Numerosi autori latini, dallo storico Livio (59 a.C. – 17 d.C.) al giurista Ulpiano (170 d.C. – 228 d.C.), hanno tramandato nelle loro opere le origini etimologiche e semantiche del termine “stipendio”, che si ricollegano alle prime forme di remunerazione dell’esercito: “stipendium”, voce risalente all’epoca dell’ultima guerra tra Roma e la vicina e ricca città etrusca di Veio, indicava infatti la paga del soldato, da “stips” (piccola moneta utilizzata nelle transazioni quotidiane) e “péndere” (pesare), in quanto prima dell’introduzione della moneta coniata i pagamenti venivano perfezionati mediante la pesatura del metallo.
La narrazione di Tito Livio (Ab Urbe condita Libri, IV.59.11) riporta che il soldo militare fu istituito in occasione della presa di Anxur (odierna Terracina) nel 406 a.C.: “senatus (decrevit) ut stipendium miles de publico acciperet, cum ante id tempus de suo quisque functus eo munere esset” (“il Senato decretò che i soldati ricevessero uno stipendio tratto dal tesoro pubblico, mentre fino a quel momento ciascuno aveva dovuto fare la guerra a proprie spese”).
La derivazione monetaria dello stipendium, attestata anche da altri scrittori quali Varrone (116 a.C. – 27 a.C.) e Plinio (23 d.C. – 79 d.C.), secondo alcuni studiosi risulterebbe tuttavia inappropriata per la Roma del V secolo a.C. in quanto, in tale epoca, non circolavano ancora né le monete d’argento di tipo greco né le monete di bronzo, che furono adottate non prima del IV secolo a.C. Pertanto, il termine stipendium potrebbe anche avere avuto un significato originario diverso da quello strettamente monetario e, probabilmente, si ricollegava alla sfera alimentare, cosicché la paga militare potrebbe essere stata versata inizialmente sotto forma di vitto o comunque in natura: tale interpretazione si basa anche sulla traduzione greca di stipendium con ὀψώνιον (opsònion), composto di ὄψov (òpson, “cibo” ovvero, soprattutto nell’epoca di Omero, “carne” o “pesce”) e ᾠνέομαι (onèomai, “acquistare”, “procurarsi”).
Da originario significato di soldo militare, lo stipendium passò poi a indicare gli anni di servizio prestati dai soldati sotto le armi: infatti, l’espressione “stipendium merére (dal verbo “mereo”, radice della voce “meritum”, “compenso”, “merito”), ricorrente nelle fonti, viene utilizzata nel senso di “guadagnarsi lo stipendio” ovvero “prestare servizio militare” (“pedibus merere”, “militare nella fanteria”, “equo merere”, “militare nella cavalleria”).
Lo stipendium annuo, a partire dall’epoca di Cesare, venne incrementato nell’importo e corrisposto ai soldati in tre versamenti: infatti, i legionari al tempo della Repubblica percepivano fino a 1.200 assi annui, mentre successivamente passarono a 3.600 assi annui versati in tre rate (tria stipendia). Esisteva anche un “salarium”, che era l’indennità forfettaria annua versata ai militari per l’acquisto della razione di sale; lo stesso termine indicava anche la quantità di denaro che ricevevano, in luogo del soldo, i militari di infimo rango, denominati salararii.
Il soldo militare veniva inizialmente conteggiato in assi di bronzo, successivamente in denari di argento; il denarius equivaleva a 10 assi, valore che mantenne fino al 217 a.C., anno in cui fu tariffato a 16 assi. Alla fine della Repubblica il soldo annuo era mediamente pari a 90 denari, importo tuttavia già raddoppiato da Cesare (101 a.C. – 44 a.C.) ed incrementato a 225 denari sotto Augusto (63 a.C – 14 d.C.), per arrivare a 300 denari con Domiziano (56 d.C – 96 d.C.). Settimio Severo (146 d.C. – 211 d.C.), ben consapevole della necessità di trattare bene l’esercito, e soprattutto la guardia imperiale che nel corso del tempo aveva proclamato o destituito diversi imperatori, sul letto di morte raccomandò ai suoi figli: “state uniti, arricchite i soldati e non curatevi del resto”: durante il suo impero il soldo annuo arrivò all’importo di 500 denari e, sotto il figlio Caracalla (188 d.C. – 217 d.C.), toccò quota 750 denari.
