Dopo il ritorno di Pino, tutto ricominciò come prima per i tre amici. Tra poco sarebbe ricominciata la scuola e Giovanni ne era molto contento, mentre Pino e gli altri ci pensavano sbuffando. Pino già pensava al suo prossimo viaggio con il Giovannino, un viaggio, si diceva, che doveva portarlo fino a Tripoli, pensate, addirittura in Africa!

I tre amici erano spesso insieme. Quando Vito Michele scendeva in paese, Giovanni gli stava sempre a fianco. Amava quel padre burbero e gigantesco, e sapeva bene che i suoi amici glielo invidiavano. Anche Ughetto e Pino amavano sedersi in piazza vicino a Vito Michele, guardando i minatori che arrivavano in paese con le carrette piene di minerale. Qualche volta uno dei minatori si fermava a parlare con Vito Michele - l’anarchico si informava sulle condizioni di sfruttamento del lavoro nelle miniere e qualche volta cominciava a inveire rumorosamente contro i padroni, contro il governo, contro il papa, che a dire il vero non c’entrava nulla con la miniera, ma Vito Michele non era fatto per queste sottigliezze.

Qualche volta Giovanni rimaneva a dormire a casa di Ughetto o di Pino, ma era soprattutto a casa di Pino. Lì c’era una cucina molto grande, dove si passavano le serate più belle, raccogliendosi a veglia intorno al camino doveva crepitavano le caldarroste. Spesso veniva anche altra gente, come Eros e sua moglie Adele. Eros era particolarmente amato dai ragazzi, perché sapeva molte storie, anche quelle di streghe e di maghi.

E quando il discorso cadeva sulla magia, c'era subito qualcuno che diceva:
"Eh, sì, quelli di Capoliveri...". E il vecchio Eros aggiungeva subito che Capoliveri un tempo si chiamava Campo Libero e questo perché era un posto dove ci tenevano, a piede libero, le persone pericolose o sospette e c'era gente di tutti i colori, lì a Campo Libero, inclusi quelli accusati di stregoneria, e anche tanti zingari, e loro sì che erano tutti un po' stregoni, e ancora più le loro donne. "Eh, sì, si raccontano certe storie di Capoliveri..." soggiungeva Eros, e tutti i bambini si zittivano in un momento, aspettando che cominciasse.

Eros, che aveva sempre freddo, sedeva vicino al fuoco, allungando le mani per riscaldarsi, e Adele aiutava la mamma di Pino a cuocere i marroni nella padella dal fondo bucherellato. Si sentiva lo schioppettare delle castagne che saltavano, il fruscio del fuoco, e la voce lenta di Eros che, dopo qualche attimo di raccoglimento cominciava a parlare guardando gli ascoltatori fisso negli occhi. "Una volta c'erano sette donne di Capoliveri, che giù al Lido dovevano spingere a mare una grossa barca nera ...".

Qui interveniva Adele, mobile, vivace, parlando più con le mani che con la bocca, ma anche tanto con la bocca, facendo utili postille al racconto in genere laconico del marito. Per esempio, che a quei tempi era in uso che le donne andassero a pescare da sole con quelle barche grosse spinte a remi, ed erano donne grandi e forti, tutte nere e di sangue zingaro, mamma mia!...

Eros lasciava posto alle lunghe precisazioni della moglie con pazienza, poi quando ne era stanco la zittiva con un gesto pacato della mano, ricominciando a parlare con un tono solo leggermente più brusco della voce. "E allora dunque dovevano spingere la barca a mare. Dovete sapere che questa barca era molto pesante, e allora per farla muovere dovevano dire ogni volta una formula magica. Dicevano: 'Bara sette!' e solo così la barca si muoveva. Bara sette... bara sette... E dicevano così, capite, perché loro erano in sette...".

I ragazzi non capivano perché si dovesse parlare di bare da morto per spingere a mare una barca ma quelle erano appunto le cose affascinanti della magia nera, che tu non le capivi, e con ansia aspettavano il proseguo del racconto. "Bara sette... bara sette... un attimo di silenzio, poi Eros li guardò tutti fissi fissi in viso... Ma quel giorno la barca non si mosse! ... Bara sette... bara sette... Niente!" Un'altra pausa di silenzio, che sembrò a tutti interminabile. Cosa sarebbe successo, ora?

"Poi la più vecchia del gruppo (Giovanni si raffigurava una zingara dai capelli neri e dagli occhi sfavillanti) alzò la testa e disse e tutti intuirono dall'espressione di Eros che la donna doveva essere adirata - e disse, questa donna: Bara otto! E la barca si mosse subito e andò a mare facilmente. Perché capite, una di quelle donne, la più giovane, era incinta, e non l’aveva detto a nessuno, lei lì, e allora non erano più sette ma otto... Capite che cose, quelli di Capoliveri?...".

