La passione anarchica di Michele aveva operato una selezione naturale di amicizie: c’erano quelli che stavano volentieri in sua compagnia, bestemmiando insieme contro il re e il papa, altri invece che disdegnavano la sua origine oscura ma soprattutto quelle sue idee anarchiche.
Anche Maddalena la Siciliana era di idee anarchiche, e per questo lei e Vito Michele divennero ottimi amici. Parlavano spesso di politica, infervorandosi, ma lo facevano per strada, alla vista di tutti, in modo che la loro amicizia non desse adito a sospetti. Infatti, le male lingue erano sempre pronte a scatenarsi, Maddalena era una donna sola, indipendente, e ancora belloccia, ma nessuno riuscì a dire male di loro due, anche perché Maria Isolina spesso si univa alle loro conversazioni. A Vito Michele, Maddalena confidava anche i suoi problemi personali, ed è per questo che Vito Michele divenne in paese la fonte più attendibile sulla storia di Poldo e Maddalena.
Come abbiamo detto, era una bella donna la Maddalena, portava i gioielli e si tingeva i capelli, e all’inizio aveva fatto parlare un bel po’ di sé perché se ne andava in giro con vesti molto scollacciate, specialmente d’estate, che per lei iniziava già a Pasqua. Dopo alcuni lunghi anni di sospetti, tuttavia, Maddalena era stata assolta anche dalle più mordaci lingue del paese. Si fece una reputazione di donna onesta e seria. Rimaneva però una forestiera, questo sì, e aveva poco rispetto per le convenzioni del paese. Le piaceva prendere in giro la gente e Poldo era una delle sue vittime preferite. Come quella volta che lei lo incontrò al mercato, e lo chiamò ad alta voce: “Oh, Poldo carissimo!” e tutti si voltarono a guardarli con sorpresa. E quando lui, un po’ interdetto da tanta effusione, e rosso di piacere, aprì le braccia per abbracciarla, lei sbottò in una risata sonora e lo piantò lì solo con le braccia aperte come un allocco.
Quella di Poldo e Maddalena è una storia che ha zone d’ombra, nel senso che non ci sono testimoni attendibili per alcune scene chiave, e si sono formate versioni alquanto diverse sia sui precedenti sia sullo svolgimento dei fatti. Il primo fatto sicuro riguarda quella malattia ereditaria nella famiglia di Poldo, un morbo dal nome francese che colpiva i maschi della famiglia, di generazione in generazione. Non appena il maschio si avvicinava alla cinquantina, cominciava questa maledetta malattia, che si manifestava all’inizio con una spossatezza generale, poi con il tremolio delle membra, seguito da una grande confusione mentale che culminava in uno stato di demenza dal quale il povero maschio non si riprendeva più fino al momento della morte. Una cosa terribile. Lo si sapeva per tutta l’Isola, e, comprensibilmente, nessuna donna voleva sposare un uomo così, anche perché la sua morte non sarebbe stata accompagnata da alcuna congrua eredità. Tradizione voleva quindi che le donne che sposavano quei maschi fossero donne strambe, brutte e cattive, scarti del mercato normale. Così, oltre all’ombra di morte che accompagnava la sua storia, c’era anche il grosso problema delle mogli. E quando nel paese si diceva: “Poverino quel Poldo...” ci si riferiva più alla brutta grinta di sua moglie Teresona che alla malattia vera e propria.
L’altro fatto sicuro nella storia di Poldo riguarda il dottor Corti, a quell’epoca medico del paese e suo amico personale. Si diceva del dottor Corti che tenesse le siringhe ipodermiche nel cassetto delle pipe sporche, e che confondesse le analisi del sangue dei suoi pazienti l’una con l’altra. Però era una tale pasta d’uomo, che nessuno osava lamentarsi. Ma l’elemento più importante della storia di Poldo è il fatto che la Maddalena abitava nel suo stesso palazzo da ormai dieci anni, da quando cioè era venuta ad abitare all’Isola lasciando la sua nativa Sicilia. Maddalena, come abbiamo detto, era di origine siciliana, e forse per questo era una buona amica di Gigi l’aranciaio. Anche Gigi era siciliano e viveva alla meglio vendendo quello che la sua campagnetta produceva. La cosa più bella erano gli aranci, che a detta di Poldo erano i più buoni dell’Isola. Poldo, per gli aranci, ci aveva una passione speciale, e passava lunghe ore a discutere con Gigi sul profumo e sullo spessore delle bucce, sulla consistenza della polpa, e sui vari tipi di profumo delle foglie. A volte si univa a loro la Maddalena e insieme, quando era stagione, sceglievano i due o tre aranci più belli dalla piccola montagna rosa/rossa che Gigi esponeva sulla bancherella di pietra, e li lasciavano poi in mostra in un angolo.
