Due anni dopo il loro arrivo all’isola, Vito Michele e suo figlio Giovanni già facevano parte del paese e la gente si era dimenticata della loro provenienza. Vito Michele aveva messo su una bancarella da calzolaio sotto gli archi e passava il resto del suo tempo a casa di Maria Isolina, invece che al Dormitorio.
Il Maresciallo chiudeva un occhio su questo. Il suo vero problema non era tanto la trasgressione di dormire al Dormitorio, quanto la foga politica di Vito Michele, che si stava rivelando un anarchico agguerrito e facinoroso. Per questo lo avevano mandato via dalla Calabria - e adesso il Maresciallo se lo ritrovava proprio lì a Rio Marina! Per di più, erano tempi difficili dal punto di vista politico. Pensate che Rio Marina era stato il primo paese all’Elba dove si era costituto un partito socialista! Cose da non credere!
Cominciavano gli scioperi in miniera, e Vito Michele e suo figlio Giovanni non tralasciavano occasione per fomentare i minatori. E avevano l’aiuto nientepopodimeno del famoso capo anarchico Pietro Gori, che, circolava impunemente per l’Isola. Vito Michele, che ne era amico, organizzava i minatori in grande marce per andare ai suoi comizi. Era una situazione disperata, si lamentava il Maresciallo grattandosi la testa. Anche Maddalena la Siciliana, che era una vicina di casa di Maria Isolina al palazzo Cetolone, era una delle disperazioni del maresciallo. Anche lei - pensate, una donna! - aizzava i minatori alla battaglia. Per fortuna che suo marito, un anarchico anche lui, era già morto, altrimenti sarebbe stato impossibile mantenere la legge, lì in paese.
In tutti questi tumulti politici, Maria Isolina se ne stava invece tranquilla a casa sua. Si diceva che lei e Vito Michele si sarebbero accasati presto. Lei stava bene. Camminava per la strada a testa alta e con un’espressione soddisfatta nel viso. Aveva scoperto di avere una gran passione per i lavori di casa, e spendeva ore e ore a cucire lenzuola e a ricamare trine dei guanciali. Questo cambiamento in Maria Isolina non se lo sarebbe aspettato nessuno, e tutti dicevano che quella relazione con quell’omaccio burbero dal cappello nero le faceva bene.
Intanto, Giovanni si era inserito nella scuola ed era naturalmente il più bravo della classe. S’interessava a tutto, ma particolarmente alla storia e alla politica, e pretendeva di insegnare al suo maestro le teorie marxiste sull’economia di mercato capitalista. Leggeva e scriveva molto, e aveva poco tempo per giocare con i suoi coetanei. Si lasciava un po’ di svago solo per ritrovarsi con Pino e Ughetto, che erano diventati i suoi amici intimi. Era anche l’età in cui cominciavano a sbirciare le ragazzine con occhi non privi di desiderio. La più bella di tutte era di certo Natalina. Di lei erano innamorati un po’ tutti, perfino Giovanni - anche se lui non lo avrebbe mai ammesso. E i suoi amici dicevano che la cosa era cominciata quella domenica del riccio di macchia, quando lui aveva visto Natalina entrare a messa, e poi di nuovo al matrimonio di Fosco. Da allora, Ughetto e Pino avevano spesso sorpreso lo sguardo di Giovanni perdersi dietro le trecce bionde di Natalina, le poche volte che lei si faceva vedere per strada. Natalina, sebbene avesse più o meno la loro età, non era per ragazzini come loro. Era già una donna con tutte le curvette a posto e la sua bellezza era una leggenda, tale da accendere il desiderio di giovanotti già maturi per il matrimonio. E appunto così avvenne.
Nel grande palazzo di Cetolone, a Rio Marina, a quei tempi non c’era ancora l’acqua corrente in casa: cosicché le ragazzine dovevano andare ogni giorno a prendere acqua alla fonte, giù in fondo alla scalinata, con quei grandi secchi di rame, due, tre volte di seguito. Una ragione di litigio perenne in casa tra le sorelle, ma anche un modo di farsi vedere dai giovanotti che sbirciavano dagli angoli delle stradette vicine. La storia di Natalina potrebbe cominciare qui, con lei ancora fanciulla che porta due secchi d’acqua, e Ninetto invaghito che la segue con gli occhi e decide infine di chiederla in sposa.
