Nella Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo, presso Parma, è allestita una retrospettiva dedicata a Roy Lichtenstein, uno dei geni della Pop Art americana che, con il suo stile, ha influenzato grafici, designer, pubblicitari e tanti altri artisti.
Lichtenstein e la Pop Art americana riunisce più di 80 opere del maestro e degli altri protagonisti della Pop Art americana come Andy Warhol, Allan D’Arcangelo, Tom Wesselmann, Robert Indiana e James Rosenquist. La prima parte del percorso è dedicata alla stagione iniziale della Pop Art, negli anni tra il 1960 e il 1965 in cui nascono le icone dell’artista newyorkese (1923-1997), tratte dal mondo dei fumetti e della pubblicità. Continua nelle sale successive la presentazione di alcune serie di Lichtenstein che si riferiscono da un lato alla storia dell’arte e dall’altro toccano il tema dell’astrazione pittorica. Oltre alle opere su tela, alla produzione grafica e al viaggio espressivo attraverso il confronto con altri nomi della Pop Art, il curatore Walter Guadagnini e Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca, hanno aggiunto nell’allestimento una serie di fotografie di due assi dell’obiettivo, Ugo Mulas e Aurelio Amendola che ritraggono in diversi momenti l’artista americano all’opera nel suo studio.
Walter Guadagnini, già autore di storiche ricognizioni sulla Pop Art e direttore di Camera, il centro italiano per la fotografia a Torino, spiega l’identità di questa retrospettiva resa possibile grazie alla collaborazione della Fondazione con i celebri musei internazionali, gallerie di prestigio e collezioni private.
Le identità sono multiple. Da un lato il fuoco su Roy Lichtenstein attraverso opere importanti che vanno dall’inizio agli anni Ottanta con questa ulteriore specificazione che credo si legga molto bene, cioè il passaggio tra figurazione e astrazione, da un lato il Lichtenstein come dire più conosciuto e magari quello meno noto al grande pubblico ma che è esattamente lo stesso Lichtenstein. Questa è la chiave di lettura primaria su Lichtenstein. Poi c’è quest’altro aspetto che io ritengo fondamentale della mostra e penso che anche questo si legga molto bene, cioè mettere sempre assieme dipinti, grafiche o documentazione fotografica in modo tale che il visitatore ha sempre l’idea di questo racconto quasi geografico del personaggio e dall’altro la molteplicità di strumenti che l’artista usa e che sono tutti egualmente importanti. La terza identità è contenuta nel sottotitolo dell’esposizione: E la Pop Art Americana, cioè la contestualizzazione di Lichtenstein in questa storia, cercando di trovare quegli autori che in qualche modo hanno fatto un percorso analogo, cioè hanno lavorato molto nella figurazione all’inizio, ma poi, in realtà, sono passati molto spesso all’astrattismo. Ecco le tre grandi linee attraverso le quali si può leggere questa mostra”.
Qual è stata la grandezza artistica di Roy Lichtenstein?
La riproducibilità. Lichtenstein ha avuto questa straordinaria intuizione che è riuscito a portare avanti tutta la sua vita per cambiando in maniera continua i suoi soggetti e il modo di proporli. Un altro aspetto è legato allo stile ma non solo a quello. Lichtenstein ha una capacità di sintesi straordinaria. È davvero quello che riesce ad arrivare a un’immagine e quell’immagine rimane come icona.
E la tecnica che ruolo assume nel suo percorso d’artista?
Un ruolo fondamentale è tenuto dalla sua tecnica. Lichtenstein è riconosciuto - secondo una metonimia semplificatrice tipica della comunicazione di massa – non meno come il pittore dei puntini che come il pittore dei fumetti, puntini intesi come i Ben Day dots il cui utilizzo ha in effetti caratterizzato tecnicamente e stilisticamente il suo percorso, in alcuni casi diventando sostanzialmente il soggetto stesso del dipinto. Ora, anche in questo caso il suo processo è estremamente lineare nell’evoluzione, abbastanza esplicito nelle dichiarazioni, estremamente complesso nei risultati linguistici.
Come riassume la poetica di Roy Lichtenstein?
In fondo la sua poetica si muove su due binari, altrettanto importanti e altrettanto nascosti, che sono la dimensione metafisica e quella umoristica, non necessariamente antitetiche, come la storia stessa dell’arte insegna.
Come mai ancora oggi è possibile riscontrare riferimenti al suo stile in ogni ambito del design e della comunicazione?
In effetti, da subito, Lichtenstein è, insieme a Warhol, il punto di riferimento, la pietra di paragone sulla quale misurare l’estetica della Pop Art con le sue premesse e le sue conseguenza.
Walter Guadagnini mette sempre sullo stesso piano un grande interesse per la Pop Art e per la fotografia?
La passione per la Pop Art si manifesta questa volta nella sua pienezza con l’altra mostra: Camera Pop La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co presso il centro della fotografia Camera di Torino fino al 13 gennaio del 2019. Nel mio testo sul catalogo, spiego perché ho questo chiodo. La realtà è che mi sembrano due modi di espressione con tutte le differenze del caso. Riescono ad avere due diversi livelli di lettura e parlano della realtà in maniera immediata. Contemporaneamente sono la manifestazione di livelli di lettura molto più profondi per i quali anche chi passa la vita a studiare art, può trovare tutta una serie di pensieri e di ragionamenti nella fotografia.