Gigi l’aranciaio è, con Vito Michele, l’altra fonte principale di informazione. Per esempio, era a Gigi che Poldo raccontava il suo sogno di lasciare il lavoro in miniera e di ritirarsi in Sicilia per coltivare arance. Tutti dicevano che, dato il carattere debole di Poldo, questo proposito era destinato a rimanere solo un sogno. Da Gigi si sa anche della passione di Poldo per la Maddalena, una passione di lunga data, che però non era mai sfociata in niente di concreto - in tutti quei lunghi anni non si erano mai trovati soli, sebbene abitassero nello stesso palazzo Cetolone. “Ma forse ora lui trova il coraggio di farsi sotto e di acchiapparsela!”, diceva qualcuno al caffè. “Perché non levarsi certe soddisfazioni, ora che ha pochi mesi di vita? Ah, io ci proverei, eccome! Tanto più che lei lo provoca sempre!”. “Eppoi”, aggiungeva qualcuno di buon cuore, “avrebbe fatto bene anche a lei, dopo così tanti anni di astinenza!”.
Gli avvenimenti principali della storia di Poldo si svolsero poi nell’arco di due giorni, tra il sabato e la domenica. L’inizio però non è ben chiaro - è appunto una di quelle zone d’ombra. Ma ammettiamo che sia andata come racconta Vito Michele: è sabato e Poldo, che lavorava in miniera, arriva a casa dopo il turno di lavoro. È l’ora di pranzo, e Poldo sale su e viene accolto dal solito grugnito della Teresona, che sta preparando da mangiare. Da tanto tempo lei non gli faceva più spaghetti col sugo di carne, usava solo la salsa di pomodoro perché faceva prima, e gli amici commentavano questa perversità della femmina con altri sospiri: “Poverino, poverino!...”. È quindi presumibile che anche quel sabato Poldo ricevesse la sua solita porzione di pallidi spaghetti al pomodoro. Si può anche presumere, con un certo grado di certezza, che lui non parlò con lei della visita con il dottore. Non parlavano mai l’uno con l’altro, la loro conversazione era limitata al monologo di lei, con quella voce penetrante come un trapano elettrico.
Poldo era appunto uno che parlava poco, soprattutto a casa propria. Ma con gli amici ogni tanto diceva qualcosa. Al baretto giù sotto al mercato si ricordava per esempio quello che Poldo aveva detto una volta parlando di sé e di sua moglie, perché la cosa era rimasta impressa in tutti quanti. Non che fosse niente di eccezionale, ma Poldo aveva raccontato di aver visto il pittore Possenti fare uno schizzo a lapis. Il quadro raffigurava un uomo e una donna di mezza età, che si svegliano al mattino, ognuno nel suo lato del letto, la donna è brutta e grassa, l’uomo è piccolo e nero e ha un corvo grande sulla testa. E qui Poldo aveva detto: “Per molto tempo non l’ho capito, quel quadro, anche perché aveva come titolo Una certa mattina. Ma mi rigirava in testa, non so neppure io il perché. Poi un giorno finalmente l’ho capito di colpo - come un’illuminazione! E così: tu vivi la tua vita giorno dopo giorno senza accorgerti di nulla, e poi una certa mattina ti svegli davvero, e ti ritrovi già vecchiotto, con tutti i sogni che sono spariti, con una donna brutta e grassa come moglie a fianco e un uccello nero e pesante sulla testa ...”.
Ma eravamo dunque rimasti a Poldo che mangiava i suoi spaghetti pallidi preparati senza amore, con quella moglie che gli strillava cose che lui che non ascoltava nemmeno. “Io a questo punto l’avrei ammazzata!” diceva qualcuno degli amici al caffè, riferendosi ovviamente alla Teresona. E si accese allora un dibattito intenso che venne ripreso anche nei giorni seguenti. Che tanto lui sarebbe morto prima del processo, e allora qualche soddisfazione poteva togliersela, no? Sul modo come ammazzarla, i pareri erano invece discordi. I più erano per usare le mani, che avrebbe dato più soddisfazione, ma una tale soluzione veniva in genere scartata a causa dello sfavorevole rapporto di corporatura tra lui e lei. Una martellata in testa? In fondo, Poldo lavorava in miniera e le sue mani erano callose e forti. Mentre la moglie parlava, Poldo, mangiando, forse pensava davvero che sarebbe morto senza essersi tolto una sola soddisfazione. Non pensava tanto all’ammazzamento della moglie, quanto al seno ampio della Maddalena, che lui intravedeva così caldo da quelle vestaglie trasparenti e profumate. A lui era venuto il sospetto che lei lo facesse apposta, di farsi trovare con quelle vestaglie che lo sconvolgevano, quando lui veniva da lavoro e saliva su per le scale... “Ah!” sospirò Poldo rumorosamente, e la Teresona si zittì sorpresa.
