In un grigio pomeriggio milanese mi stavo immergendo nel pensiero multicolore di Winnicott, intrigante psicoanalista dell'area inglese, incuriosita, in particolare, da una sua domanda apparentemente banale e semplice rivolta agli adolescenti “come vorresti essere da grande?”. Domanda che in realtà tanto banale non è perché il “come” riguarda il senso di identità e costringe a percorrere un viaggio a ritroso fino alle origini del desiderio, dell’idealità, a contatto col vero Sé.
Da quella situazione originaria, di strada ne deve fare la mente per essere in grado di pensare i pensieri, un complesso cammino quindi quello della crescita mentale, un cammino che mette a dura prova, percorso non privo di difficoltà tanto che Ogden, altro noto psicoanalista, sottolinea addirittura come una sorta di “violenza” sia insita nel processo del diventare grandi, dove si è costretti ad incontrare la realtà con cui fare i patti e a fare rinunce anche dolorose. E questo percorso maturativo interessa ogni essere vivente, pianta o animale, che non può esimersi dall’attraversare tutte le fasi di sviluppo pena la distorsione o l'impossibilità appunto di realizzare la sua trasformazione evolutiva.
Affascinata e persa nei meandri del percorso del pensiero che tocca qualsiasi essere vivente, ad un certo punto, inaspettatamente e spontaneamente, la mia mente ha fatto un balzo staccandosi dalle teorie sulla mente per approdare a Bubo, il mio amatissimo barboncino “ramato” e si è adagiata sul ricordo di lui, sul suo percorso di crescita. Da piccolissimo era un cucciolo molto esuberante, oserei dire con comportamenti spesso sopra le righe, forse un po’ ribelle e testardo, certo faceva fatica a non soddisfare i suoi bisogni selvatici, erano irrinunciabili e col suo musetto caparbio mi guardava con sfida e non ascoltava ragione; ingaggiavamo lotte all’ultimo sangue, finché esasperata lo mettevo agli “arresti domiciliari” (chiuso in camera)… per tirare il fiato. La pativa molto questa punizione, e, sorprendentemente, ho scoperto che il vero motivo del suo dispiacere era rimanere solo, lontano da me.
Mi capitava anche di pensare che forse era stato staccato dalla sua mamma prima del tempo e probabilmente aveva risentito di questa separazione traumatica, era spaventato e arrabbiato, oltre tutto non aveva avuto la possibilità di essere educato da lei a tollerare le frustrazioni. Bubo era una scheggia energetica bellissima ma, dal mio punto di vista, potenzialmente pericolosa, sta di fatto che avevo paura di lui anche se era un batuffolino, io lo vivevo come un batuffolino esplosivo, pronto a farmi fuori con i suoi dentini da squalo sempre predisposti ad azzannare.
Molto probabilmente funzionavo come una madre impreparata e spaventata dalle esigenze del proprio bambino vissute come vampiresche. Ricordo una donna che mi aveva parlato dell'angoscia nell'allattare la sua bambina, perché non riusciva a tollerarne lo sguardo che sembrava penetrarla con avidità per intrudere nelle sue viscere e risucchiarla fino al midollo.
Mi fa tanta tenerezza ora pensare a Bubo, all’impresa del dover cambiare, a quanta violenza implicita nel processo della crescita ha dovuto tollerare, mi commuovo pensando alla sua vitalità prorompente, sregolata, a volte impudente, che ha dovuto modulare, alla sua natura primitiva che ha dovuto mortificare e ad una impulsività imperiosa a cui ha dovuto rinunciare, davvero è stato un percorso non facile per il mio Bubino doversi adattarsi alle regole degli umani.
Spesso chi assisteva alle sue performances da impunito, scuoteva la testa e consigliava l’intervento di un educatore, ma io mi sono sempre rifiutata, anzi provavo irritazione per questa sfiducia, non mi è mai mancata la pazienza né la speranza di cavarcela da soli, noi due, io e il mio satanello … e infatti, insieme, a lungo andare ce l'abbiamo fatta, ci siamo addomesticati a vicenda, abbiamo imparato a sintonizzarci, a creare e condividere un nostro linguaggio fatto di odori, di suoni, di gesti, a fare i primi passi di danza, dal minuetto ai balli più sfrenati, dapprima incespicando un po’ fino ad arrivare a volteggiare leggeri e felici, costruendo un legame sempre più forte, di profonda intesa, di un bene infinito.
