Leggendo da destra a sinistra le formelle della linea interportale della facciata del Duomo di Milano troviamo, appena girato l’angolo sinistro della facciata, l’ultimo riquadro scultoreo raffigurante una scena profondamente enigmatica e quasi spiazzante nella sua curiosa unicità.
Certo l’occasione narrativa è dii facile ricostruzione: si tratta dell’uccisione di Assalonne, il figlio ribelle del re Davide, colto con i capelli impigliati nei rami di un albero di terebinto mentre fugge, e appena prima di essere infilzato a morte, come ci racconta la Bibbia (2Samuele, 18,9). Eppure la resa scultorea milanese di tale tema è così ricca di dettagli tratti dal mito greco che si trasforma in un icona simbolica universale, che sembra alludere ad altro!
Un cavaliere ricoperto di armatura, scudo ed elmo con pennacchio è lanciato all’attacco, il cavallo rampa, e con la lancia, da destra a sinistra, configge ad un albero un giovane guerriero, vestito similmente, il quale resta sospeso in aria, con il sangue che zampilla dal fianco sinistro, la mano sinistra alzata con il palmo aperto verso la testa del suo feritore, e il braccio destro invece che diventa un tutt’uno, come i suoi capelli, con i rami dell’albero.
La dinamica della scena resterebbe per sempre avvolta nel mistero se alcuni dettagli illuminanti non ci aiutassero a penetrare i sensi profondi della simbolica rappresentazione. Questi essenziali dettagli sono: la testa di donna, raggiante, sullo scudo del cavaliere, la sfinge sul suo elmo, la testa sfingea sul coturno sinistro, e l’elmo della vittima, identico a quello del suo assalitore, che giace a terra, ai piedi dell’albero, e posto con la sua cavità in evidenza verso chi guarda, e con un ricco e fluente pennacchio che si confonde con la base dell’albero.
Non possiamo che iniziare l’indagine ricercando nelle storie del Mito greco, traccia e matrice di stupendi racconti archetipali quanto efficace veicolo di sentieri ermetici, come mirabilmente ricapitolò Don Pertiny. La testa di donna sullo scudo, per il suo carattere circolare e autorevole e la sua posizione, non può non rinviare alla testa di Medusa, Mercurio filosofico, drago dominato, acqua ardente raccolta, sangue di pietra e pietra viva, fuoco trasmutativo iperboreo, ghiaccio ardente di Crono. Dalla testa partono raggi come di sole: il mostro serpentino è tornato bellezza di ninfa e di sirena, si è disseccato, appare benefico. Più semplicemente potrebbe trattarsi di una testa efebica di Helios/Apollo, simile a quelle sepolcrali.
Anche la sfinge appare decisiva in quanto corona il cavaliere e sembra fissare il volto del giovane trafitto. Comparendo poi sia su culmine dell’elmo, a reggere il lungo e mosso pennacchio, che sul coturno, nella forma di un volto regale egizio femminile, sembra come aprire e chiudere, iniziare e finire, tendere due polarità al cui centro palpita come un sole/cuore la Testa di Medusa. I tre elementi appaiono infatti perfettamente allineati lungo una direttrice verticale inclinata. Mentre risulta facile il rapporto Sfinge/Sole, si rivela più intrigante e prezioso il rapporto Medusa/Sfinge. Medusa è figlia di Forco, ancestrale saggio del mare, fratello di Nereo/Proteo, e di Ceto. Medusa è sorella di Echidna, di Ladone, serpente edenico, delle tre Graie e delle Esperidi. Insieme rappresentano la stirpe antica e marina dei Forcidi, cugini delle 50 Nereidi, assistenti della potente Teti.
Ebbene la Sfinge è figlia incestuosa di Echidna, incesto ermetico, e del suo figlio Ortro/Orione/Sirio (il Cane), e sorella del Leone Nemeo che vive sul Cicerone. Oppure la Sfinge è figlia di Tifone ed Echidna, o di Ortro e di Chimera. Nel mito di Edipo, viene dall’Etiopia e regna su Tebe, città di Eracle, il cui simbolo era il Leone. La Sfinge è un leone alato donna, con la coda di serpente. Sembra un semidio egizio. Medusa e Sfinge sono quindi parenti. Entrambi poi presentano l’elemento serpentino. Li distingue la predominanza dei principi vitali. In Medusa predomina l’umido e il freddo, in Sfinge predomina il caldo e il secco. Medusa vive nelle estreme terre nordoccidentali, mentre la Sfinge proviene dalle estreme terre sudorientali. Si tratta del mediamo asse di inclinazione della figura del cavaliere della 24ma formella.