Ed è anche vero che Poldo doveva aveva tante altre cose in mente. Aveva venduto, senza dir niente alla moglie, la sua campagna a San Martino, e ci aveva ora tutti questi soldi in contanti, e doveva decidere al più presto come distribuirli tra i suoi amici del paese. Mi immagino che pensasse: “Cento lire al vecchio Pietro, così che possa comprarsi un altro asino, che il suo gli è morto di polmonite, poveretto... Poi cento lire, forse no, cinquanta, al prete per far riparare il campanile della chiesa... Cento a Gigi l’aranciaio, e fanno duecentocinquanta. Forse un regalo alla Maddalena? E cosa?”. E qui i suoi conti si dovevano interrompere a favore di cose che lo facevano sospirare nuovamente.
Tutti nel paese erano concordi nel dire che Poldo si comportava coraggiosamente di fronte al destino di quella morte imminente. In effetti, come lui disse una volta al prete mentre giocavano a bocce, l’idea della morte non lo spaventava. Era vissuto tutta la vita con questo nodo alla gola, perché lui la felicità non l’aveva mai assaporata, tutto era grigio intorno a lui, e non aveva nessuna ragione di essere triste nel morire. Don Filippo - a quei tempi c’era ancora lui - non aveva osato contraddirlo, sapeva fare il suo mestiere, lui, intervenendo con le storie dell’aldilà solo con le vecchine o qualche bigotto tonto. Così, a lui disse solo di cercare, in quegli ultimi mesi di vita, di riappacificarsi con se stesso, di saldare tutti i suoi debiti sia di natura pratica che morale, e di cercare di spegnere dentro di sé la voce dell’ira e dell’invidia. Ma la gente diceva che sarebbe stato difficile per Poldo trovare la serenità, preso come era, si diceva, dal desiderio carnale verso la Maddalena e dal desiderio di ammazzare la moglie.
La storia della visita al Direttore della Miniera è un altro di quei fatti che sono noti solo nei contorni generali, e pieni d’incertezze nei dettagli. Si sa che avvenne la domenica mattina. Poldo si recò a casa del Direttore, che a quei tempi abitava vicino alla chiesa, e suonò alla porta, così, come se fosse cosa di ordinaria amministrazione. Invece la cosa aveva del clamoroso e la notizia doveva poi fare scalpore tra gli altri operai. A quanto pare, Poldo era andato a dirgliene due, a quel prepotente del Direttore. Andando a trovarlo a casa sua! Era veramente un atto di coraggio, perché il Direttore era uno di quelli di cui non potevi neppure sostenere lo sguardo. Nato ricco e abituato al comando dalla nascita, trattava tutti con la frusta della sua voce metallica. Anche se tu eri malato, lui arrivava e ti imponeva fai questo fai quell’altro, ti aspetto alle due e mezzo e deve essere tutto pronto, con un tono che non ammetteva replica. Lo odiavano tutti, anche perché tutto quello che organizzava di prepotenza, sulla testa degli altri, gli riusciva sempre bene. L’idea che un operaio lo affrontasse a tu per tu, per dirgliene due a quattr’occhi, era, francamente, una cosa da mozzare il respiro.