Mi colpisce quanto quello che è avvenuto tra me e Bubo sia simile al percorso di addomesticamento dei pensieri selvatici di ogni essere umano che necessita del rapporto con un'altra mente per poter crescere, ha bisogno di sentirsi in relazione con una figura di riferimento affidabile prima di poter imparare a pensare autonomamente e a stare nelle regole del vivere.
Mi affascina questo pensiero che sovrappone cuccioli pelosi e umani nella loro storia evolutiva e allora, incuriosita, ho pensato di parlarne con l'amica Anna Picciolini, veterinaria con specializzazione in comportamento animale.
La prima cosa che le chiedo è proprio in sintonia con la famosa domanda di Winnicott “come vuoi essere da grande?” Le chiedo infatti di raccontare la storia della sua “vocazione”, come mai ha voluto prendersi cura degli animali? e non solo del funzionamento del loro corpo…
Fin da piccola, da quando ho ricordo, ho subito il fascino degli animali. In particolare di quelli con cui avevo a che fare spesso, ovvero cani, gatti e cavalli durante le mie giornate di equitazione. Ero una bambina timida e per questo poco loquace. Sentivo di poter comunicare con loro senza dover parlare e questo mi metteva a mio agio, sentivo un’affinità. Era proprio questa loro capacità di comunicare in maniera non verbale che mi attirava, mi faceva sentire accolta e non giudicata perché un pochino mi sentivo come loro. La loro comunicazione mi affascinava, potevo stare ad osservarli anche da una finestra per molto tempo senza annoiarmi. È per questo mio interesse in particolar modo nei confronti del comportamento animale che ho deciso di intraprendere gli studi di medicina veterinaria con l’idea di specializzarmi in comportamento fin da subito. Ho fatto questa scelta quando ero una bambina che fantasticava di capirli ed essere capita da loro come attraverso un legame magico che non era fatto di parole, ma di toni, sguardi e gesti.
Vuoi parlare del master in etologia clinica? Oltre all’interesse intrinseco per l’argomento, c’è stato anche un riverbero emotivo in te vivendo questa esperienza?
Il master in etologia clinica che ho intrapreso dopo la laurea, per me è stata la parte più interessante di tutto il percorso da veterinaria. La mia formazione mi ha confermato in buona parte quello che da piccola intuivo. La comunicazione animale avviene proprio attraverso sguardi, toni, gesti, espressioni, posizioni, feromoni e odori anche se questi ultimi per noi sono più difficili da cogliere. L’incontro con questo sapere ha avuto un riscontro emotivo in me molto profondo, è stato come incontrare una parte di me di cui avevo una conoscenza velata che, in questa circostanza, si è rivelata più chiaramente.
Studiando il comportamento degli animali, hai sentito un sommovimento emotivo così profondo, che è inevitabile pensare che anche i nostri amati “pelosi” sono attraversati da affetti intensi tanto da poterne essere così “contagiata”…
Certamente, gli animali hanno una mente emotiva, chiunque ha la fortuna di avere a che fare con loro e si ferma ad osservarli, lo sa. Come spesso si dice sembra che a loro manchi solo la parola. Gli animali sono capaci di acquisire informazioni ed elaborarle. Sulla mente degli animali sappiamo ancora poco, ma sappiamo che sono animali senzienti, ricchi di pensieri ed emozioni che esprimono attraverso una comunicazione fine che a volte sfugge alle nostra capacità di interpretazione in quanto il nostro modo di comunicare è basato in gran parte su un linguaggio di tipo verbale. Spesso c’è una confusione nell’interpretazione del loro linguaggio in quanto abbiamo una tendenza ad antropomorfizzare i loro segnali a causa della non conoscenza del loro modo di comunicare, modalità che è specie-specifica. Oggi che sono anche mamma vedo molti aspetti in comune fra bimbo e animale. Il cucciolo umano proprio come i cani e i gatti è fatto di istinto, di emozioni e pensieri che comunica con successo senza bisogno di un linguaggio verbale.
