Intervista a Fabio Bucciarelli, vincitore della Decima edizione del Premio fotografico Amilcare G. Ponchielli, istituito dal G.R.I.N. (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale) .
Dopo la proiezione dei 15 finalisti, il 19 giugno scorso, la giuria del Premio Amilcare G. Ponchielli 2013, formata da Mario Calabresi, direttore di La Stampa e presidente della giuria, da Giovanni Gastel, fotografo, da Moreno Gentili, concept designer, da Maurizio Zanuso della Galleria BelVedere, da Mariuccia Stiffoni, e da tre photo editors del G.R.I.N., ha annunciato, al Circolo della Stampa di Milano, Fabio Bucciarelli con Battle to Death, vincitore del Premio Ponchielli 2013, Alvaro Deprit con Suspension, l'autore segnalato e Leggere le fotografie. In dodici lezioni di Gabriele Basilico, ed. Abitare, Rizzoli Libri Spa, Milano 2012, il libro fotografico considerato il migliore tra quanti pubblicati nel 2011 e nel 2012.
Nel settembre del 2012 Fabio Bucciarelli, torinese, 33 anni, fotoreporter italiano, autore di tante storie fotografiche, dalla guerra libica ai conflitti in Africa, ai lavori in Medio Oriente sulla Primavera Araba, comincia a documentare la guerra civile siriana e i suoi reportage da Aleppo vincono premi molto ambiti tra i quali il Robert Capa gold medal, il secondo premio del World Press Photo e il premio Amilcare G.Ponchielli, dedicato al primo photo editor italiano.
Mariateresa Cerretelli: Da una laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni a Torino al mestiere di fotoreporter di conflitti e diritti civili. Come sei arrivato a questa svolta?
Fabio Bucciarelli: Ho coltivato la fotografia amatoriale e, dopo l'impegno al Master dei Talenti per la Fondazione CRT, sono partito per fotografare in Iran e in Turchia. La mia collaborazione con l'agenzia di stampa LaPresse/Ap è stata una vera palestra professionale per imparare il mestiere sul campo e con loro ho realizzato diversi servizi come il terremoto in Abruzzo e la cronaca dei G8. Da lì ho imparato la tempistica, le esigenze e le regole dei giornali e delle riviste internazionali.
MC: Sei uno dei pochi fotoreporter italiani inviati dai giornali nei teatri di guerra. Come sei riuscito in questa impresa?
FB: Tutto nasce dalla collaborazione con Il Fatto Quotidiano dopo la mia decisione di diventare freelance. Ho chiesto di andare in Libia e ci sono stato con Stefano Citati. Una splendida opportunità di confronto alla quale sono seguite altre collaborazioni con diversi giornalisti e fotoreporter. Ho lavorato con Domenico Quirico di La Stampa in Mali. Ho imparato a sentire e ad approfondire il mio modus operandi. Quando il tuo lavoro piace, poi le collaborazioni con i giornali crescono.
MC: Quando ti trovi nel bel mezzo delle rivolte o degli spari ti senti un giocatore d'azzardo come Robert Capa?
FB: Quello che senti è la paura. Sempre. La paura ti aiuta ad essere lucido e, se sei freelance, devi essere maggiormente lucido. Hai già in mente le cose che possono interessare i media e sai già dove andare. Ti consulti con i direttori in Italia e all'estero e con i colleghi giornalisti. Ci si muove spesso insieme ad altri fotoreporter con i quali c'è un continuo scambio di informazioni, di suggerimenti e di consigli. È la caratteristica della nuova generazione di reporter freelance che agisce in modo diverso rispetto ai mostri sacri di un tempo.
MC: Con i lavori su Aleppo ti sei aggiudicato i più noti premi internazionali, dal Robert Capa al secondo premio del World Press Photo. Te li aspettavi? Che ruolo gioca una fotografia d'impatto come la tua sui media internazionali?
FB: Non penso mai ai premi, penso solo a documentare le situazioni in cui mi trovo. Come ha detto Robert Capa “Come fotografo di guerra spero di rimanere disoccupato per il resto della mia vita”. Non speravo nel World Press e il Robert Capa gold medal è stato un sogno che si è realizzato ma personalmente non cambia nulla.
MC: Hai ricevuto a Milano anche il Premio Amilcare G. Ponchielli, promosso dai photo editors delle maggiori testate italiane. Con la motivazione "Fabio Bucciarelli riesce con straordinaria maestria a comporre immagini nella quali la potenza del messaggio si sposa con l'abilità compositiva dell'organizzazione dei volumi e la superba qualità cromatica" Mario Calabresi, Direttore di La Stampa e Presidente della giuria del Premio Ponchielli 2013, ha annunciato il tuo progetto Battle to death, vincitore della decima edizione del Ponchielli promosso dal G.R.I.N. Ti trovi d'accordo con questa motivazione?
FB: Sono molto lusingato. Lo scopo era esprimere la situazione e farla arrivare allo spettatore, raggiungere l'empatia con i soggetti fotografati e costruire con il mondo circostante il racconto di quella realtà. È la prima volta che ricevo un riconoscimento italiano ed essendo italiano ci tengo molto. A Istanbul ho ricominciato a lavorare con quotidiani e periodici italiani e sono soddisfatto quando le mie foto escono sia in Italia che all'estero.
MC: Quali sono i tuoi programmi per i prossimi mesi?
FB: Sarò a Istanbul per un workshop e a fine agosto al Festival di fotogiornalismo di Perpignan in Francia. Spero presto di andare a Damasco. Mi piacerebbe andare in Honduras e seguire la realtà di quel paese.