Di quel colloquio si riseppe qualcosa grazie al racconto del dottor Corti, e anche perché ne parlò lo stesso Direttore. Il Direttore ne accennò a un pranzo di Natale, al quale aveva invitato il prete e tutti i notabili del paese. A sua detta, Poldo si era presentato così, di domenica mattina, che già era un insulto, e poi con la barba lunga e la camicia sporca, a un’ora in cui la gente per bene va a messa. E che voleva, poi? “A quanto pare, era venuto solo per dirmi che lasciava il lavoro, che si licenziava insomma. Ma ebbi difficoltà a capirlo perché non parlava in modo chiaro, farfugliava... Mi pare che volesse dirmi che non era merito mio che io fossi il Direttore, ma solo merito del fatto che ero nato ricco. Discorsi del genere, capite, non tanto discorsi sovversivi, quanto discorsi stupidi! Cose da non credersi, un operaio semplice che ti viene in casa la domenica, tu che sei ancora assonnato e stanco dopo una settimana di lavoro duro, e ti dice che lui se ne va, e che tu sei un prepotente perché sei il suo superiore. Io gli dissi, ma così, calmo e quasi sorridendo: ‘Ma dimmi un po’, Poldo, ma tu che sei vissuto a fare, tutti questi anni, te lo sei mai chiesto? Te lo dico io’, gli dissi: ‘la gente come te vive solo per far sì che quelli che contano come me vadano avanti, capito, Poldo? Questa è la funzione della gente come te, gente senza colore: comparse nella scena della vita che permettono di agire a quelli che contano. E sentimi bene, Poldo, la libertà di dire quello che pensi sul tuo Direttore tu non ce l’hai, non appartiene a quelli della tua classe, capito? Ora vattene, fila!’ Mentre se ne andava” - finiva il Direttore con un sorriso cattivo – “gli offrii un sigaro dalla mia scatola d’argento, e lui disse di no, grazie, che lui non fumava mai al mattino, e che ora doveva andare via che sua moglie lo aspettava...”.
Uscito dalla casa del Direttore, Poldo andò a trovare il dottor Corti. A detta di quest’ultimo, Poldo, dopo quel colloquio, era così disfatto, che non c’aveva nemmeno la voglia di parlare, e disse che voleva morire al più presto. A questo punto, quando il dottore raccontava la storia, veniva sempre interrotto dalla solita domanda: “Ma dottore, è proprio vero che Poldo non era malato?”. “Ma sì, ma sì, quante volte ve lo devo dire? Io di analisi del sangue gliene ho fatto tre. È vero che mi sono sbagliato sulla prima, ho messo uno zero in più nei globuli bianchi, sapete come succede, un milione invece di centomila, credo che fosse. Ma la seconda analisi era a posto, tutto regolare. È vero che l’ho persa, ma ne ho fatta un’altra, e questa era quasi uguale alla precedente. Ci potete contar su: il suo sangue era proprio in ordine”.
Qui il dottor Corti citava a memoria il conto dei globuli rossi e dei globuli bianchi, il che impressionava molto tutti gli astanti, per poi concludere con una nota di trionfo: “vedete dunque che era tutto regolare...”. E qui la gente ricordava che un altro maschio della famiglia, il fratello del bisnonno di Poldo - si trattava di sessant’anni prima - si era salvato, ed era vissuto più o meno felicemente fino a ottant’anni. Era stato l’unico maschio a vivere così a lungo, ma questo voleva dire che l’eccezione era possibile!
Il punto importante è allora quello di capire come mai Poldo, una volta saputo di non essere più in pericolo di vita, si fosse poi nella notte stessa infilato il tubo del gas della cucina in bocca, una scelta crudele e assai inelegante per morire. L’altro punto di dibattito nel paese era il perché Poldo avesse voluto dal dottor Corti quel giuramento, di non dire a nessuno dell’esito delle analisi del sangue. Su questo secondo punto si arrivò però a un consenso nel paese. La gente, identificandosi con Poldo, diceva più o meno: “Lui a questo punto si vergognava di dire che non sarebbe più morto...”. Ora quello di vergognarsi è forse una esagerazione, ma rende bene l’idea. Lui aveva già dato l’addio al mondo, dentro di sé si era rassegnato e convinto della propria morte. Si era licenziato, aveva perfino insultato il Direttore, aveva venduta la sua proprietà a San Martino, e non poteva tornare più indietro e dire semplicemente: non muoio mica...
Gigi l’aranciaio aggiungeva: “Per esempio se Poldo fosse morto, Maddalena se ne sarebbe molto rattristata e avrebbe portato fiori sulla sua tomba. Se lei avesse saputo che era tutta una barzelletta, avrebbe riso di lui, lo avrebbe burlato in pubblico più che mai. Questo, credete a me” concludeva Gigi e la gente al bar assentiva gravemente con la testa “era una buona ragione per cercare di morire davvero”. Qualcuno poi aggiungeva che anche Teresona non sarebbe stata troppo d’accordo, con questa storia di Poldo che non moriva. Teresona gli avrebbe gridato in faccia: “Non sei buono a nulla, tu, nemmeno a morire! ...”. Non c’era insomma da sorprendersi che Poldo volesse morire davvero.
