La “Tavola di Tortona” è un dipinto rinascimentale, di forte influsso leonardiano e con un soggetto assai simile a una Natività di Cristo, esposto per secoli all’interno della Chiesa di Santa Maria Canale di Tortona.
La “sfortuna” di tale dipinto sorge ben presto con l’incendio dell’archivio parrocchiale, evento che distruggerà ogni traccia rinascimentale della Confraternita del Santissimo Sacramento, il cui nome compare nell’opera stessa, in un cartiglio dipinto vicino all’angolo destro inferiore della tavola, a indicare o il committente o uno dei primi proprietari del quadro. Senza documenti che aiutino a ricostruire il contesto storico e sociale dell’opera la ricerca e l’ermeneutica di inquadramento e attribuzione appare più faticosa e più aleatoria.
Il secondo problema di questa straordinaria tavola deriva indirettamente dalle stesse vicende storiche di Tortona quale città militare e di confine nei secoli travagliata da assedi, conquiste e riconquiste fra francesi, spagnoli, austriaci, e napoleonici. Prova ne è che dell’assetto urbanistico medioevale e rinascimentale quasi non è rimasto nulla, a partire dall’ingrandimento del castello di Tortona voluto da Carlo V, opera che comportò la distruzione di numerose chiese ed edifici più antichi, fra cui la Chiesa di San Giuseppe, da cui probabilmente proviene questo dipinto, poi confluito nella Chiesa di Santa Maria Canale che per un certo periodo di tempo diede ospitalità a beni di altre chiese e svolse il ruolo vicario di cattedrale.
Altra sventura infatti fu l’incendio della santa barbara del Castello, che comportò la distruzione dell’originaria cattedrale della città, posta dentro l’edificio militare. Tortona da città lombarda e sforzesca diverrà una periferia sabauda e, dopo la distruzione napoleonica del suo grande Castello, una città borghese di periferia, traumaticamente ormai aliena dal suo glorioso passato politico-aristocratico-militare.
Questo decorso storico ha contribuito a far dimenticare la nostra Tavola. Periferia del Piemonte e non più città lombarda, nonché priva di Musei di rilievo, Tortona non ha mai investito veramente in una valorizzazione ad ampio respiro, e non meramente localistica, del proprio patrimonio storico-artistico. Non a caso questo dipinto non è mai stato studiato in modo approfondito, neppure ad oggi, ma spesso solo sfiorato dagli storici d’arte delle Soprintendenze, gli unici che, deputati come Pubblica Amministrazione alla tutela dei beni culturali, non hanno potuto del tutto ignorarlo! Se infatti i beni culturali non sono valorizzati dal proprio territorio di appartenenza e da chi ne è proprietario, è poi difficile che vengano apprezzati e ricordati da studiosi di maggior livello, che non possono conoscere nei dettagli tutto l’immenso patrimonio artistico italiano e che giustamente si concentrano su altre opere più curate e più conosciute.
La prima “straordinarietà” di quest’opera tortonese è data dal numero impressionante di ipotesi attributive che si sono susseguite nell’arco di circa settant’anni. La Tavola è stata ipotizzata come opera di: Alessandro Berri, Bernardino Lanino, Perugino, Timoteo della Vite, Bagnacavallo, Ambrogio De Predis, lo “pseudo-Boltraffio”, come pure avvicinata a Bramantino, Luini, Zenale, Marco d’Oggiono, Giovanni Agostino da Lodi e Cesare da Sesto. Attribuzioni spesso espresse in modo plurimo o ipotetico e che non hanno fatto che complicare e confondere la vicenda critica perdendo di vista i tratti originali straordinari del dipinto tortonese.
