“Meraviglia normale”. C’è una canzone, nell’album nuovo degli esterina, che si intitola così e che vorrei usare per raccontare questo lavoro, il quarto in studio della band toscana che ha casa in quella terra che sta tra Lucca e la Versilia. “Meraviglia” come reazione positiva, perché il disco mi piace molto, ma anche come chiave di lettura del mondo: la capacità di meravigliarsi di fronte a quello che succede, consapevoli che “non si può mai sapere che c’è nel cuore delle persone”, che è un passaggio di “Sì che lo merita”, uno dei momenti forti di questo “Canzoni per esseri umani”.
Il titolo dice già tanto, e mi ricorda, forse (anzi, quasi sicuramente) al di là della intenzioni, quella “Sonata per le persone buone”, il cui spartito viene regalato a uno dei personaggi principali del film “Le vite degli altri” come antidoto per un’esistenza dominata dalla malvagità indifferente alla sofferenza altrui. La stessa tensione la trovo qui: il tentativo di rivendicare la volontà, e forse la possibilità, di guardare il dolore in faccia, e ingaggiarci una lotta senza partire sconfitti.
Ma torniamo in tema e andiamo avanti: l’aggettivo “normale” messo accanto a “meraviglia” non va inteso in senso dispregiativo, e nemmeno diminutivo: significa, per me, in questa strana recensione fatta tagliuzzando e riappiccicando pezzi di canzoni sparse, che gli esterina affondano le mani nella vita normale, quella di tutti noi, che non è affatto quella semplice, ma anzi è quella che più la guardi da vicino, più decidi di sfidarla e più ti accorgi che è complicata. Un po’ come questo album, che è indubbiamente più “facile” dei precedenti, apparentemente meno spigoloso, e però a ogni ascolto guadagna spessore, sia sul piano delle parole, componente sempre fondamentale per questo gruppo, che nella musica, che sintetizza bene il percorso fatto dall’esordio “Diferoedibotte” di dieci anni fa a “Dio ti salvi”, uscito nel 2015.
La normalità si trova anche nella già citata “Sì che lo merita”, cantata in duetto con Stefano “Edda” Rampoldi, quando dice “Se c’è qualcosa di normale è volersi bene”. Riecco i buoni sentimenti, riecco la spinta verso l’amore di cui queste canzoni sono cariche. Ma c’è anche un’ambizione civica: “Merita/ Comunque merita/ Esser convinti che la verità si esercita” è un invito utile in tempi in cui il concetto di verità viene sagomato spesso sul modello dei propri pregiudizi, tanto da diventare qualcosa di impalpabile, inafferrabile. Se invece vi serve la ricetta per superare il disgusto per quello che vi succede intorno, ricordatevi che “Dipende solo da te, dal tuo sguardo migliore/Trovare il bene che c’è al di là dell’orrore”, prendendo a prestito ancora le parole da “Meraviglia normale”.
In realtà oltre ai due brani citati fin qui, ce ne sono altri che declinano variamente questa ricerca intorno all’amore. “Il mio amore semplice” è il verso che apre “Chiamarsi”, che a sua volta apre il disco, e che non può essere lì, con questo incipit, per caso: perché sembra squadernare in quattro parole il tema dell’album. C’è posto anche per il dolore in “Santo amore degli abissi”, anticipato come singolo, che dice “La vita è enorme quando vuol far male” ma poi subito completa il quadro con “La vita è bella quando fa come gli pare”.
I sentimenti semplici sembrano anche quelli di “Cometa”, una sorta di ode per la destinataria di un amore impossibile, padrona di una felicità “insolente”, difficile da conquistare e anche da capire: “Non le dire basta/Non le fare una domanda/Lei è come una pioggia/è una gloriosa immacolata pioggia”. “Te e io” tocca in qualche modo gli stessi tasti, e anche “Più di me” si tormenta per ragioni di cuore: “Dove sei?/ Cosa c’è nella tua pancia?/L’amore di qualcun altro o l’onomastico dell’obbedienza?”.
La musica che sta attorno e in mezzo a queste parole, un post-rock cantautorale che ormai è un marchio di fabbrica, non poteva essere invadente, e dunque è tagliata sulla semplicità, sulla discrezione, anche quando si prende uno spazio tutto suo, come negli ultimi bellissimi tre minuti di “Esterno notte”, che chiudono il disco accompagnando l’ascoltatore verso l’uscita, verso l’oscurità ritratta nella foto di copertina di Alessandro Puccinelli e rotta dalle luci di un camper solitario, un presidio di umanità.
Le ultime parole cantate in questo disco sono “Tutto viene e tutto resta/Caro cuore e cara mia tempesta”, dopo c’è solo un sentiero, tracciato dalla chitarra elettrica, che porta al silenzio.