La sera di quella domenica Poldo tornò a casa sua molto tardi. Gigi l’aranciaio racconta che Poldo aveva camminato ore e ore per la spiaggia deserta, parlando da solo e tirando sassi in mare a centinaia, uno dopo l’altro. Per un tipo mite come lui, questo era davvero un segno di grande agitazione nervosa. Sempre da Gigi ci viene l’informazione relativa alle arance della Maddalena. Maddalena quel giorno comprò le tre arance più belle, quelle che erano state scelte e messe da parte come campioni. Ma, guarda che strano, le aveva comprate solo dopo che Gigi le aveva raccontato che Poldo, a detta del dottor Corti, non aveva che poche settimane di vita. Lei ne era rimasta colpita, si era abbuiata, sembrò quasi che stesse per piangere, ma solo per un istante. Come era tipico di lei, cominciò subito a scherzarci su e poi, cambiando discorso, gli disse di incartare per bene le arance che doveva portarle a un suo spasimante.
Per quanto riguarda gli avvenimenti seguenti, i fatti certi sono: il tubo del gas strappato dalla cucina e piegato a gancio, in modo che entrasse bene in bocca; poi tutti quei vetri rotti delle finestre di cucina. L’interpretazione che preferisco è quella di Gigi l’aranciaio. Allora, Poldo sale su in casa, ed è confuso e imbarazzato anche da quel dono della Maddalena, è la prima volta che la Maddalena gli si mostra veramente amica, ma ecco, forse solo perché s’aspetta che lui muoia. Una scena breve, il tempo per Maddalena in vestaglia di schiudere la porta, porgergli un fagottino, e dirgli: “È per te, Poldo. Sono tre arance, tutte molto belle... ”. Lui non risponde niente, prende il pacchetto, e sale di corsa con il cuore in tumulto alla vista del corpo di Maddalena e all’odore del suo profumo. L’ora di cena è passata da almeno un’ora, e la moglie, per protesta, non gli ha fatto da mangiare e se n’è già andata a letto. “Meno male… ” pensa Poldo, e si chiude in cucina usando la grossa chiave di ferro per paura di essere sorpreso dalla Teresona. Poi chiude bene le finestre, e infine tira fuori il tubo del gas dall’ugello della bombola, e se lo mette in bocca per asfissiarsi. La gente crederà che lui si sia ucciso per non aspettare l’agonia, il dottor Corti non dirà nulla a nessuno, e le cose andranno più o meno come tutti si aspettavano. Anche il Direttore se ne stupirà, la sua morte in quel modo lo colpirà duramente. Forse dirà: “Quel Poldo, però, ce n’ha avuto del fegato. E io che lo avevo sottovalutato, che lo avevo creduto codardo...”.
E poi c’è la Maddalena. Ecco, però, la situazione con la Maddalena non era affatto soddisfacente... Mentre il sapore dolciastro del gas già gli avvelena la bocca e il sangue, Poldo rivede con gli ultimi barlumi di coscienza il bel seno rotondo al di là della vestaglia e si trova avvolto d’un tratto in un manto di calore. Poi gli vengono in mente le tre arance, e nei suoi sensi che ormai si spengono, quelle tre arance diventano tre caldi soli pieni di luce. E così gli viene un ultimo guizzo di energia. Dà un gran calcio ai vetri della finestra che vanno in frantumi con un boato immenso o almeno così deve essere sembrato a lui. L’aria fresca e buona entra nella stanzetta con violenza, e Poldo è lì di nuovo che respira a pieni polmoni il sapore del mare, felice di essersi salvato la vita. Poi corre ad armeggiare ansimante alla porta della cucina, tentando di aprire quella grossa chiave, lui così maldestro in cose meccaniche.
E poi ecco che va giù per le scale e suona senza tanti complimenti una, due, tre volte. La Maddalena apre tutta spaventata. “Ma che c’è, ma che c’è?”... e rimane a guardarlo con la bocca aperta di meraviglia. “Ascolta, ascolta, Maddalena. Non sono mica malato, non è vero che muoio! Ti spiego dopo. Ora ascolta! Senti, anche tu non sei più giovane. Cosa ci fai in questo paese, a questo punto? Qui anche tu non hai nessun sogno, nessuna speranza di vita nuova. Che t’aspetti dalla vita, se rimani qui? Senti, Maddalena, io ho un bel po’ di soldi in tasca, sai, ho venduto la campagna a San Martino, pochi giorni fa, quando credevo di morire. Invece non sono malato, non muoio mica... Senti, andiamo insieme in Sicilia. Ci compriamo un bel pezzo di terra e ci mettiamo a coltivare e a vendere aranci. Andiamo, vieni!”. Lei lo guarda scrollando un po’ la testa, come fa sempre lei, e sorride. Poi dice: “Aspetta un po’ che mi vesto... ”.