Corpi umani vestiti solo di colori che raccontano un’idea, un’emozione, uno stato d’animo o trasmettono un messaggio. Opere d’arte viventi che si distaccano dal proprio creatore interpretando a loro volta la creazione. Una creazione artistica che svanisce presto e che, a differenza di altre forme d’arte, può restare viva solo nel ricordo o in uno scatto che l’ha immortalata. Si chiama Body Painting ed è una forma d’arte temporanea e dinamica in cui il corpo umano si trasforma in tela dell’artista il quale dà libero sfogo alla sua creatività con disegni, geometrie, simboli, colori, sfumature e giochi di luce.
Sebbene questa forma di body art sia molto diffusa soprattutto a partire dagli anni ’60, portata alla ribalta dal movimento americano degli hippies che anche attraverso essa volle lanciare messaggi di libertà, in realtà affonda le radici in epoche remote, ovviamente con finalità e significati differenti. Come riportato alcuni fa dal quotidiano inglese Independent, l’uso di pigmenti colorati nelle prime forme di Face e Body Painting risalirebbe a circa trecentomila anni fa.
In Zambia, durante gli scavi nella caverna di Twin Rivers, l’archeologo Lawrence Barham dell’Università di Liverpool, ritrovò infatti pigmenti di varie tonalità derivati da minerali locali utilizzati, secondo lo studioso, per la decorazione rituale del corpo, come segno di affermazione della propria identità e dell’appartenenza a un gruppo. Nel contempo, diversi antropologi sostengono che sessantamila anni fa era abitudine degli aborigeni australiani dipingersi il corpo, mentre mummie di donne del basso Egitto risalenti a più di quattromila anni fa presentano segni di tatuaggi sull’addome.
Sicuramente gli aborigeni australiani sono fra le più antiche popolazioni a praticare la pittura del corpo rievocando il Dreamtime, il Tempo del sogno, ma anche gli Indiani con l’ocra rossa sul volto e, ancora, oggi è una pratica diffusa tra diverse popolazioni tribali in Africa e in Amazzonia, come le donne del nord Africa che usano la tecnica dell’Hennè per dipingere mani e piedi o anche gli uomini Nuba, nel sud del Sudan per i quali il body painting è l’abito quotidiano e le tribù Mahori che, dipingendo viso e corpo, esprimevano forza, bellezza e posizione sociale.
La pittura del corpo presso diversi popoli ha svolto diverse funzioni, dalla protezione dalle intemperanze del clima e dalle punture di insetti o dall’aggressione di animali, a quella per entrare in contatto con le forze dell’universo, per segnare il passaggio a una determinata età, per i rituali della caccia, per spaventare il nemico, per attrarre l’altro sesso e per esternare uno stato d’animo.
Il Body Painting è dunque un’antica forma d’arte che nei tempi moderni trova spazio in nuovi ambiti come moda, teatro, eventi artistici e promozionali, concorsi, spettacoli e rassegne come il Rabarama Skin Art Festival con semifinali in tutta la Penisola e la finale a Merano, l’Italian Body Painting Festival sul Lago di Garda e il Body Painting Festival ad Abano Terme. Se i pigmenti un tempo erano applicati sul corpo con le dita o con appositi stampini di legno o terracotta ed erano composti da materiali come fango, cenere, sabbia, ocra, creta, gesso, frutti, oggi l’applicazione avviene con l’uso di pennelli, spugnette o sofisticati aerografi utilizzando tempere, colori naturali o acrilici e sintetici realizzati da diverse aziende cosmetiche.
Sono trascorsi diversi decenni da quando, nel 1933, Max Factor suscitò scandalo presentando all’Esposizione universale di Chicago una modella vestita solo di pittura. Oggi invece il Body Painting è una forma d’arte diffusa e apprezzata anche in Italia, ma è ancor più conosciuta e praticata soprattutto in Inghilterra e Germania. Tra i più noti e pluripremiati artisti ricordiamo Lucia Postacchini, Alex Hansen, Maria Cristina Pompei e Giusy Campolongo.