A quei tempi, eravamo agli inizi del secolo Millenovecento - un fidanzamento era una cosa seria, che coinvolgeva l’intera famiglia, tutti i parenti, il vicinato, quasi l’intero paese. I tempi e gli atti tecnici erano rigidi, non ci si sottraeva al rituale. Poteva per esempio succedere che i fratelli della ragazza ti si presentassero in strada nel bel mezzo del passeggio domenicale, per fermarti con un gesto della mano e dirti con tono burbero e in modo che tutti sentissero: “Sono già tre volte che tu guardi fisso nostra sorella quando va a messa. Che intenzioni hai?”. Questo era il momento di dire sì o no al fidanzamento, un sigillo in genere per l’intera vita. Probabilmente gli stessi fratelli avevano prima picchiato ben bene la sorella, un po’ perché lei si era fatta guardare, un po’ per sapere se anche lei avesse intenzioni serie. E avevano già appurato che non ci fossero cose scure nella famiglia di lui, uno scandalo nei tempi passati oppure dei debiti recenti.
Con Natalina andò in un altro modo. Ninetto, così bello e forte, con le sue ampie movenze e la voce abituata al comando, si presentò in casa dai genitori e fratelli di Natalina, e fece la sua richiesta che fu accettata. Non si sa bene come Natalina avesse reagito. In effetti, a quei tempi cosa ne pensasse la donna non era importante. Quelli erano tempi di povertà vera, e per una giovane donna l’accasarsi, avere un marito benestante e quindi il pane assicurato, e per di più allontanarsi dal dispotismo della madre e dei fratelli, era un sogno ambito. Ma Natalina aveva allora solo tredici anni e i genitori decisero che di matrimonio se ne sarebbe parlato solo in seguito. Ninetto poteva venire a trovarla e considerarla sua sposa promessa, ma per il momento niente di più. Ninetto accondiscese, ma nella sua forte gelosia impose una condizione: che Natalina, per tutti gli anni di fidanzamento, non uscisse più di casa e non si affacciasse più alla finestra.
I genitori e i fratelli di lei accondiscesero, una cosa che fece accendere discussioni focose il tutto il paese. I più dovettero sconsolatamente riconoscere che non c’era altro da fare. Natalina pianse a lungo, anche perché questo divieto dei uscir di casa era venuto due giorni prima la rappresentazione in paese della famosa operetta L’Acqua Cheta di Giuseppe Petri - e Natalina e le amiche avevano ottenuto il permesso di andare a vederla. Pianti a non finire, anche perché lei non poteva più affacciarsi alla finestra per parlare con le amiche.
La mamma di lui fu adibita a controllare l’osservanza di quell’ordine. Era una cosa facile, perché quando Natalina si sporgeva dalla finestra, le sue trecce bionde luccicavano al sole come un’intera matassa d’oro - e quando questo succedeva, la suocera, che era molto gelosa, lo raccontava subito al figlio. Ninetto entrava allora in casa di Natalina e faceva grandi scenate e magari non si faceva più vedere per un’intera settimana. Questi per Natalina erano lunghi periodi d’attesa e di dolore. Ognuno di quei suoi atti d’ira, anche ogni insulto, creavano un’emozione intensa da cui lei attingeva una pienezza di vita che non aveva mai conosciuto; e questo era assai più importante delle umiliazioni e delle angherie. E poi non c’erano solo i momenti bui: Ninetto sapeva anche essere tenero, pieno di riguardi e di gentilezze. Sapeva scriverle lettere piene d’ardore e di passione, le portava tanti regali, non pensava che a lei. Era insomma una cosa che riempiva totalmente la sua vita: per Natalina non c’era nient’altro nelle giornate, nemmeno nei suoi sogni. La vera paura era di perdere tale àncora, di ripiombare nel vuoto di prima. Così, per un assurdo rigirio di sentimenti, ogni scenata si trasformava in un rafforzamento di quel legame, perfino in un consolidamento dell’amore per lui. Era però un amore fatto di pianti.
