I Greci furono davvero, come li chiama Galanti, “gli istruttori dell'umanità” e i “primi padri di tutti i popoli”? “Oscurità” è il termine che ritroviamo più spesso negli scritti sulla storia degli antichi popoli d'Italia. Oscure sono, infatti, le tracce sulle origini di questi popoli le cui tradizioni, soprattutto quelle scritte, sono andate perdute.
Secondo Giuseppe Maria Galanti, i Greci sono stati i primi a conoscere l'arte della scrittura e anche i primi a diffonderla; ciò ha permesso loro quasi di “modellare” la storia a proprio piacimento, di plasmarla secondo il proprio credo. Il popolo greco viene descritto come un popolo superbo, convinto che ogni cosa possa essere spiegata e raccontata secondo il proprio punto di vista. Per i Greci, l'Italia costituiva un paese molto ambito per la sua posizione geografica ma le narrazioni sulle conquiste possono illudere solo chi non conosce la storia.
Galanti cita lo scrittore Varrone e la sua divisione del “tempo storico” in otto secoli antecedenti alla presa al potere di Augusto. Il tempo storico a cui Varrone si riferisce è quello che coincide con la fine delle Olimpiadi. La “cronologia” di molti popoli inizia con le narrazioni che gli uomini illustri del tempo ci hanno lasciato. Gli Etruschi sono stati i primi a mettere per iscritto la loro storia nei Rituali ma, per quanto riguarda la storia dell'Italia, i riferimenti più attendibili sono contenuti nei libri degli storici Romani che, rispetto ai Greci, sono riusciti a conservare meglio le testimonianze attraverso gli Annali dei pontefici. Prima Cicerone e poi Pittore si sono occupati di ricostruire gli avvenimenti della loro storia ma la più grande testimonianza sulla fondazione delle città d'Italia, andata anch'essa perduta, è di M. Porcio Catone. Dopo quest'opera, le ricostruzioni sono poco fedeli e molto lacunose.
Gli argomenti trattati nel secondo e terzo libro di Catone non lasciano dubbi sul fatto che, prima ancora dei Romani, erano esistite illustri e grandi civiltà: come quella di Napoli o di Cuma. Catone resta l'unico riferimento che ci consente di andare ad indagare a fondo sugli insediamenti Romani e sull'origine dei primi popoli. A lasciarci un'altra preziosa opera, seppur non consultabile, è Diodoro di Sicilia che raccolse le testimonianze scritte durante i suoi viaggi.
Possiamo sostenere che molti, come gli autori già citati, hanno cercato di conoscere i costumi e anche la lingua dei Romani; Galanti elenca gli autori che, di volta in volta, si sono succeduti e che hanno tentato di riportare alla luce delle origini così oscure. Uno di questi è stato il biografo Plutarco che, in Vite Parallele, racconta la storia dei più grandi uomini romani del tempo. Tuttavia, Galanti ci parla di “favole”, ossia di racconti non veritieri che riconoscerebbero ai Romani dei meriti eccessivi e che non renderebbero giustizia al passato. Non può sfuggirci la riflessione che fa l'autore su quanto potesse essere forte l'influenza religiosa. Tuttavia, in questa affannosa ricerca, è alla filologia che spetta il compito più difficile.
Nel secondo capitolo del suo libro, Galanti si interroga sull'origine dei nomi dei nostri abitanti. Alcuni illustri filologi, come Samuele Bochart e Mazzocchi, la fanno derivare dai Fenici e quindi dalle lingue orientali. Mazzocchi osserva che, nel Regno di Napoli, molte delle iscrizioni ritrovate sono in caratteri ignoti. In verità, tanti sembra che siano stati i modi di scrivere utilizzati dagli antichi popoli e quasi sempre si tratta delle lingue di ceppo orientale. Ma quando si sarebbero insediate le popolazioni orientali nei nostri territori? Quali sono state le teorie che hanno spinto gli studiosi verso questa interpretazione?
