Nato ed educato in un mondo spiritualistico, come si reputava il fascismo agli albori del suo avvento, mi si insegnò sin dalla tenera età che non possa essere giusto che

l'uomo [sia] un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, […] governato da una legge naturale, che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L'uomo del fascismo è [invece] individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l'istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l'individuo, attraverso l'abnegazione di sé, il sacrifizio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell'esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo [1].

Ma giornalmente, per me, quella filosofia di vita si scontrava con quanto vedevo intorno, crescendo anno dopo anno. Era vicino di casa il vecchio che portava infilato al foro del lobo auricolare sinistro un piccolo lucchetto in rame e un lliccasapuni [2] tatuato sul dorso dell’avambraccio destro perché, mi sussurravano, era stato all’isola: seppi poi da giovane che con quel termine si indicava, secondo Cesare Lombroso, un pregiudizio positivista per cui “si tatua soltanto il criminale o il deviato mentale”. Divenuto adulto e professionista, davvero mai mi capitò di vedere tatuaggi tranne su riviste: una piccola croce di Malta, esibita sull’avambraccio da re Edoardo VII o un finto braccialetto sul polso della madre di Churchill. Sono cresciuto in quel mondo che si portò dietro le angosce post-belliche della prima guerra mondiale che condussero alla seconda, con le fughe nei ricoveri; con la violenza alla gioventù strappata alle case con conseguente uscita dalle pareti domestiche delle donne, costrette a prendere in mano le attività abbandonate dai ‘chiamati alle armi’; con i ruderi lasciati da cinque anni di follia bellica; con quello sconvolgimento epocale che è stato, nella mia giovane età, il secondo periodo post bellico, tramandato come miracolo economico ma che fu in realtà la nascita di una “repubblica” chiacchierata, l’avvento al potere di una classe politica altrettanto discussa e una migrazione interna che spopolò tutti i piccoli comuni di quello che era stato il Regno delle Due Sicilie.

Fu un periodo folle per l’intero mondo occidentale se, solo venti anni dopo la cosiddetta pace, esplose il fenomeno del Sessantotto con la sua filosofia del vivere contro. Quel nuovo modo di “vivere la gioventù” fu scheggiato, come su marmo, da Piero Chiara:

Mi domando: io vivo contro? E mi accorgo che da sempre vivo contro. Non ho mai trovato nulla che mi andasse bene del tutto nel mondo. Tutto ciò che era 'già fatto’, a cominciare dagli abiti, dalle scarpe e dai cappelli, non mi è mai andato bene, se non con disagio e qualche volta con dolore. Non mi andava bene la scuola, tanto che fui ripetente in terza elementare e in seconda ginnasio, non tanto per la poca voglia di studiare, quanto per il sistema che mi escludeva naturalmente, come un oggetto estraneo e inassimilabile. Non m'andarono bene i collegi di preti dove passai quattro anni. Altri ci vivevano allegramente, amati dai superiori, simpatici a tutti.[…] Non coi giovani e con le loro idee, vecchie come il mondo, non con gli uomini della politica e coi riformatori che oramai costituiscono una equivoca falange. […] Non concordo con gli architetti, coi pittori e coi poeti ultimi, che cercano nella spazzatura esistenziale e tra i frammenti del realismo, il nuovo verbo. In sostanza, con nulla. […] Chi può non opporsi al 'sistema attuale'? Chi si sente di accettare la vita politica. economica, artistica, intellettuale di oggi? [3]

Così dalla contestazione si scivolò nel vivere contro, nato nella North Beach di San Francisco come ritorno al Principio rinnegante i vecchi valori fondamentali e … verso la droga (ma questa esula dal tema). Tuttavia la massa non era approdata ancora alla frenesia del tatuaggio: le illustrazioni delle comunità hippy degli anni Settanta infatti mostrano la loro pelle ‘vergine’ come donata da madre natura.

