Si dice che le quattro parole più rischiose del mondo siano 'questa volta è diverso': questa volta possiamo ignorare gli insegnamenti della storia e del buon senso, perché c’è un nuovo paradigma, una nuova gamma di strumenti e tecniche, una nuova grande moderazione.
(John Lanchester, After the Fall, London Review of Books vol. 40 n. 13, in Internazionale n. 1272)
Il nostro modo di conoscere è fondato sulla differenza: abbiamo bisogno di un raffronto continuo tra una situazione e l’altra per poterne dettagliare le particolarità.
Il nostro sistema percettivo è fondato sulla differenza: uno stesso suono monotòno dopo un breve lasso di tempo diventa per noi inudibile, scivola sullo sfondo e lo perdiamo dalla nostra consapevolezza. Se rimaniamo a lungo in uno stesso ambiente non ne percepiamo più l’odore, per quanto terribile possa essere: abbiamo bisogno di uscire da quell’ambiente per poi rientrarvi per sentire quanto fosse irrespirabile. Se qualcuno ci accarezza delicatamente su un braccio, sentiamo il tocco lieve sulla nostra pelle e il leggero movimento può procurarci piccoli brividi; ma se quella stessa mano rimane posata a lungo sul nostro braccio senza muoversi, pian piano la dimentichiamo e non la percepiamo più.
Per poter definire un oggetto come ruvido, abbiamo sia bisogno di toccarlo che di toccare altri oggetti che possano essere definiti per differenza ‘meno ruvidi’ o ‘più lisci’. Così per l’alto e il basso, il dolce e il salato, il leggero e il pesante, il buono e il cattivo. La sensazione che proviamo ci insegna a distinguere l’uno dall’altro: stiamo imparando attraverso le differenze.
Il cambiamento è quindi la base della nostra percezione e della nostra conoscenza. Se tutto si dovesse fermare, anche solo per pochi minuti, diverremmo sordi – e ciechi – e insensibili al tatto – e agli odori – e ai sapori. Saremmo (come) morti. Per comprendere cosa accade intorno a noi abbiamo bisogno di metterlo in connessione con altri accadimenti, non solo nel mentre ma anche nel prima e nel dopo, creando – e spesso sbagliando nel farlo – delle cause e degli effetti tra loro. Stiamo costruendo dei ‘ponti’ tra le situazioni per poterle comprendere e interpretare.
Dire “questa volta è diverso” può derivare da un confronto approfondito con situazioni pregresse e rappresentare un’apertura importante verso la novità, riconoscendola come tale e affrontandola per ciò che potrebbe manifestarsi durante la sua evoluzione.
Perché allora dire “questa volta è diverso” può essere rischioso?
Perché può rappresentare una forma di cecità
Anziché derivare da un confronto ripetuto e approfondito, questa frase può scaturire dal rifiuto di vedere ciò che sta accadendo proprio sotto i nostri occhi senza metterlo in relazione con situazioni analoghe accadute precedentemente, rendendo difficile comprendere ciò che sta accadendo. La novità può esistere e va esplorata, lasciandole la possibilità di manifestarsi. Ma come comprendere la novità se non mettendola in relazione con situazioni analoghe per verificarne la differenza?
Perché può rappresentare una forma di dimenticanza
Molto spesso le parole “questa volta è diverso” sono utilizzate non per aprirsi al cambiamento ma per chiudersi rispetto ad esso, trasformandole in una sorta di ‘punto zero’ da cui partire e cancellando frettolosamente ogni possibilità di analisi e di interconnessione. Ciò significherebbe non imparare dall’esperienza personale e dalla storia dell’uomo e degli accadimenti che ci hanno preceduto. La nostra storia come esseri umani segue il cammino tortuoso che abbiamo percorso sino ad oggi, disseminato di devastazioni e innovazioni, cambiamenti improvvisi affiancati a lunghi periodi di stasi, momenti di splendore alternati a fasi di degrado e distruzione. Noi siamo la nostra storia, e dimenticare la nostra storia non è solo dimenticare da dove veniamo e cosa abbiamo fatto, è non comprendere dove ci troviamo oggi e come immaginare il nostro futuro.
Siamo, usando le parole della complessità, ‘sistemi irreversibili’. Il tempo ci segna e costruisce chi siamo noi oggi qui, in questo preciso istante. Ogni passo che abbiamo fatto (o che non abbiamo fatto), ogni azione che abbiamo compiuto (o che non abbiamo compiuto) ha deciso il nostro cammino sin qui: le persone che abbiamo incontrato, le case che abbiamo abitato, i luoghi che abbiamo visto, i lavori che abbiamo fatto, i sentimenti che abbiamo vissuto. Così come ha deciso ciò che non abbiamo vissuto: le persone che non abbiamo incontrato, le case che non abbiamo abitato, i luoghi che non abbiamo visto, i lavori che non abbiamo fatto, i sentimenti che non abbiamo vissuto. E tutto questo è irreversibile: non è possibile – come ben sappiamo - tornare indietro e cambiare qualcosa dei passi e delle azioni che abbiamo (e non abbiamo) compiuto. Dimenticare tutto questo non è dimenticare solo il nostro passato. È dimenticare chi siamo, perdendo la nostra identità umana.
Perché può rappresentare una sospensione del pensiero critico
“Questa volta è diverso” può comportare una perdita della capacità e della volontà di comprendere ciò che sta accadendo e di valutarlo sia nei suoi effetti positivi che in quelli negativi. Il pensiero critico richiede di prendersi il tempo necessario per riflettere e non seguire giudizi affrettati con lo scopo di arrivare velocemente a una decisione. Siamo sempre meno educati – nella nostra formazione scolastica e universitaria – a utilizzare il pensiero critico come strumento del pensare e del dialogare. E siamo sempre meno abituati a darci il tempo per pensare e discernere adeguatamente le nostre scelte, incalzati dalla fretta e dalla superficialità a cui questa ci costringe. Dire “questa volta è diverso” spazza via la possibilità che possiamo dare a noi stessi di fermarci – per il tempo necessario – a riflettere sugli effetti di ciò che, proprio questa volta, sta accadendo.
La cecità, la dimenticanza, la sospensione del pensiero critico: tutto questo ha come effetto il corrodere lentamente e inesorabilmente la responsabilità personale di ciascuno di noi. “Questa volta è diverso” avvalora il “lasciamo fare”, “stiamo a guardare cosa accade”: è un aspettare facendo un passo indietro rispetto a noi stessi, separandoci dalla realtà come se non ci riguardasse ciò che sta accadendo, lasciando a chi è più potente di noi la scelta di prendere la decisione giusta. È la via breve, la scorciatoia della vita facile. Ritrarsi e aspettare, lasciando che siano gli altri, o gli eventi stessi, a decidere per noi. Nulla di più confortevole. Almeno per un po’.