La madre di Natalina soffriva in silenzio di tali angherie e le ripeteva l’antica saggezza, che questo era il destino delle povere donne, che l’uomo comanda e si deve fare quello che lui dice, che bisogna avere pazienza, che presto si sarebbe sposata e sarebbe potuta uscire di casa. I fratelli di Natalina, Gigi, Arturo, e Giuseppino detto Pino, - detti i Mangiacani per il loro carattere focoso - già uomini grandi e grossi, avevano una posizione ambigua a proposito di quel fidanzamento. Agli inizi, gridavano alla sorella che non doveva andare alla finestra, perché così era nei patti, e che bisogno c’è di chiacchierare con le amiche, quelle pettegole, perché non te ne stai tranquilla vicino al camino a fare la calza... Ma con il passare del tempo cominciarono a stancarsi delle prepotenze di Ninetto, e cominciarono le scazzottate con lui, non tanto per difendere la sorella, quanto per difendere il loro territorio. Dicevano che lui la loro sorella avrebbe potuto maltrattarla solo una volta che si fossero sposati, ma non ora a casa loro.
Gli ultimi anni di fidanzamento passarono in uno stato di guerra permanente, sia il padre di Natalina, sia i suoi fratelli cercavano di dissuaderla dal matrimonio con Ninetto. Cominciarono anche loro a picchiarla ben bene, naturalmente per il suo bene. Ma Natalina non cedette, minacce e prepotenze sembravano solo rafforzare il suo intendimento di sposarsi con quell’uomo che il destino le aveva messo nel cammino. Col passare del tempo, la fama della bellezza di Natalina combinata con la storia della sua prigionia rafforzò ancora di più l’aria di leggenda intorno a lei. Pochi potevano dire di averla vista negli ultimi anni. Le ragazzine passavano sotto la sua finestra e poi raccontavano tutte eccitate di averla intravista dai vetri, si intravedeva solo che era tanto bella, con un portamento da regina, e quei capelli biondi, no, non più con le trecce, adesso erano tutti inanellati in ciocche d’oro. Quando Ninetto sentiva che si dicevano in giro certe cose sul conto di Natalina, diventava ancora più geloso. Decise allora di accelerare la data delle nozze.
Appena Natalina seppe che la data del matrimonio era prossima, sentì il suo cuore aprirsi all’idea della festa nuziale: ci sarebbe stata musica, tutti i parenti sarebbero venuti a trovarla con un regalo, lei si sarebbe fatta fare un bel vestito bianco e lungo per il matrimonio, e avrebbe rivisto tutte le amiche di cui aveva perso contatto in tutto quel tempo di prigionia. Sognava ogni giorno quella futura passeggiata dalla casa alla chiesa, con l’abito bianco, e tanti fiori d’attorno. Sogni pii e vani. Intanto, di sposarsi in chiesa non se ne parlava nemmeno. Ninetto e tutti i suoi fratelli erano, come del resto anche tutti i maschi della famiglia di Natalina, dei focosi mangiapreti, e a quei tempi le cose erano ben nette, o si era con i preti o si era contro, e Ninetto di chiesa non voleva sentirne parlare neppure di lontano.
Nel frattempo, poi, i rapporti tra Ninetto e i familiari di Natalina - i Mangiacani - si erano inveleniti ancor di più, fino al punto che al giovane non era più permesso di mettere piede in casa per fare visita alla fanciulla. Il padre di Natalina, che parlava poco ma quando parlava era legge, un giorno aveva perso la pazienza e aveva ingiunto a Ninetto di non presentarsi più a casa sua - non gli avrebbe permesso di salire su nemmeno il giorno delle nozze per prendersi la figlia. Se quella disgraziata proprio voleva sposarlo, ebbene, nel giorno delle nozze lui avrebbe dovuto aspettarla giù per strada. Figuratevi Ninetto! Amava Natalina alla follia, e il non poter salire in casa a trovarla era una sofferenza atroce. Inoltre, aspettarla giù in strada il giorno delle nozze era un insulto al suo amor proprio: la gente lo avrebbe visto aspettare Natalina per strada come uno che chiede l’elemosina. Una tale macchia sul suo onore lui non l’avrebbe mai accettata. Ma rinunciare al matrimonio, questo no! Natalina era sua, guai a chi la toccava, e lui non l’avrebbe certo data vinta a suo padre e a quei maledetti fratelli!