Per Mario Guarnacci, noto archeologo e numismatico italiano, i primi abitatori sono stati i Greci (per l'esattezza i Pelasgi). Risulta difficile stabilire quale criterio adottare per ritenere più credibile o meno una teoria ma certo è che la questione su chi per primo possa aver abitato le nostre terre resta oscura. Sempre Mazzocchi ritiene che, con il nome che si è dato originariamente all'Italia, ci si riferisse, in realtà, a quella parte di territorio che appartenuta alla regione della Calabria e a quella che poi avrebbe compreso tutta la Magna Grecia. A tal proposito, Mazzocchi ci parla di Setta Italica, ovvero di Setta pitagorica (divisa in quattro sette), così chiamata grazie a Pitagora.
Sull'etimologia della parola sembrano persistere gli stessi dubbi. Per alcuni studiosi, la parola Italia potrebbe derivare sia da Italus, ossia bue - riferendosi, in tal caso, all'abbondanza; per altri, tra i quali anche Virgilio, Italia deriverebbe dal re Italo, del quale ci parla anche Polibio. La prima ipotesi resta quella più largamente accettata. Tuttavia, l'Italia fu chiamata in diversi altri nomi, ricordiamo infatti Taurina e Saturnia, Esperia, Oenotria, Apina. Dopo esserci chiesti da dove deriva il nome Italia e quali sono stati i primi abitatori del nostro Paese, è opportuno soffermarci sui loro costumi e sul loro stile di vita.
Nell'immaginazione dei poeti dell'antichità, l'Italia si presentava come un paese libero dalle ingiustizie e dal malcostume ma la descrizione fatta da alcuni storici, come il già ricordato Strabone, svela un'Italia dominata anche dal disordine e dalla corruzione. Il popolo leggendario dei Lestrigoni, i Pelasgi, gli Aurunci e i Siculi furono tra i primi popoli che abitarono l'Italia. Le riflessioni che Galanti inserisce circa lo stato civile dell'uomo e il suo ruolo consapevole nella società in cui è calato ci forniscono non pochi spunti di riflessione sui principi che sarebbero alla base della formazione della stessa. Secondo l'autore, la natura, che in origine non è mai maligna, fornisce all'uomo gli strumenti per costruire se stesso e stabilire un rapporto con la realtà circostante, l'“industria umana” è ciò che l'uomo riesce a fare grazie al suo ingegno e alle sue azioni. Vi è una sorta di elogio alla società “presente”, in quanto, nonostante tutto, è il risultato dei progressi ottenuti nel mondo dell'arte e della scienza. Pietroburgo è l'esempio più efficace di città gloriosa, la cui fondazione è però costata la vita a centomila uomini.
Un altro tema affrontato da Galanti è quello del governo politico. Di certo, non tutti i popoli sono stati così grandi e così saggi da poter essere adulati senza qualche riserva. Gli Spartani, ad esempio, si sono distinti per la loro ferocia e crudeltà eppure quando si parla di Sparta se ne parla come di una città dalla storia inimitabile e così vale anche per Roma. Ciò che rende davvero grande una città è forse la propria forma di governo. Affinché l'uomo non abusi dei beni che la natura gli ha ceduto e sia consapevole delle sue scelte morali è necessario che dipenda da un governo, poiché «la prosperità di un popolo non è che il frutto della legislazione».
L'Italia può vantare un secolo “felice”, in cui si è vissuti sotto le norme del vivere civile (durante i regni di Giano, di Saturno e di Enotrio). I Saturnali descrivono alla perfezione questo secolo, sottolineandone la prosperità e il sentimento di uguaglianza tra gli uomini. Per quanto riguarda la configurazione socio-politica, il popolo sannita si divideva in diverse tribù che popolavano e governavano il territorio: i Carecini che abitavano le zone più settentrionali del Sannio; la tribù dei Pentri che popolava la zona più interna; i Caudini che invece vivevano fra la zona del Massiccio del Matese e la pianura lungo il tratto centrale del Volturno; gli Irpini che abitavano la zona più meridionale del Sannio. La loro organizzazione sociale era costituita da una repubblica in cui tutti erano impegnati e pronti a dimostrare la loro massima virtù e fedeltà alla patria.