Il tempo della poesia è il tempo della speranza.
Il poeta vede quello che il filosofo pensa.
Ogni difesa della poesia è una difesa della follia.
Scrivo per irritare Dio e per far ridere la Morte. Scrivo perché non ci arrivo. Scrivo perché voglio che ogni donna del mondo s’innamori di me. Ma alla fine tutto si riduce al fatto che scrivo perché scrivo.
(Charles Simić, Il Mostro Ama il suo Labirinto)
La poesia, le parole prendono forma nel lavoro dell’artista torinese Opiemme. Nato come street artist i suoi interventi hanno mirato da sempre a svecchiare la comunicazione e a far avvicinare il mondo poetico al quotidiano; basta ricordare le panchine poetiche ricoperte di parole o le fermate dell’autobus.
La mostra curata da Antonio Storelli negli spazi di Elastico Studio nel cuore di Bologna ci offre un nocciolo privato del lavoro dell’artista, come entrare nel cuore del suo modus operandi. Tele con dripping con le parole liriche di Yeats, Pascoli e Ungaretti, stampe digitali e stencil, una coralità di supporti e tecniche volte a evidenziare le differenti modalità d’espressione dell’artista. L’intervento site specific che occupa le tre pareti della stanza di Elastico Studio è una splendida installazione di parole, di versi, di concetti in libertà che corrono nel campo di grano arioso della nostra mente. Le parole ci colpiscono e rivivono negli occhi dell’osservatore. Quotidiani, scotch, parole intagliate e colorate, un collage di titoli di politica nazionale dell’ultimo mese, e sopra un tratto distintivo rosso-fucsia, bla bla bla.
Parole, parole, parole, le promesse dei politici, la corruzione, la cronaca. Uccelli ricamati di c come cielo, un becco che sembra una chiave d’accesso a qualche porta celeste, e poi una tempesta, un mare di parole, un naufragio di: mare, bianco, isola, acqua, occhi, pensa, oscura, vela, barca. E poi si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, ecco la celebre frase ungarettiana srotolarsi su colore gocciolante, andando a formare appunto esili rami liberi.
Una cascata di lettere compongono il profilo oscuro di un volatile su un albero, la notte ha inglobato il tutto, e le v, t, r, c, h diventano una cascata di brividi tattili. E poi coltelli di parole, fucsia, dagli echi pop warholiani, il colore si dissolve per far posto a lembi di parole, parole, e ancora parole. I muri vestiti per il site specific rimbombano come suoni sordi, spari nella coscienza, il noumeno diventa fenomeno, la parola vanitosa si veste di spessore bidimensionale e acquista forma nello spazio, si fa bella, si trucca di colore per risplendere nell’attenzione di chi osserva, la parola poetica non si fa Giuditta nei confronti dei miscredenti del linguaggio, per tutti quelli che non capiscono che le parole sono un tesoro prezioso che il linguaggio dev’essere custodito e curato come un giardino segreto, e poi liberato per farlo volare in alto, là tra i pensieri che costellano il cielo, aggrappati alle stelle.
L’esperienza è più della teoria, the party is over, Welcome to Italy dove non c’è lavoro, razzismo bianco lavoro nero, pagine di storia politica con la scritta censored, mi illumino di niente, essere non avere radici, sognare, con la cultura non si mangia senza cultura si banchetta, rise up, peace; e poi fulcro dell’installazione site specific il contributo del poeta bolognese del Novecento Gaetano Arcangeli, una spirale di parole che recita così: Tutto in me cura vorticosamente scatole e mente.
Parole di carta quindi, una dicotomia di forze, la potenza della parole e la fragilità della carta si incontrano per dare vita a concetti, pensieri poetici, perché la poesia ci deve risvegliare l’anima e le parole devono vestirci di nuove idee e riflessioni, devono ornare il nostro pensiero e il linguaggio deve prenderci per mano, rassicurandoci.
Le parole di Opiemme sono tutte le strade del mondo, sono sentieri dai voli pindarici, sono crucivie di lettere, sono libri poetici tappezzanti il cielo, paracaduti aperti in caduta libera, ispirazioni ricamate nell’ovunque.