La felicidad es interior,
no exterior.
Por lo tanto, no depende de lo que tenemos, si no de lo que somos.(Pablo Neruda)
Al di là di tutte le considerazioni tecniche, chi va in psicoterapia lo fa perché vuole essere felice. Ciò avviene anche quando la motivazione è riferita a tutt’altro: problemi di lavoro, contrasti relazionali, vita di coppia, sintomi fisici di varia natura, traumi recenti o passati, stile di vita inadatto ai propri desideri, insoddisfazione, noia, incapacità di prendere decisioni, dipendenze affettive, dipendenze da sostanze, senso di inadeguatezza, difficoltà di capire che cosa si vuole, difficoltà di capire chi si è.
Alla fine, in buona sostanza, dietro tutte queste problematiche, pur importanti, legittime, consapevoli, si cela sempre un tarlo: io non sono felice, io vorrei altro, io non riesco ad avere quello che voglio. Nella pratica clinica, ho rilevato che quasi sempre avvengono due fenomeni:
1. Il posticipare la felicità: non sono felice ora, vorrei che le cose andassero diversamente, butto in avanti il mio desiderio, ipotizzando, desiderando, ricercando, aspettando un tempo futuro in cui la felicità arriverà.
2. L’esternalizzare la felicità: il raggiungimento dell’obiettivo di diventare felici è vincolato a fattori esterni, che possono essere anche molto diversi tra loro, i più disparati, ma comunque sempre “altro da sé”.
Eppure tanto si è detto del fatto che “i soldi non danno la felicità”. La citazione di Pablo Neruda, “La felicidad es interior, no exterior”, esprime al meglio un concetto centrale nella psicoterapia: fondamentale è una sorta di ri-orientamento, di dirottamento dell’attenzione dall’esterno all’interiorità della persona.
È obbligo etico e morale dello psicoterapeuta ristabilire, per e con il paziente, gli obiettivi, stimolando attivamente un dirottamento dell’attenzione, un capovolgimento della visione fuorviante che si nasconde dietro la domanda di cura.
Questo lavoro di focalizzazione sull’obiettivo, di centratura del reale significato della domanda, di ri-orientamento sulla situazione presente anziché futura e sull’interno anziché sull’esterno è fondamentale che venga attuato all’inizio, già al primo colloquio.
In fase di analisi della domanda, infatti, il soggetto è maggiormente reattivo e sensibile a uno stimolo sulla sua stessa domanda, perché quello è il momento in cui, spesso dopo lunghe elaborazioni e ripensamenti, il paziente si è deciso a chiedere. Il momento della richiesta è proprio quello in cui si è più sensibili a capire se la propria domanda è centrata oppure è distorta.
Occorre sottolineare che l’analisi della domanda comporta, per il terapeuta, una fatica aggiuntiva. Ben più semplice sarebbe accettare la domanda che viene portata, accoglierla di buon grado, impostare un lavoro terapeutico incentrato proprio su quella domanda. Tuttavia, se il desiderio di felicità del paziente è centrato sul futuro e sull’esterno, accettare questa domanda non sarebbe onesto. Non sarebbe onesto pensare che una psicoterapia possa portare un paziente a raggiungere una felicità futura centrata su elementi esterni: potrebbe infatti accadere qualsiasi cosa nel futuro e all’esterno, qualsiasi cosa che sfugga al controllo e alla gestione terapeutica o soggettiva.
E anche al di là della psicoterapia, una simile modalità si rivelerebbe troppo rischiosa: davvero siamo disposti a ipotecare il proprio futuro su variabili esterne, quali possono essere la ricchezza, la maternità, il successo, la bellezza, la notorietà? E se poi tutte queste cose non dovessero arrivare? Ma soprattutto: e se poi magari arrivassero anche tutte, per poi scoprire, con somma delusione, che dentro si è esattamente come prima, con l’amaro in bocca?