Il soldato romano non aveva la disponibilità integrale del soldo, in quanto doveva riversarne nelle casse del Tesoro pubblico circa i tre quarti in relazione alle forniture di approvvigionamento alimentare, equipaggiamento (ivi compresa la tenda) e armamento che gli venivano concesse dall’amministrazione statale; nel corso del tempo, diverse proposte di legge cercarono di migliorare la condizione economica del militare, riducendo le pesanti trattenute che incidevano sulla paga percepita.
Le somme necessarie al pagamento dello stipendium venivano generalmente coperte dal “tributum” (dal verbo “tribuere”, “ripartire per tribù”), un’imposta che ogni cittadino romano (appartenente alle tribù soggette all’obbligo di contribuzione) versava allo Stato per il mantenimento dell’esercito: si trattava di una forma di tassazione che inizialmente aveva carattere straordinario e importo variabile in base alle necessità contingenti ovvero di un contributo eccezionale determinato in funzione del fabbisogno presunto per ciascuna campagna di guerra, divenuto poi fisso solo in tarda età quando venne commisurato in misura percentuale alla ricchezza posseduta dai singoli contribuenti.
Ma Roma, quando possibile, tendeva a far ricadere le spese sostenute nelle varie guerre sulle popolazioni vinte e sottomesse, secondo la celebre frase che Livio attribuisce a Catone (Marco Porcio detto il Censore, 234 a.C. – 149 a.C.): “bellum se ipsum alet” (“la guerra si nutre da sola”): questo è il significato che le fonti attribuiscono allo stipendium richiesto alle città della Penisola italica sconfitte tra il V e il III secolo a.C., quale condizione per ottenere la pace che, al pari del tributum inizialmente versato dai cittadini romani, non doveva essere una tassa vera e propria, regolarmente esatta, ma piuttosto una punizione di guerra limitata nel tempo e variabile di volta in volta in base alla consistenza numerica dell’esercito mobilitato e alla durata delle campagne.
Diverse conferme si ritrovano in passi di Livio e anche dello storico greco Dionigi di Alicarnasso (60 a.C - 7 a.C.), secondo i quali veniva richiesto ai vinti l’ammontare dello stipendium di sei mesi o di un anno: tale trattamento punitivo subirono, ad esempio, nel 486 a.C. gli Ernici, nel 478 a.C. i Veienti, nel 467 a.C. gli Equi, nel 394 a.C. i Falisci, nel 341 a.C. i Sanniti, nel 308 a.C. gli Etruschi. Successivamente, a partire dalla fine del III secolo a.C., gli alleati italici furono costretti a fornire a turno, in base ad un ciclo di reclutamento prestabilito, un certo numero di soldati commisurato alle esigenze militari dell’Urbe, per i quali essi sostenevano inoltre anche le relative spese di mantenimento.
Quando poi Roma cominciò ad espandersi nel Mediterraneo, venne applicata un’analoga politica amministrativa cosicché alle somme versate a titolo di tributum dai cittadini si cominciarono ad aggiungere quelle che venivano richieste, prima occasionalmente e poi sempre più regolarmente, alle prime province, quali la Sicilia (il cui contributo era comunque soprattutto granario), la Sardegna, la Spagna e l’Africa. Pertanto, in questo periodo, tra la fine del III secolo a.C. e l’inizio del II secolo a.C. il termine stipendium veniva utilizzato per indicare il tributo versato, più o meno regolarmente, dalle popolazioni vinte e in particolare dalle province.
In questo stesso periodo, l’Italia viene spesso definita nelle fonti “stipendiaria” in quanto, nonostante la contribuzione a carico delle province, essa continuava a mantenere l’esercito: innanzitutto grazie al versamento di stipendio, frumento e abbigliamento da parte delle popolazioni sconfitte nelle guerre del V-III secolo; in secondo luogo tramite le città che avevano ricevuto il titolo di “municipia” e che, quindi, partecipavano dei “munera” (oneri del cittadino) richiesti agli stessi Romani, tra cui il tributum impiegato per lo stipendium; infine mediante il notevole contributo in uomini e mezzi fornito dagli alleati italici. Nel 167 a.C., in seguito alla guerra contro Perseo, re della Macedonia, venne abolito il tributum versato dai cittadini romani e di conseguenza l’onere di mantenimento dell’esercito rimase a carico esclusivo degli alleati italici e dei provinciali; il termine tributum rimase comunque in uso per indicare, insieme all’analoga voce stipendium, le imposte che gravavano sulle province.