Il tatuaggio non è davvero un fenomeno nuovo; scrive Morra:
Il tatuaggio è l’uomo. Che dai primordi della storia sino a oggi si è sempre tatuato, in tutti i continenti e le civiltà. Ne abbiamo trovato in mummie di antichissime civiltà (Egitto, Siberia) e la stessa parola ci viene dalle antiche culture della Polinesia (tatau.) […] Fra Ottocento e Novecento divenne testimonianza di potenza familiare e professionale: Winston Churchill aveva un’áncora disegnata sull’avambraccio e Franklin Delano Roosevelt portava inciso sul petto l’emblema araldico della sua famiglia. […] Ma nessuna epoca aveva assistito a una sua diffusione massiccia e in continuo aumento come la nostra, a partire dalla seconda metà del Novecento, quando i miti vetusti ed efficientisti del moderno cedono a quelli immaginifici e ludici del postmoderno. Cioè a partire da quel ritorno al pensiero selvaggio e al dionisiaco, che esplose con la contestazione culturale in occidente negli anni Sessanta [4].

L’uomo tuttavia non può vivere senza un’identità; scrive Angelini:

La mia ipotesi è che, in assenza di un utero sociale capace di condurli lungo il cammino della rinascita in quanto adulti e di un “corpo” di sacerdoti autoconsapevoli di svolgere funzioni sacerdotali legate al passaggio, i giovani d’oggi tendono a costruirsi da sé percorsi che dal lunghissimo stato di liminarità [5] li conducano verso l’età adulta. Percorsi che richiedono, come sempre, operazioni sul proprio corpo che cambia. Un neo-corpo che va marcato attraverso il piercing e il tatuaggio, poiché l’adolescente sente intuitivamente che deve sottoporsi a tutte le prove “morali, intellettuali e fisiche” (diceva la Calame Griaule [6]) capaci di attestarne le nuove potenzialità [7].

Per molti giovani il tatuaggio può trasformarsi in una sorta di rito, un rito di passaggio: il dolore provocato dal tatuaggio in zone particolarmente delicate e sensibili viene considerato dal giovane simbolo di coraggio; un modo cioè per sentirsi accettati dal proprio gruppo di coetanei e sentirsi meno soli: spiegherei così il fenomeno del tatuarsi. Il rito infatti è l'effetto di una causa che ha origine lontana; iniziò con l'homo sapiens, con il concetto stesso di preservazione dalla malattia: l'uomo primitivo, sentendosi immerso nella natura, si sentì soggetto a potenze invisibili dalle quali derivavano o la vita e la prosperità o la morte. Da qui ne scaturiva l'atteggiamento propiziatorio nei confronti di tali forze, al fine di assicurarsene la benevolenza [8].

Nei “fenomeni moderni”: contestazione, vivere contro, comunità hippy, droga (!), tatuaggio, propiziazione, si insinuano però spesso ‘falsi profeti’ di un futuro non accettabile; ricordo, magistrale sul tema, il brano del Vangelo secondo Matteo:

Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e ne sedurranno molti. Or voi udirete parlar di guerre e di rumori di guerre … ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo non sarà che il principio di dolori [9].

Ho fin qui parlato delle tante sfaccettature del mutamento apportato al nostro tempo dai fenomeni moderni ma, infine, il tatuaggio va, giustamente, visto pure come invenzione, prodotto di fantasia. Ecco perché voglio chiudere con alcune considerazioni sul tatuaggio come arte, tramandate da Federico Zeri [10]:

