Avevamo trascorso le prime ore del mattino nella parte vecchia di Otranto, camminando tra le case bianche, in ascolto. Giunti di fronte alla Cattedrale avevo però chiesto al mio amico Cosimo di lasciarmi solo e lui, rispettoso, si era subito allontanato senza chiedere spiegazioni.
Entrato, ero rimasto immobile, in contemplazione, di fronte al grande Zodiaco che da tempo immemorabile orna il pavimento sacro. Alle mie spalle una moltitudine di uomini barbuti vestiti con pesanti corazze e spade temporaneamente a riposo nei foderi, mi guardavano, invisibili. Sentivo le loro voci, sentivo le lingue del nord mescolate al nitrito dei cavalli impazienti legati fuori. Uomini e animali in attesa dell’ultima benedizione prima della partenza verso la Terra Santa.
Uscito, mi sono ritrovato solo nel piazzale. Seduto sulla scalinata, ho aspettato l’arrivo di Cosimo. Da lì ci siamo allora spostati verso l’entroterra e, a piedi, abbiamo raggiunto la masseria del Conte Vito Maramonte, amico di famiglia, che ci stava aspettando a pranzo. Nonostante l’arietta pungente siamo rimasti fuori, all’ombra di una monumentale pianta di limoni – ha la stessa età di Goethe, mi ha ripetuto più volte il Conte - avvolti dal suo profumo straordinario.
Con noi c’era anche la giovane moglie, Jennifer - la terza!- da diversi anni trasferita in Italia dall’Australia. È stata lei che dopo pranzo ha voluto a tutti i costi guidarci nella visita della casa, che in effetti non conoscevo: una bella architettura settecentesca rimaneggiata nei secoli con immensi saloni solitari, muri purpurei scrostati, qualche dipinto di pregio e una diffusa ma non spiacevole atmosfera decadente.Tutto questo parlando di Australia, di amici comuni, di figli e anche di vino, poiché il figlio maggiore di Jennifer, Andrew, ha trapiantato con successo una varietà pregiata di Aleatico a Coonawarra, a 250 miglia da Adelaide. A volte il mondo è davvero piccolo.
Nel pomeriggio, dopo esserci congedati con un secondo caffè servito con dolcetti alle mandorle, abbiamo recuperato la macchina e siamo ritornati a Lecce. Ad attenderci c’era Salvatore Caiulo nel suo antro delle meraviglie, lo storico negozio di articoli per Belle Arti che dal 1963 rifornisce tutti gli artisti del sud d’Italia e oltre: so di amici tedeschi che solo qui trovano preziosità introvabili altrove, come il lapislazzulo polverizzato indispensabile nel restauro degli affreschi medioevali.
Omaggiati ognuno di un blocco di carta francese per acquarello io e Cosimo ci siamo da lì diretti verso il centro storico, attraversando un dedalo di case giallo oro perfettamente in armonia con le infinite tonalità digradanti di blu del cielo di quel momento. Una sosta al bar della piazzetta, un rustico 1 in due per smorzare l’appetito, che con il freddo della sera cominciava a mordere, e poi via a chiamare Maria che, conoscendola, avremmo trovata già pronta ad attenderci davanti al grande portone barocco di casa sua. Dietro al suo sorriso lucente, nell’abbraccio quasi impossible, una scoperta meravigliosa, l’arrivo imminente del primo figlio.
Usciti dalla città, rotta verso il mare. Strada facendo abbiamo raccolto Stefano e Anna mentre la campagna intorno si era fatta buia, e stelle e luci delle case erano diventate un tutt’uno. Arrivati a destinazione, la sorpresa di ritrovare gli altri amici già seduti a tavola. C’era Federico che ogni anno che passa ha sempre meno capelli in testa ma non ha mai perso la sua risata contagiosa e anche Pino che di capelli ne ha da vendere e non ingrigiscono e non ci ha mai voluto dire come fa.
Non siamo rimasti soli, accanto al nostro tavolo è arrivata una comitiva di amici per per festeggiare un compleanno, i camerieri si sono immediatamente divisi tra i due gruppi portando grosse caraffe di vino rosso e le prime prelibatezze: ciotole di carciofi e scampi, funghi, verdure grigliate, pomodori secchi sott’olio, pane caldo, fatto a bruschetta. Quanto abbiamo riso e cantato e ispirato i canti dei commensali vicini fino al punto da creare un unico grande coro!
E poi ancora, cavatelli con le cime, turcinieddi 2 "a pioggia" come ripeteva gongolante Pino afferrandone quattro alla volta e fermando i camerieri per averne degli altri. Infine il rito finale che tutti aspettavamo: attraverso le vetrate ecco apparire i camerieri in giardino e sotto il cielo stellato, raccogliere i mandarini dagli alberi per offrirli ai clienti come doni preziosi. Che splendore! Che ricchezza! Ho pensato tra me e me, per ributtarmi subito dopo, ebbro, nella bolgia festaiola. Abbiamo sbucciato gli agrumi luccicanti e odorosi con frenesia fanciullesca, guardando le mani degli altri frugare nei cestini e strappare le foglie scure e fruscianti. C’era un’atmosfera magica, bellissima, come di gioia e libertà destinate a non finire mai.
Dopo pochi giorni sarebbe stato Natale.
1 Rustico: sfoglia ripiena di mozzarella e pomodoro o prosciutto
2 Turcinieddi: involtini tradizionali fatti con frattaglie di agnello