Si raccontavano poi altre storie: quella del rabdomante, che trovava l'acqua con una forca di legno e diceva quanto profonda fosse la sorgente dell'acqua, e che come tale aveva trovato un regolare impiego presso l'amministrazione delle Miniere. Giovanni, che come il padre a queste cose ci credeva poco, chiedeva subito come fosse possibile sentire l’acqua con un bastone biforcuto. Allora il vecchio Oreste, che a detta sua aveva studiato molti mesi all’Università di Pisa, cominciava con le sue spiegazioni scientifiche: diceva che l'acqua emette delle radiazioni elettromagnetiche,... "una specie di corrente" spiegava poi ai più ignoranti, che poteva essere captata dal sangue di certe persone sensibili, le quali avevano nel sangue lo stesso tipo di vibrazioni elettromagnetiche, ed allora le due radiazioni si combinavano e facevano muovere le mani del rabdomante e la forca di legno, e questo più o meno intensamente, a seconda della distanza dell'acqua dal sangue...". Le dotte spiegazioni di Oreste non interessavano molto ai ragazzi - eccezion fatta naturalmente per Giovanni. A loro piaceva di più sentir parlare di spettri, di negromanti e di streghe.

Oltre a Eros, un’altra sorgente di notizie sulle cose magiche erano le vecchie della panchina: cinque vecchie che sedevano ormai da tempo immemorabile ogni giorno sulla stessa panchina. E queste vecchie conservavano nella loro memoria le storie più fantastiche dell'Isola - come quella, per esempio, del Mago Chiò.

-O Virginia, ma ci raccontate un po' la storia del Mago Chiò?
-Ve l'ho raccontata così tante volte!... - la Virginia era la più vecchia e sedeva sempre nel mezzo del gruppo. Si lasciava un po' pregare, poi ricominciava:
-Dovete allora sapere che il Mago Chiò era uno che si chiamava così perché era proprio un mago. Viveva nei boschi, non aveva una casa come gli altri cristiani. Aveva sempre un uccello nero, si dice fosse un corvo, sulla spalla, con cui parlava, e un cappellino nero a punta. A volte veniva nei paesi, per lo più intorno a Portoferraio, ma a volte arrivava a piedi fino a Portolongone... Portava sempre con sé dei grossi chiodi di quelli che usano per scalare le montagne, e un grosso martello, sempre legato alla cintola... Chiò viene da chiodo, capite?
-Ma perché, Virginia? Perché aveva il martello? - era sempre Giovanni che faceva le domande, lui si voleva sempre capacitar di tutto.
-Un po' di pazienza, ora te lo dico... Aveva il martello, e i chiodi, perché quando veniva in un paese, fissava la sua attenzione su una casa, una qualsiasi, e non si capiva mai perché scegliesse una casa e non un altra... Poi piantava ai chiodi nel muro e saliva su, fino al tetto...
-Saliva sul tetto piantando dei chiodi nel muro?
-Sì!
-E la gente che faceva?
-La gente lo lasciava fa', perché era un mago potente, e poi a quei tempi la gente era buona, e qualche buco nel muro non dava noia a nessuno. Lui era contento così. Insomma saliva sul tetto, e lì ci costruiva una casina di legno, piccina piccina, usando degli arnesi speciali che portava sempre con sé, dentro una borsa...
-Perché faceva le casine di legno sul tetto delle case?
-Perché e perché! Come siete stupidi e noiosi! Perché era un mago, e i maghi sono sempre un po' strani, la pensano a modo loro, non come i cristiani, capite?
-E poi?
-E poi, un giorno, Mago Chiò andò proprio a Portoferraio, in città. E lì vide una donna bellissima, meravigliosa...
-Come? Era una strega travestita?
-No, no! Era una donna normale, ma bellissima, e da tale bellezza lui si innamorò perdutamente! Sì, il mago Chiò totalmente innamorato di una cristiana! E da allora cominciò a ritorna’ sempre più spesso a Portoferraio per vede’ quella donna...
-Ma perché?
-Di nuovo queste domande sceme! Perché e percome! Il perché te l’ho detto, si era innamorato, innamorato pazzo! E ne soffriva, perché a causa di quest'amore doveva sempre ritorna’ in città, poverino, e non era più libero di stare nei boschi ... E quando infine capì che non era più un uomo libero, cominciò a colleziona’ fiammiferi...
-Fiammiferi, Virginia? Per farne che?
-Il mago Chiò fece un infuso di teste di fiammiferi, lo bevve, e morì...
Alla fine di questa storia c’era sempre un mormorio di insoddisfazione. Ma che storia era? E perché doveva avvelenarsi per una donna? Ma finiva proprio così?

