La cantante e attrice napoletana Anna Maria Giannone nasce nel bel mezzo della città, dove si «apre via Spaccanapoli, un rettilineo di più di un chilometro, stretto e vociante, che divide in due l'enorme agglomerato», cuore pulsante di quella Babele della storia dove visse Benedetto Croce.

E il cuore di Anna Maria è presente in ogni suo gesto, nei suoi occhi sfavillanti di passione, nella sua voce scura ricca di tutte le sfumature della napoletanità. Aveva solo tre anni quando scoprì che la sua missione era cantare e ne aveva circa sedici quando la sua voce si espandeva per la tromba delle scale annunciando a tutto il vicinato che lei era tornata. Suo padre voleva farle fare la parrucchiera, un mestiere per cui non era tagliata ma che aveva accettato di buon grado perché i fili del phon le ricordavano il microfono, così come la tromba delle scale fungeva da amplificatore per la sua voce. Alla fine suo padre fu costretto a darle una chance e la portò a fare un provino con Sergio Bruni. Erano gli anni ’86-’87.

Hai iniziato la tua carriera con Sergio Bruni, quindi?

Ho conosciuto Sergio Bruni nel suo momento di passaggio dalla canzone classica napoletana al sodalizio artistico con il poeta Salvatore Palomba. Ho vissuto il periodo del loro primo album, Levate ‘a maschera Pulicenella, che racchiudeva pezzi importanti come Carmela, Chiappariello, ‘o spacciatore, ‘O guardamacchine, eccetera. Nei nostri spettacoli raccontavamo un’altra Napoli, non già quella sentimentale della vecchia canzone, Palomba, con i suoi testi poetici, attingeva «alla cruda realtà di Napoli e alle drammatiche condizioni di vita del suo popolo costretto a inventare mille mestieri per non morire». Carmela è «una ragazza bruna, bella, fiera, napoletana, che serviva ai tavoli e ci guardava dall’alto in basso, come una regina», diceva Palomba, ma è anche la speranza di una città infangata dalla tragedia della camorra, è la forza della città stessa, quella parte di Napoli che resta:

«Stu vico niro nun fernesce maje
e pure 'o sole passa e se ne fuje.
Ma tu stai llà, addurosa preta 'e stella,
Carmela, Carmè
».

E poi c’è la creatività della napoletanità, al di là dell’imbroglio e del raggiro, c’è la capacità di inventarsi un mestiere, ‘O guardamacchine, per esempio?

L’incontro con Palomba ha dato un altro respiro alla canzone di Sergio Bruni, non si parlava più solo di “sole, pizza e mandolino”, ma si affrontava il tema sociale degli ultimi, dei morti di fame, dell’arte di arrangiarsi per sopravvivere, dei parcheggiatori abusivi, degli spacciatori, delle prostitute. C’è tutto un mondo a Napoli che rappresenta il vivere quotidiano, quel vociare nelle strade che fa parte del quartiere, una confusione che si manifesta con un incredibile ordine, una creatività che si sviluppa proprio dai limiti imposti dalla criminalità organizzata, ma soprattutto dalla mancanza di mezzi.

«A Napoli noi siamo stati sempre specialisti
a inventare mestieri, perché la fatica,
se non ce la inventiamo noi, nun se magna
».

Napoli non ha esportato solo la camorra, ma anche, per dirla con le parole di Luciano Stella, «l’arte della vita, intesa come l’arte di saper reagire, di essere consapevoli di quello che ci succede, di trovare soluzioni per ristabilire un equilibrio, un positivo stupore delle cose che ci possono capitare. È un’arte del mutamento, non un’arte della fissità».

In questo continuo vociare, in questa nascita di mestieri, c’è la ribellione dell’uomo offeso da una vita miserabile, c’è una trasformazione del limite nel suo superamento, tant’è che sempre Palomba al posteggiatore abusivo fa affermare:

«Io esercito il mestiere 'e guardamachine,
la più moderna e nuova professione…
E' nu mestiere serio…
Pecché a guardà ci vuole l'abitudine,
ce vò' ll'applicazione e ll'esperienza
».

Se lo Stato non riesce a risolvere i problemi della sopravvivenza dei più deboli, cosa deve fare un disgraziato, se non trovare un modo?
«L'autorizzazione del Comune?
Eh, nun 'a tengo. Mi sono fatto autorizzare
da mia moglie e cinque figli
».

E così sei riuscita a fare la cantante, e poi anche l’attrice, come è successo?

È successo quasi subito, nel 1989, con la Compagnia del Teatro Bellini di Napoli diretta da Tato Russo. Fui scritturata nello spettacolo Palummella zompa e vola con Tato Russo e Rosalia Maggio, come attrice giovane protagonista, ero io la Palummella. Ho avuto l’opportunità di lavorare con Rosalia Maggio, la penultima dei componenti della famiglia Maggio, una donna molto sensuale, capace di passare dal varietà all'avanspettacolo, dal dramma al teatro napoletano e perfino al cinema, interpretando un ruolo nel film con Totò e Peppino De Filippo, dal titolo Totò, Peppino e le fanatiche. Per una ragazza giovane come me, respirare la stessa aria di Rosalia e Tato fu davvero un bel battesimo. Dopo mi iscrissi all’Accademia Nazionale del Teatro Bellini, ma poi lasciai nella stagione ’92-’93 perché fui scritturata da Carlo Giuffrè per la commedia Le voci di dentro di Eduardo De Filippo, diretta e interpretata dallo stesso Giuffrè.

