. Egli divorò tutto voracemente e bevve a lungo dall’otre che come si svuotava si riempiva di nuovo magicamente di acqua. Quando la sua sete fu finalmente placata, dalla bocca risplendente di sorriso uscì un canto:
Sono il principe del tempo
ti ho seguito fiducioso
è finito il mio tormento
ero un cucciolo pauroso.
Mi hai ridato l’ossatura
affrontando dure prove
dopo un viaggio d’avventura
hai trovato la mia chiave.
Il mio corpo senza polpa
in un luogo freddo e stregato
hai liberato dalla colpa
che medusa ha imprigionato.
Ora che son qui con te
la mia vita torna rosa
io mi sento come un re
voglio che tu sia mia sposa.
Anissa fu vinta dall’amore per quel giovane pieno di tenerezza, si avvicinò a lui e si abbandonò ad un caldo abbraccio. I due sposi risalirono come in un vortice dal fondo del pozzo e si ritrovarono in cima grazie alla spinta degli spiriti di tutti i loro antenati. La nonna Teresa li stava aspettando per celebrare le nozze con l’aiuto dell’Elfo della Foresta. L’Elfo ringraziò Anissa per aver liberato la foresta dall’incantesimo di una malvagia e potente maga. La strega fu scaraventata nel regno delle tenebre e la nonna Teresa celebrò la loro unione con i riti del bosco. Fu un’armonia di canti e danze, fu la gioia di tutti i viventi a partecipare alle loro nozze e l’energia di tutti gli spiriti dei loro antenati a garantire un’unione lunga, feconda e felice. Anche le ossa della nonna Teresa ora sono sepolte nell’Antico Pozzo degli Antenati e la sua dimora nel bosco è abitata da due splendidi vecchietti, giovani come la luce del loro amore e ricchi come il loro bagaglio di saggezza. Anissa conserva sempre il fossile di conchiglia della sua prima antenata mentre l’amuleto di ossidiana lo ha donato a suo marito. L’Elfo della Foresta si ferma spesso da loro ad insegnargli i segreti del bosco. E non finiscono mai di imparare.
Un vecchino e una vecchina
hanno nel Pozzo sepolto un forziere
vivono dentro quella casina
se non ci credete venite a vedere.