Oggi la pratica del tatuaggio sta prendendo l’aspetto di una vera e propria arte corporea, una sorta di body art di genere caldo, e non soltanto negli Stati Uniti. I suoi autori sono degli autentici virtuosi, come Lyle Tuttle, Beverly Lazonga (che opera nell’Oregon) o come Doc Forest, attivo in Svezia. Spesso i loro nomi d’arte assumono sensi ermetici, simbolici, esoterici: così Spider Webb (Ragnatela), Original Sin (Peccato Originale), The Brooklyn Baron, o The Shadow (L’Ombra), operoso a Springfield nel Missouri. Spider Webb è anche orefice, autore di elaborati gioielli composti, ad esempio, di argento e ossa umane, come una collana in cui due costole sorreggono una composizione di rubini e turchesi; ma quel che di occulto è già implicito nei nomi è ripreso dai disegni dei tatuaggi, che alludono assai spesso a motivi dell’Oriente misterioso e ai suoi simboli per iniziati. Tutto, insomma, concorre a respingere, anche nel campo di questa curiosa body art, chi non è del gruppo, a respingere cioè sia sotto l’aspetto psicologico che culturale.
C’è poi il dato sessuale, che in tale campo non è indifferente. Tutte le parti del corpo (meno i capelli e le unghie) possono essere tatuate, e c’è chi ricorre all’ago sottocutaneo per accrescere le attrattive del proprio fisico. E qui si entra in un campo i cui risultati sono persino incredibili per chi non li abbia visti di persona. La firma di Picasso esibita subito sopra un pube femminile è un caso tra i più pacati; perché altrove c’è la diavolessa-strega, armata di falce e di serpente, che esce scattante dall’apertura delle natiche, c’è il crisantemo che infila il suo stelo nella fessura vaginale, ci sono tatuaggi tra i più complicati (densi di simbolismi erotici) che coprono il corpo intero, così da apparire come calzemaglie, o deliranti costumi per balletti da incubo.

«L’oggi di Zeri – nota sul tema Eleonora Vicario [11] - è un “oggi” di oltre 30 anni addietro. Negli ultimi anni il tatuaggio non è né arte né rito ma ‘appartenenza’, è ‘essere al passo con i tempi’. Il concetto di ‘opera artistica’ o di ‘rito di passaggio’ andava bene fino a 5 o 6 anni fa. Oggi anche gli adulti si tatuano come la maggior parte dei ragazzi. Purtroppo lo fanno non tanto per esaltare la creatività o per dimostrare il loro coraggio ma piuttosto per un principio di ‘omogeneizzazione’».

Note
[1] Giovanni Gentile, La dottrina del fascismo, 1932.
[2] Lliccasapuni è un coltellaccio, a volte un pugnale.
[3] Piero Chiara, Se non ci salverà l’indifferenza, “Skema”, a. III, n. 1, gennaio 1971, p. 5.
[4] Gianfranco Morra, Psicopatologia dei tatuati, “Italia oggi”, 20 agosto 2016 (da Internet).
[5] Liminarità – Il termine esatto è “liminalità”: in psicologia e fisiologia, di fatto o fenomeno che è al livello della soglia della coscienza e della percezione.
[6] Geneviève Calame-Griaule (Parigi, 19 novembre 1924- Fontainebleau il 23 agosto 2013) è stata una etnologa francese celebre per i suoi studi sui Dogons, una popolazione del Mali.
[7] Leonardo (Dino) Angelini, I Peter Pan della globalizzazione: dall’adolescenza all’età adulta oggi, nell’epoca del precariato. Riti individuali di passaggio, 23 febbraio 2014 (da internet).
[8] Salvatore G. Vicario, Un paese in montagna, Zuccarello ed., Sant’Agata Militello 2002, p. 149, 32n. [9] Matteo 24:3–8.
[10] Federico Zeri, Che gioia, mi sento l’arte a fior di pelle., Si tatuavano re e potenti. Ma per anticonformismo. Oggi il tatuaggio è una nuova arte del corpo. Un’arte molto erotica, “Europeo”, 19 ottobre 1981, pp. 104-106; Id., Mai di traverso, Longanesi ed., Milano 1982, pp. 220-222.
[11] Area Arti Visive dell’Associazione Culturale Arcipelago.