Occorre ripercorrere sinteticamente alcuni frammenti del percorso di Perseo, Bellerofonte ed Eracle, per penetrare più sottilmente i sensi ermetici della scena della 24ma formella. Il nostro cavaliere simbolico infatti potrebbe svolgere il ruolo di un Perseo o di un Bellerofonte, mentre Eracle ci aiuterà a precisare l’opera trasmutativa di entrambi. Perseo, o il distruttore, per noi il trasformatore, è figura di Hermes. Usa i suoi sandali e il suo sacchetto per andare a combattere contro Medusa. Usa poi un falcetto saturnio e l’elmo di Ade. Lui stesso è un decapitato, per poter decapitare. Dopo aver pietrificato la testa della Medusa decapitandola, vola su Pegaso, che sorse dal suo sangue come l’ermetico Crisaore, uomo aureo armato di falcetto, e sosta in Egitto, a Chemmi, colonia greca. Graves ci ricorda come esistesse una divinità egizia chiamata Chem il cui geroglifico era un uccello e un disco solare, probabilmente l’Ibis i cui si trasformò Hermes quando fuggì in Egitto da Tifone. Libera poi la bianca e nuda etiope Andromeda, figlia di Cefeo, il petroso, dalla roccia marina. Qui la testa di Medusa trasforma le alghe in coralli, il verde in rosso, mentre l’eroe estrae il bianco dal nero.
Perseo infine dona la testa di Medusa ad Atena, che la infigge sul suo scudo, il quale, ricoperto dalla pelle della Gorgone, diventa la magica e invincibile egida, a sua volta associata al Vello aureo. La figlia di Perseo si chiama Gorgofone. La vena sinistra della Medusa versava un sangue medicamentoso, che Atena dona ad Asclepio e a Erittonio, mentre il sangue di destra era velenoso. Da secoli le operazioni di Perseo sono considerate operazioni ermetiche. Per una visualizzazione di Danae quale Regina e Madre della materia ninfica e sacrificale universale si veda la stupenda scultura Danae e Perseo fanciullo del Cellini. Analoga la figura di Bellerofonte. Anche lui reca nel suo nome la funzione della morte. Come Perseo uccide un mostro con componenti serpentine: la Chimera, considerata in alcune versioni del Mito nipote di Medusa.
Bellerofonte compie un'operazione ermetica: configge con la sua lancia di ferro un pezzo di piombo e lo pone in bocca alla Chimera. Il suo alito infuocato scioglie il piombo e il mostro muore. Anche Bellerofonte cavalca il figlio di Medusa: Pegaso, che cattura sul ninfico monte Elicona. Il cavaliere simbolico potrebbe raffigurare Perseo che uccide/pietrifica Agenore, oppure Bellerofonte che uccide l’allegorico Chimarro. Eracle ci aiuta a penetrare più prontamente i misteri sfingei e gorgonici. Eracle è amico della Sfinge, con la quale condivide il simbolo solare del Leone, uccide l’umida Idra e il Leone Nemeo, fratello della Sfinge, e inoltre possiede una ciocca dei capelli di Medusa, che gli ha regalato Atena. Eracle infine mentre va a conquistare la fulva e solare mandria di Gerione/Crisaore, all’estremo della Spagna, uccide le Gorgoni, sorelle di Medusa, e innalza le sacre Colonne di Crono, segno ermetico.
Come viaggia verso l’isola rossa del mandriano Erizia, e del suo cane a due teste Ortro, fratello di Sfinge? In un'urna di bronzo, come Hermes con gli Aloidi, e la pelle leonina come vela. Oppure in un nappo aureo, dono di Helios, a forma di giglio d’acqua. Domina, ermeticamente, la dimensione dello Zolfo e dell’Oro: oro liquido, oro fiammante, oro dominato. Poco dopo queste avventure Eracle incontra, presso il luogo della futura Roma, il pastore Caco, a tre teste, figlio dell’ermetico Efesto e di Medusa.