Altra stranezza ad esempio è che nessuno studioso abbia mai pensato all’ottimo Bernardino de’ Conti (morto a Pavia nel 1523) quale possibile autore, magari operante con accanto Leonardo stesso o suoi disegni! Ennesimo fattore raro e straordinario è l’esistenza di un grande numero di opere influenzate dalla Tavola di Tortona, o, comunque, assai affini ad essa e a determinate sue caratteristiche narrative, compositive e iconografiche: una copia seicentesca della Pinacoteca Civica di Tortona, una piccola Natività presso l’Ospedale “Ca’ Granda” di Milano, un’altra presso la Chiesa dell’Assunta di Magenta, un dipinto della Collezione Piccinelli di Bergamo, un dipinto oggi al Rijksmuseum di Amsterdam, un tempo attribuito al Bramantino e tutt’ora ritenuto fortemente da lui influenzato, un anonimo esposto al Museo Poldi Pezzoli di Milano (inv. 1624) fino alla Madonna in trono con San Paolo e San Giovanni Battista presente alla Pinacoteca di Brera, solo per citarne alcuni.
Il Prof. Edoardo Villata in un suo articolo (Due nostre donne di varie grandezze di Leonardo a Milano, Arte Lombarda) cita altre due opere assai simili e di collezione privata: una attestata a Genova e una a Zurigo, poi pochi anni fa messa all’asta da Sotheby’s quale opera del “Maestro di Tortona”. Un’altra delle ennesime “sfortune” del dipinto sono state le audaci e personalistiche attribuzioni elaborate dall’austriaco Wilhelm Suida (1953) che si inventò la figura dello “Pseudo-Boltraggio”, oggi ritenuta non più sostenibile, e che indirizzò la tavola tortonese nel vicolo cieco di tale ipotesi, facendo perdere almeno un ventennio nell’avanzamento della ricerca e della critica, oltre che ottenendo l’effetto di spostare l’attenzione sul dipinto del Rijksmuseum, a sua volta controverso nelle attribuzioni, ma più celebre nell’attenzione critica.
Appare anomalo, ai limiti del paradosso, anche il fatto che le “copie” e le altre opere assai affini sono anch’esse al centro di vari dibattiti attributivi, mai concordi, appaiono comunque sempre più studiate della Tavola di Tortona, nonostante la maggiore ricchezza di dettagli e la maggiore grandezza dimensionale del nostro sfortunato dipinto. La causa di ciò è facile da individuarsi: quando un dipinto appartiene a un Museo importante, come quello olandese, o a una raccolta interna a un'Istituzione storica celebre e amata, come l’Ospedale Ca’ Granda di Milano, appare naturale che l’attenzione degli studiosi e degli storici dell’arte professionisti nel tempo sia stata più stimolata e più incentivata rispetto a una Tortona rimasta più isolata culturalmente.
È naturale comprendere come un’attribuzione al celebre Bramantino per la copia ora ad Amsterdam sia non facilmente sovvertibile del tutto, dato anche il grande prestigio internazionale del Museo olandese, per cui tale modesto dipinto “faccia più notizia” dell’assai più interessante Tavola di Tortona, molto più intensamente leonardiana. Di fronte alla grandezza di un Berenson, che apprezza l’opera gemella ora olandese e la considera di un Bramantino influenzato da Leonardo, che traccia può lasciare una distratta Carla Enrica Spantigati, che prima scarsamente qualifica l’opera e solo dopo il suo restauro negli anni '80 l’avvicina bizzaramente all’ultimo Zenale (autore stilisticamente del tutto differente dal “Maestro di Tortona”?
Persino nella mostra di Mendrisio alla Pinacoteca Zust, tuttora in corso (Rinascimento nelle terre ticinesi, II°), l’opera di Tortona, finalmente fruibile con buona illuminazione e da vicino (non era uscita dalla Chiesa di Santa Maria Canale dal 1939, per una mostra a Torino!), appare poco approfondita criticamente e svalutata a livello di didascalie e pannello introduttivo. Proprio il pannello introduttivo alla sezione che vede questo dipinto esposto con quello “olandese”, la copia di Magenta e quella della Ca’ Granda incredibilmente si chiede il perché (sic!) di un tale numero di dipinto affini tali da costituire una determinata “famiglia tematico-narrativo-iconografica”!