Una mirabile opera sul moralismo, che sarebbe attualissima anche ai giorni nostri.

Effettivamente, il protagonista, infatti, crede di essere un depositario dei valori ormai dimenticati e si sente in dovere di esercitare un ruolo da inquisitore nei confronti di un’intera famiglia che crede colpevole d’omicidio. E nonostante manchino davvero le prove, nascono una serie di sospetti reciproci tra i presunti imputati. Nascono delle ‘Voci da dentro’ che scavano nell’inconscio dei personaggi, i quali finiscono con l’accettare l’accusa di assassinio come un fatto di normale quotidianità. In questa commedia ho potuto assorbire la grandezza di Eduardo, ma anche quella di Giuffrè.

Con Giuffrè hai interpretato un ruolo anche nella commedia Natale in casa Cuppiello, la commedia forse più nota di Eduardo che risale al 1931?

Viviani, Scarpetta, Eduardo, Peppino, sono autori che ho avuto la fortuna di rappresentare. Come sostiene Palomba, questi erano gli artisti che conoscevano la lingua napoletana, oggi stiamo assistendo al suo degrado. Si tratta di «un gergo maltrattato, un napoletano senza alfabetizzazione: la lingua di Gomorra. Il napoletano scritto è quasi esclusivamente letterario: poesie, canzoni, teatro».

Hai avuto la fortuna di lavorare anche con Massimo Ranieri al Teatro Stabile di Genova, cosa portavate in scena?

Si trattava di Liolà di Pirandello nella visione di Maurizio Scaparro. Come dichiara lo stesso regista «Liolà è la cultura mediterranea, la Magna Grecia, il paganesimo». Per me un’altra esperienza significativa e appassionante, ho sempre amato questa figura di clown, poeta e vagabondo, come lo definisce Repubblica, fa parte del mio animo napoletano. Anche se come donna, quest’uomo libero di amare tante donne, magari non rappresenta il mio prototipo…

Alla serata conclusiva del Festival Come il vento nel mare ti sei esibita accompagnata dal chitarrista Angelo Migliaccio in una performance di canzone napoletana classica dal titolo 'Na voce, 'na chitarra (e 'o poco 'e luna), ma hai voluto proporre anche ‘O guardamacchine e un altro brano tratto dallo spettacolo teatrale Napoli notte e giorno scritto da Raffaele Viviani, perché?

Adoro il mondo di Raffaele Viviani, il suo teatro di denuncia, la sua capacità di dare voce a tutto quel sottobosco di delinquenti, malefemmine, magnaccia, famiglie senza tetto che vivono nei quartieri popolari di Napoli, tutta quella realtà degradata che conduce i napoletani spesso all’emigrazione per sfuggire alla miseria e poter avere una possibilità di riscatto. Il Caffè di notte e giorno, è sempre aperto per ospitare tutta quella pletora di derelitti di ogni genere, affamati dalla miseria e ignoranti per mancanza di mezzi. Come in tutti i porti di mare, le atmosfere dipingono quella congerie di sbandati che entrano in conflitto tra di loro, che si offendono, che si minacciano, ma che alla fine non fanno davvero nulla, un tempo avevano la speranza di partire alla ricerca dell’Eldorado, oggi, invece, in questi porti di mare, arrivano… Dei personaggi di questa specie di inferno di gente malfamata e piena di problemi, ho scelto un pezzo intitolato U sapunariello perché rappresenta una di quelle voci che sentivo sempre passare da piccola, il venditore di oggetti vecchi, uno di quei derelitti del popolo di Viviani che afferma:

«E intanto ‘o delegato e tutt”e guardie vanno piglianno ‘a gente ‘e malavita.
Capite? Accussì ‘a chiammanno! Addo’ si chella è bbonavita!
Chella è gente ca magna e ca veve,
cu carrozze, triate, scampagnate,
cu cocotte, etceveza etceveza.
E chesta è malavita? Ma ve ne jate o no!
‘A malavita overo, chell’autentica,
è chella ca facc’io, cu sta miseria!
».

Dovevo cantare durante una cena di gala, abbiamo scelto con Angelo pezzi classici della canzone napoletana, per accompagnare la cena in leggerezza, volevo aprire con questo pezzo di Viviani, ma poi abbiamo deciso che era meglio farlo dopo la grande abbuffata…

Sono tanti anni che canti nel complesso di Angelo Migliaccio I Marechiaro, avete fatto tournée in tutto il mondo, Brasile, Canada, Montecarlo, Egitto…

In realtà io non l’ho seguito in tutte le sue tournée, per tanto tempo ho girato l’Italia e l’Europa, poi a un certo punto, dopo la nascita di mia figlia Lucrezia, ho deciso di fermarmi un poco, ho trovato un lavoretto tranquillo, con degli orari che mi consentissero di avere una famiglia e mi sono ritirata dalle luci della ribalta. Ora Lucrezia ha undici anni, forse è venuto il momento di ricominciare a cantare. In realtà non ho mai smesso, canto a casa mentre cucino, canto in macchina mentre viaggio, canto anche in ufficio, ormai le persone che vengono alla reception dove io le accolgo, lo sanno che canto e, spesso, mi chiedono di fare una cantatina… E io canto mentre cerco i loro nomi al computer, mentre consegno loro i badge, è un modo differente di fare la receptionist…

Una serie di foto dei vari spettacoli montati con la musica