Ma forse il nesso più rituale e più misterico appare quello fra Eracle e la Sfinge nell’episodio dell’eroe infante che uccide i due azzurri serpenti di Hera, caduceo vivente. Compiuto il rito di fissazione dell’instabile serpentino, Tiresia detta il cerimoniale espiatorio da compiere: a mezzanotte viene elevato un rogo di erica, rovo, e pruno selvatico, dove sono posti i serpenti. Il giorno dopo le loro ceneri vengono poste sulla roccia dove sostava la Sfinge di Tebe, e poi sparse al vento senza guardare. La casa viene infine purificata con zolfo e acqua di sorgente salata e decorata nel tetto con ulivo selvatico. Eracle ci illumina sul ruolo trasmutativo, sulfureo e solare, dell’eroe che, come lui stesso, Perseo e Bellerofonte, domina e sottomette la materia oscura, umida e instabile, per trasfigurarla estraendone l’elixir vitae.
E allora il nostro cavaliere simbolico va letto all’interno del topos del duello o torneo ermetico, dove i contendenti sono simmetrici e analoghi. Qui la vittima presenta un viso contratto simile, anche nei connotati, a quello del suo assalitore. Non c’è un vero vincitore e un vero vinto. L’acuminato fondo della lancia, seconda punta, ci parla quasi di un cavaliere anch’esso confitto, sia alla sua stessa lancia che alla sua vittima e all’albero.
Il duello ermetico è segno sia della fixatio che dello scontro mortale, ma creativo, fra Mercurio e Zolfo. Il topos è diffuso, basti pensare all’immagine di una miniatura dell’Aurora consurgens conservata in Zurigo. Anche qui la scena si può leggere inoltre anche quale emblema del trionfo della cristica Sfinge che dissecca e trasfigura la sua natura serpentina, il suo doppio di Gorgone. Se poi notiamo il carattere fluido ed enfatico dei due pennacchi, come due fiumi/venti, uno che disseta l’albero e l’altro che anima cavallo e cavaliere, e lo stesso mantello serpentinamente svolazzante. Dal cavaliere sospeso zampilla il sangue dal fianco sinistro.
Questo dettaglio prezioso fa risuonare la vena salutare di Medusa, e ci apre, con lo Zolla di Discesa all’Ade e Resurrezione, la via della complementare lettura mistica e cristiana della scena. Il Cavaliere che assale è il cavaliere romano Longino, mentre il guerriero colpito al fianco, e sospeso fra terra e cielo, è lo stesso Cristo, nuovo Arbor Vitae. Il capo del Cristo guerriero è infatti scoperto, dalla chioma quale rivolo discendente, e il suo elmo è il Graal del suo cuore, versato a terra, completamente vuoto di sangue, vertigine di Assolito. Il pennacchio raffigura l’onda di acqua mistica che disseta l’albero edenico della vita. La mano sinistra benedice il suo assalitore, mentre il suo sguardo di rispecchia nello sguardo della Sfinge (su Cristo e la Sfinge si veda l’omonima opera di Romeo De Maio, Mondadori).
I raggi dello scudo sono 28, come i giorni del mese lunare. Lo scudo quindi indica l’unione di Sole e Luna, e il doppio bordo allude alla ternarietà della pietra filosofale. I quattro elementi convergono verso la ferita del costato, come se il cavaliere volesse entrarvi. Il vento del turbinoso pennacchio, a sua volta coda serpentina della Sfinge, confondentesi con l’animato mantello, quasi figura della serpentina S del Ne plus ultra, il fuoco sulfureo dello scudo, l’impeto marino del cavallo e l’acquoso pennacchio che giace a terra sotto il cavallo, dove gli zoccoli anteriori tengono fermi i piedi della Vittima, intrecciandosi, la terra dell’armatura e dell’elmo. Un duello mistico ed ermetico dove il cavaliere è il primo ad apparire trafitto e folgorato dalla sua stessa azione rituale ed epifanica, prova di sacro dramma, rivelazione della benedizione del Sangue di Cristo, renovatio mundi.
Anche le altre 23 formelle meriterebbero riflessioni specifiche, specialmente nel problema della loro successione e del loro rapporto. L’atto più prezioso, il primo, resta il ricordare, il rievocare e risuonare nel cuore, il vedere e il sentire come la pietra pazientemente da secoli ci saluti, ci chiami e ci aspetti per parlarci di racconti unici e ineffabili.