Finita la storia, le vecchie della panchina cercavano di mandarli via, perché dovevano parlare tra sé di cose ben più serie, dicevano loro. Ma i ragazzi insistevano, volevano saperne di più sui maghi e sulle streghe.
-Non ci sono più streghe qui in paese? - chiese una volta Pino chinandosi verso di loro in un bisbiglio complice.
-Se ce ne sono, voi siete le uniche a saperlo, voi sapete sempre tutto, siete così brave!… - rincarò Ughetto.

Fu così, domanda e insisti, che vennero a sapere della Donnina Nera. Loro lo avevano già sospettato, che quella fosse una strega - anche se non si sarebbero mai immaginato quel dettaglio che raccontò loro Virginia - che la donnina faceva il sapone con le ossa dei morti che lei andava a disseppellire al cimitero. L’unico che non voleva crederci era Giovanni, secondo il quale si trattava solo di superstizioni borghesi. Gli spettri, i maghi e le streghe non esistono mica! Scoppiavano allora lunghe e agguerrite discussioni sull’argomento, e Giovanni si trovava sempre in minoranza, e cominciò ad assecondare gli amici, anche se a malincuore.

Così fu con la Donnina Nera. Da quel giorno Ughetto, Giovanni, Pino e altri ragazzi che si occasionalmente accodavano a loro, come il Pretino, presero a seguirla e spiarla a dovuta distanza. A sera, poi, si raccontavano e riassumevano quel che avevano imparato. Scoprirono così cose interessanti che non fecero che rafforzare il loro convincimento. Per esempio che lei viveva tutta sola in una casina alla fine del campo di papaveri, e che in quella casa teneva un fuoco sempre acceso con un camino che fumava sempre.
"Hai visto che la Donnina Nera porta una catena nera al collo?" diceva l'uno.
"Scommetti che porta una statuetta di Satana appesa a quella catena? Bisognerebbe rubarle la catena e lei perderebbe tutti i poteri...".
-Macché!- diceva Giovanni- Mi par che sia una croce di argento, come ce l’hanno tante vecchie!
-Ha certo più di cent'anni! diceva un altro tanto per cambiar discorso - lo vedi che pelle vizza?
-E hai visto come cammina? Tutta sbilenca, per via della gobba...
-Sì, ma che c’avrà dentro la gobba?

Una domenica mattina Pino la vide sbucare da dietro il muro di Santa Filomena, e chiamò tutti gli altri con un fischio d’intesa che avevano pattuito.
-Forza, seguiamola!
Lei aveva un paniere in braccio che era pieno di mele, certo avvelenate, pensavano i ragazzi... Camminava lentamente, ogni tanto si fermava e ansimava.
-È proprio delle streghe fingersi stanche e malate… sussurrò Ughetto così che tu non abbia paura. Con noi, questi trucchi non attaccano...
-Vi dico io che è una povera vecchia un po’ rincitrullita dalla solitudine! - diceva Giovanni scuotendo la testa.
-È una strega, è una strega potente! - ribatteva Pino mostrando il pugno a quel testardo.

Videro poi con spavento che la Donnina Nera si avvicinava a una bambina: era la piccola Giovanna figlia di Marta, con il suo vestitino rosso e i lunghi capelli biondi. La bambina si fermò davanti alla strega e le sorrise, facendole un gesto con la mano. Stupida! Pino, Ughetto, e gli altri si guardarono l’un con l’altro, incerti sul da farsi. Anche Giovanni era titubante. Bisognava salvare Giovanna! Avrebbero dovuto avvertirla, gridarle di scappare, ma nessuno di loro ebbe il coraggio di muoversi o di parlare.

Videro con terrore le lunghe dita adunche della Donnina Nera sporgersi verso il volto della bambina, che continuava a sorridere amichevolmente. Le mani nere della vecchia carezzarono il volto della bambina, poi si spostarono in giù, carezzando il collo, le spalle, poi lungo tutto il corpo. Che contrasto, tra le dita ossute e senza vita della vecchia e la carne paffutella e rosea della bambina dal vestito rosso!

La Donnina Nera rimase a lungo così, carezzandola e ansimando. A un certo punto la bambina si stancò e fece per andarsene. La Donnina Nera disse qualcosa per fermarla e Giovanna si fermò e tornò indietro. La vecchia le dette una delle sue mele, la piccola la prese, ringraziò con un inchino, le sorrise di nuovo e corse via. Giovanni e gli altri tirarono un respiro di sollievo. La Donnina Nera era rimasta immobile a guardare la bambina con il vestito rosso che correva via. I suoi occhi erano umidi, e sul suo volto incartapecorito si diffondeva un miscuglio di gioia e d’infinita tristezza.