Un classico che ancora oggi espone elementi “rivoluzionari”: suona e si mostra così A Single Man (1978), dodicesimo album di inediti di Elton John prossimo al quarantesimo anniversario (il 16 ottobre).
Riposti i timori dell’annunciato ritiro dalle scene, i fan devono però gestire lo shock per la rottura del sodalizio con Bernie Taupin, il paroliere che aveva firmato insieme al musicista tutta la precedente produzione (persino il 45 giri Ego/Flinstone Boy di pochi mesi prima). A occuparsi da cima a fondo dei testi è Gary Osborne, songwriter che l’artista aveva già visto al lavoro con la cantante Kiki Dee, il quale scriverà direttamente sulle melodie (ulteriore differenza rispetto al passato). Un altro storico collaboratore a non comparire tra i crediti è il produttore Gus Dudgeon, mentre per il momento non manca all’appello negli arrangiamenti il nome di Paul Buckmaster (uscirà di scena poco dopo).
Mettendo dunque insieme il titolo, l’immagine di copertina più sobria, con un look senza occhiali stravaganti ed eccessi glam, e il cambio della squadra di collaboratori, non si sapeva bene cosa aspettarsi dalle undici canzoni del nuovo disco: sembrava il manifesto di una svolta radicale. Quello comunque che arriva al cuore e alle orecchie durante l’ascolto è un Elton John in stato di grazia, sia a livello compositivo che di interprete, e che non ha alcuna difficoltà a sentire proprie le liriche di Osborne. Anche i timbri di synth e gli accenni di disco music che qua e là fanno capolino nelle sonorità si collocano principalmente a livello di “colore”, senza intaccare la sostanza e la riconoscibilità della firma: c’è curiosità verso il presente, c’è sperimentazione, ma non si perde la rotta di un linguaggio e di una personalità che hanno dominato il decennio, riportando in auge il pianoforte nel rock.
Non mancano poi le atmosfere “classiche”, intense, eleganti, con una maturità tale da renderle già in partenza degli “standard” dell’alta letteratura pop: anzi è in questo LP che per certi versi verranno “codificate” delle peculiarità di scrittura e di espressione che diventeranno quasi dei “simboli” della fase successiva della carriera. John non “cambia la musica”, non nei suoi valori distintivi, quanto piuttosto cerca (e trova) in essa la forza del cambiamento: servivano delle “distanze” (dal team, dai metodi di lavoro) che fungessero da rincorsa per un nuovo slancio che lo portasse lontano dai momenti bui delle dipendenze e della depressione vissuti nei recenti anni, una rinnovata grinta con cui presentarsi al pubblico travolto e “infatuato” dall’ondata punk.
Pur spaziando attraverso molteplici generi la scaletta non perde mai di coesione, fornendo una prova a tutto campo del talento del cantante-pianista. Da pezzi esplosivi e uptempo come Part-Time Love (il singolo di lancio), I Don’t Care e Madness si passa a ballad del calibro di Shine on Through (l’esemplare, toccante, apertura) e Shooting Star (contraddistinta da un’armonia “sospesa” e raffinata); dal jazzy mood (con big band sul finale) di Big Dipper e il soul blueseggiante di It Ain’t Gonna Be Easy (eccezionale prova vocale) alle irresistibili sonorità caraibiche di Return to Paradise, dal trascinante gospel di Georgia fino al capitolo a sé di Song for Guy: uno struggente strumentale (seppure sulla coda ci sia una frase fra il cantato e il parlato ripetuta tre volte, tenuta volutamente bassa nel mix) costruito su un ritmo di samba che contrappone il suono cristallino del piano ai moderni sintetizzatori, una composizione dedicata al 17enne Guy Burchett, fattorino dell’etichetta del musicista, la Rocket Records, morto in un incidente di moto. Uno dei pochi pezzi composti in toto dall’artista nonché un raro esempio di strumentale “pop” che ha scalato le classifiche mondiali. A tale capolavoro il compito di porre il sigillo sull’album.
Altra nota rilevante, A Single Man rappresenta il primo disco di Elton John pubblicato ufficialmente in Unione Sovietica: seguirà un tour che sarà il primo di un cantante occidentale nel Paese comunista. E anche l’assenza dai palchi è stata così colmata. Un lavoro che è una pietra miliare sotto tanti aspetti.