Un perché in parte retorico e pleonastico per chi abbia occhi per vedere in quanto la Tavola di Tortona ad oggi non può che rappresentare l’archetipo che ha influenzato tutti gli altri dipinti, di dimensioni minori e di qualità mediocre o comunque inferiore e sempre di iconografia più semplificata. O almeno l’opera che più si avvicina a un archetipo eccellente, come può solo essere un dipinto o un disegno di Leonardo. Altrimenti non si spiegherebbe il successo iconografico di determinate specificità rarissime e “anomale”, magnificamente presenti nella loro massima precisione, completezza e intensità solo nella tavola tortonese, come il ruolo attivo di San Giuseppe e la sua testa caricaturale, la vicinanza intima (prima di quest’opera solo fiamminga) dell’asino e del bue a Gesù bambino, la geometricità ellittica della cesta intrecciata (dato intensamente umanistico-rinascimentale), l’ambientazione interna alla capanna, lo sfumato del volto di Maria e del paesaggio, l’attenzione fisiologica all’anatomia umana e animale e alla dinamica delle acque e dei venti, nel loro impatto con le vesti degli angeli, fino a una concordanza impressionante con molti disegni di Leonardo.
Tra tutti ricordo la coincidenza perfetta fra il busto in torsione di una Maria inginocchiata e l’analogo disegno Studi di una Madonna in adorazione del bambino (Metropolitan Museum, Rogers Fund), come pure la concordanza impressionante con un altro disegno di Leonardo: Studio di panneggio per una figura inginocchiata del Louvre (Gabinetto Disegni, inv. 2256). Le giuste interrogazioni critiche dovrebbero quindi focalizzarsi prevalentemente sulla Tavola di Tortona, ponendola al centro di questa “famiglia di quadri”. Dato che ritengo di un’evidenza assoluta, ma che non è stato sufficientemente sottolineato dalla critica proprio per le ragioni sopraccennate dovute alla sostanziale indifferenza che ha “velato” il dipinto per secoli, anche purtroppo da parte del secolare proprietario “istituzionale”: la Diocesi di Tortona, che oggi fortunatamente inizia ad apparire più attenta, come dimostra il prestito espositivo alla Pinacoteca Zust di Mendrisio!
Ci sono, Dei gratia, tre luminose eccezioni a tale indifferenza/distrazione della critica: Noemi Gabrielli, che nel 1938 riporta ermeneuticamente la tavola di Tortona alla bottega di Leonardo, valorizzando il rapporto diretto fra il Leonardo del Cenacolo e il territorio tortonese tramite la famiglia Bandello (lo scrittore Matteo e lo zio Vincenzo, Priore di Santa Maria delle Grazie), il Cavalieri (1999) che finalmente riconosce la primazìa del dipinto di Santa Maria Canale su tutti gli altri della “famiglia”, e il prof. Edoardo Villata che riporta questo dipinto a un disegno archetipale di Leonardo che avrebbe fatto da modello e lo avvicina a un altro bellissimo dipinto, da considerarsi “parallelo” rispetto all’archetipo leonardiano (e non leonardesco), che lo studioso individua nella Madonna del Gatto della Pinacoteca di Brera, opera fino a pochi anni fa attribuita al discepolo spagnolo di Leonardo Fernando Llanos.
Il Villata appare l’attuale studioso più attento e più appassionato alla Tavola di Tortona. Lo stesso Agostino Allegri, allievo di Giovanni Agosti, curatore della mostra Rinascimento nelle terre ticinesi, pur non sbilanciandosi nel suo intervento in catalogo, il cui scopo è compilativo e compendiale, non può che sottolineare come “nella tavola di Tortona tutto si fa meno cerebrale e il tasso di leonardismo vistosamente aumenta”, notazione che viene espressa nel confronto con l’opera presente al Rijksmuseum, in effetti più stereotipale e più rigida rispetto alla straordinaria naturalezza e creatività del nostro dipinto a cui auguriamo di cuore un prossimo convegno a più voci che lo veda protagonista, e una prossima mostra con tutta la sua “famiglia” riunita!
Chi voglia approfondire l'argomento può ascoltare la registrazione audiovideo della conferenza dell'11 aprile 2013 dove accosto la Tavola di Tortona direttamente all'opera di Leonardo.