Sì, è vero; pensando all’intensità dello sguardo di Bubo, lo percepisco dentro di me così profondamente riverberante le sue sensazioni, che trovo non abbia confronto con lo sguardo umano per la sua forza comunicativa, per la colorazione affettiva, per le sfumature intenzionali. Lo sento talmente a contatto con se stesso e con l’altro in maniera così vera da essere commovente, e non solo, scopro anche la gestualità, l’uso dell’olfatto, insomma tutto un insieme relazionale ineffabile che sa creare legami così forti che creano turbamento forse perché costringono a contattare parti primitive, originarie, parti che abbiamo un po’ perso per strada. Mi viene proprio da ipotizzare che con l’acquisizione della parola, competenza umana per eccellenza, abbiamo smarrito una buona parte delle possibilità espressive dei “primati” funzionanti che saremmo stati. Bubo mi sta insegnando a riscoprire delle sensorialità con qualità comunicative, da me impensabili prima.
Per esempio annusiamo insieme il collare e il guinzaglio per riconoscerlo come familiare prima di usarlo e io lo rinforzo con la parola, dicendo “sì sì, è proprio il nostro” e dico “nostro” pensando che si tratta dell’odore di tutti e due, del corpo del Bubino e delle mie mani. E lui annusa compunto e serio e poi mi pone il collo fiducioso perché lo prepari per l’uscita. Sto riscoprendo, dunque, la funzione dell’odore come competenza relazionale che certamente era un sapere antico, ma dimenticato, quando, da neonata, percepivo, riconoscendola, l’odore di mamma, e che ora ritrovo, per esempio, la sera, prima di dormire quando annuso per localizzare dove si trova il mio cagnolino e, quando l’ho individuato, vicino, mi rassereno, involontariamente sorrido, sento la muscolatura che si rilascia, so che non sono sola e mi sento abbracciata dal suo odorino che mi piace tanto.
Anna, vuoi dire che mi stia “animalando”? Ma torniamo a discorsi tra umani, cosa ti ha colpito in particolare del percorso formativo sul comportamento degli animali?
Di ciò che ho appreso attraverso il master mi ha colpito in particolar modo come ci siano davvero aspetti in comune tra uomo e animali, in particolar modo i cani. Attraverso un esperimento fatto con mamme e bambini e con cani e proprietari, chiamato Strange Situation, con il fine di studiare i tipi di attaccamento tra madre e bambino, i risultati sono stati sotto molti aspetti simili. Mi ricordo allora che trovai straordinari questi risultati.
A questo proposito, sai che agli inizi della mia relazione con Bubo mi sentivo evidentemente così priva di strumenti che non riuscivo neanche a vederlo per come era, lo vedevo solo come problema, ovvio che il problema era mio, e non capivo se era bello o brutto, era come se non fosse identificabile, il mio occhio sembrava cercare solo difettosità, sono arrivata perfino a pensarlo handicappato sensoriale o addirittura sindromico. Era per liberarmene? Chissà! Per fortuna il “suo papà-vete” si è subito innamorato di lui e, a prima vista ha esclamato “come sei bello” e se lo sarebbe volentieri portato via, anche se una parte di me non lo avrebbe mai lasciato andare … comunque io ce ne ho messo del tempo per cambiare il mio sguardo, che adesso è diventato adorante. Davvero Anna colpisce come meccanismi di accettazione o di rifiuto siano sovrapponibili alle vicende umane e come possano condizionare gli stili di attaccamento e il percorso di sviluppo. Anche qui dinamiche di famiglia, si potrebbe dire…
Certo è che il cane di oggi è lontano e diverso dal lupo dal quale deriva anche se rimane un animale sociale con aspetti comuni al lupo, per cui il branco, che definirei famiglia, rimane di vitale importanza. Il cane si lega a noi e noi a lui/lei come fossimo davvero familiari. Come animale sociale la vicinanza e il coinvolgimento nel nucleo familiare è di vitale importanza per il benessere del cane.
Lo sento molto vero soprattutto se penso al legame che si è instaurato tra me e Bubo e lo trovo davvero sovrapponibile al rapporto di una madre col suo bambino. Mi chiedo anche se il rapporto tra il veterinario e gli animali che ha in cura, susciti risposte che ricordano il legame che si instaura tra un terapeuta e i suoi pazienti umani.