Ebbe un’idea: si sarebbe sposato di notte, quando per strada non ci sarebbe stata anima viva, così nessuno lo avrebbe visto aspettare. Per di più, nessuno avrebbe visto Natalina, nessuno avrebbe fatto commenti sui suoi capelli biondi e sul suo seno rotondo! Dai e dai, riuscì a convincere il sindaco a celebrare il matrimonio a mezzanotte, e stabilì una data segreta. Scrisse a Natalina, la convinse ad accettare il suo volere, lei pianse e pianse, ma disse di sì, e riuscì a convincere i suoi ad accettare quel procedimento così fuori dall’ordinario. Solo un piccolissimo numero di parenti venne messo a conoscenza della cosa, e le donne più anziane fecero tutti i preparativi giurando discrezione e rapidità. Si ordinò un vestito nuovo per la ragazza, si trovarono dei mobili usati per la nuova camera da letto, nella casa di lui, con la sua mamma. Si pensò perfino ad organizzare un piccolo rinfresco da consumarsi al mattino successivo. C’erano dei documenti da compilare e tante altre piccole cose, e il tempo passò veloce.
Si arrivò dunque alla notte del matrimonio. Si dice che fosse una notte di maggio senza luna ma ricca di stelle, con quel tipico leggero vento di maestrale che porta dal mare un profumo come di frutta fresca. È notte, dunque, e tutte le luci sono spente. Ninetto sale la scalinata. Ha un coltello nella tasca del vestito nuovo, perché non si fida dei Mangiacani, di Gigi in particolare. Le scarpe nuove (che si era dovuto comprare per ordine perentorio della madre) fanno rumore sul selciato. Lui fa finta di non sentirle, ma quel rumore nella notte deserta lo rende nervoso. Una zia di famiglia di Natalina è appostata nel portone, lo vede e sale di corsa ad avvertire la sposa. Natalina è pronta da ore, ha il cuore in tumulto, è spaventata come un coniglio: ha paura che il padre o i fratelli facciano un’ultima pazzia per fermarla, che magari assalgano Ninetto - ne sarebbero stati capaci! E poi, la notte è così buia, si vedono solo tante stelle, ma le strade e le case sono come inghiottite da un nero pieno di paura. Scende le scale con dietro la mamma, che continua a fare tante raccomandazioni stupide che Natalina non ascolta nemmeno. Ecco, lui è là fuori dal portone, si vede la sua grande figura solenne e immobile contro la notte. È già stizzito per l’attesa. Lui l’abbraccia, e per un po’ lascia trapelare qualche emozione, forse vorrebbe dirle qualcosa di tenero. Ma è tempo di andare. Ora l’intero gruppo scende furtivamente le scale con un solo lume a petrolio che li guida. Un altro gruppo di persone, con un altro lume, esce dalla casa della casa di lui.
C’è tensione nell’aria, i due gruppi camminano vicino l’uno all’altro, appaiono come uniti da una corrente di complicità e di paura. Sarebbe tutto silenzioso se non fosse per il fruscio dei piedi e per il canto dei grilli, che dalla campagna echeggiano fin dentro le viuzze. Il Municipio si trova in una casa vecchia e scura di un vicolo stretto. Natalina nell’entrare si sente tremare le gambe. La spaventa anche quel brusio di voci, è come se nessuno voglia dire una frase intera a voce alta. Viene fatto tutto alla svelta. I fratelli di Natalina si comportano da gentiluomini e non danno fastidio, anzi non si fanno neppure vedere. Dal Municipio si va verso la casa di lui, attraversando gli Spiazzi, la grande spianata sul mare. E lì li aspetta la sorpresa.
Ci sono infatti tanti lumini, dieci, cento, che ondeggiano piano alla brezza del mare! Ma che è? Sono candele, e viste così da lontano, da chi arriva dal vicoletto si confondono con le stelle in alto. È successo questo: che la notizia del matrimonio notturno di Natalina si era diffusa, anzi in paese lo sapevano tutti. E tutte le donne si sono date appuntamento lì, sugli Spiazzi, per vedere quella misteriosa, leggendaria bellezza di Natalina. Agli inizi Ninetto discosta quelle luci con grandi gesti nervosi, e le lucine delle candele oscillano e si turbano come scosse da un vento impetuoso. Poi Ninetto abbassa la testa e si rassegna. Le comari si fanno sotto con le candele fino al viso di lei, lucine incerte che si avvicinano a turno per poi allontanarsi furtive, come timorose di avere svelato una intimità così a lungo nascosta. A quella luce tenue, a quel vento profumato di maggio, Natalina può finalmente sorridere e il suo volto di ragazzina bionda è più bello che mai.