Io sicuramente provo coinvolgimenti diversi a seconda del paziente. Ci sono pazienti con cui empatizzo poco e altri che invece riesco a sentire di più e mi coinvolgono molto. Dipende anche dalla loro storia e da come si pongono nei confronti di persone sconosciute quali siamo noi veterinari. Da considerare che molti pazienti restano giusto il tempo di essere visitati e poi non li vedo più o comunque sporadicamente magari giusto una volta all'anno. Ci sono però pazienti che ti rimangono nel cuore perché li hai seguiti a lungo per qualche patologia più complessa o perché particolarmente socievoli e di alcuni ci si innamora e ci si lega molto. Resta il fatto che buona parte del mio lavoro, soprattutto quello comportamentale, ha a che fare con i proprietari perché è attraverso il racconto e le osservazioni dei proprietari che lavoro in buona parte. Immagino che sia un po' come quando i genitori raccontano al terapeuta del proprio bimbo. Il cane come il bimbo piccolo non è in grado di parlare e quindi mi affido al proprietario a cui affianco anche l'osservazione, ma il tempo a disposizione è sempre troppo poco per vedere messi in pratica tutti i vari comportamenti e per questo motivo, ho ritenuto utile proporre un questionario anamnestico che faccio compilare ai proprietari per avere un quadro generale. Molto utili sono anche i video che i proprietari mi inviano.
Non posso fare a meno di pensare alla consultazione in età evolutiva, dove il terapeuta oltre all’osservazione in diretta della relazione col bambino, raccoglie informazioni dai genitori e accoglie la loro domanda di aiuto. Di conseguenza mi incuriosisce anche sapere quali emozioni entrano in gioco nella relazione coi nostri “pelosi”
Per quanto riguarda le emozioni che entrano in gioco sicuramente i cani provano gioia, paura, ansia, arrivano anche ed essere fobici e provare veri e propri stati di panico. Soffrono anche di problemi di separazione proprio perché sono animali sociali per i quali la presenza della famiglia è di vitale importanza. Per quanto riguarda la separazione dalla madre e dai fratelli sicuramente risulta un cambiamento significativo per il cucciolo che può essere traumatico se non è sufficientemente pronto a staccarsi. Oggi non vengono più dati (così dovrebbe essere) in adozione cuccioli prima dei 2 mesi di età perché è ufficialmente riconosciuto come il rapporto con i conspecifici e con la madre sia essenziale per uno sviluppo corretto ed equilibrato del comportamento. I cuccioli separati precocemente sono maggiormente predisposti a sviluppare problemi comportamentali.
È commovente considerare quanta sofferenza devono patire se non si ha cura dei loro stati d’animo e come la disattenzione o la noncuranza possono causare difficoltà nello sviluppo armonico del cucciolo.
Si è tanto detto dell’importanza di rispettare i tempi della separazione dalla madre, ma la figura maschile che funzione ha nella relazione col piccolo? Per il cucciolo dell’uomo il padre è molto significativo…
La figura del padre viene considerata poco. Si parla molto dell'importanza del rapporto con i fratelli e con la madre, ma poco del ruolo del padre. Nel questionario fra le domande che rivolgo ai proprietari ce n'è una che chiede come siano i genitori del paziente per quanto riguarda il livello comportamentale. Spesso chi adotta un cucciolo in realtà sa poco niente dei genitori, anche se sarebbe un aspetto da considerare in quanto in parte il comportamento ha una base genetica che deriva da madre e padre.
E rispetto ai “genitori adottivi”? quale rapporto riescono a vivere con gli umani? Sentono la differenza tra un maschile e un femminile? O percepiscono di più lo stile di relazione di una determinata persona indipendentemente dal genere sessuale?
Sicuramente i cani distinguono le modalità relazionali e infatti si relazionano a loro volta in maniera differente all'interno di una famiglia composta da più persone. Si tratta di un mio parere, ma credo che distinguano le modalità di persone diverse, ma non necessariamente legando al sesso le differenze.
Un ringraziamento alla Dottoressa Anna Picciolini, per come ha raccontato la sua esperienza. È stato molto bello e toccante ripercorrere la sua storia di bambina e molto interessante e coinvolgente questo percorso con parole-emozioni per avvicinarci al percorso di vita dei quattro zampe. La sua narrazione sembra chiudere il cerchio rispetto al quesito iniziale di Winnicott da cui siamo partite “Come vorresti essere da grande?” e sembra essere la sua risposta “piena” a questa domanda, lo si percepisce dalla soavità delle sue parole che fluiscono libere con musicalità e leggerezza forse anche perché risentono “del legame magico che non era fatto di parole, ma di toni, di sguardi e gesti”. È bello scoprire linguaggi altri, anche perché ci riportano alla consapevolezza di non essere al centro del creato e ci aiutano ad avvicinarci alla verità dell’essere. Un affettuoso grazie a tutti i “bubini” del mondo, pelosi e non, che ci insegnano ad annusare la vita, riconoscendone il senso ultimo…