Il sistema contabile e la tecnica di rilevazione dei fatti amministrativi raggiunsero in Roma antica un elevato grado di sviluppo e perfezione, soprattutto in materia di organizzazione e valenza legale delle scritture e dei libri contabili che, a buon ragione, possono essere considerati i diretti ascendenti degli strumenti di Ragioneria ancora oggi in uso nella pratica professionale.
I registri contabili adottati nel settore commerciale si basavano essenzialmente su quattro libri principali. Innanzitutto, gli Adversaria, libro redatto quotidianamente, ritenuto privo di forza probatoria e corrispondente al memoriale dell’epoca medievale e all’attuale Registro di Prima Nota. Il termine, che possiamo tradurre genericamente come “diario, quaderno di appunti”, deriverebbe, secondo alcuni studiosi, dal verbo “advertere”, vale a dire “constatare”, “notare”, “scorgere” e, pertanto, gli “adversaria” costituivano le raccolte, l’insieme, la successione delle scritture dei fatti aziendali così come essi erano stati avvertiti, constatati, rilevati; secondo altri autori, invece, si dovrebbe fare riferimento alla particolarità di effettuare le registrazioni su entrambe le facciate dei fogli del libro, sia sul fronte che sul retro (la parte “adversa”), a differenza degli altri libri nei quali si usava scrivere su una sola facciata.
Le registrazioni contenute negli “adversaria”, relative ai rapporti di credito e di debito, venivano trascritte con cadenza mensile nel secondo libro fondamentale, il Codex accepti et expensi ovvero Libro delle entrate (“acceptum” = entrata, incasso, introito) e delle uscite (“expensum” = spesa, pagamento). L’annotazione nel “codex” delle scritture relative ai rapporti di credito e di debito perfezionava la costituzione del rapporto contrattuale e delle conseguenti obbligazioni delle parti: il libro aveva, pertanto, l’importante funzione giuridica di mezzo di prova in merito all’esistenza e opponibilità del contratto. Esso era, in definitiva, un libro di contratti a se stante, che non trova riscontro in alcun libro moderno.
Il terzo registro utilizzato nella contabilità romana era il Codex rationum ovvero Libro dei conti (da “ratio” = conto), dotato di valenza giuridica ai fini probatori, corrispondente agli attuali Libro Giornale e Libro Mastro. Infatti, nel libro venivano riportati, per ogni fatto amministrativo, la data, la descrizione e l’importo e, inoltre, ogni pagina costituiva un conto cosicché ciascun “codex” conteneva più “rationes” per ogni ramo di attività economica svolta: ritroviamo, pertanto, la “ratio pecoris” (conto del bestiame), la “ratio vinaria” (conto del vino), la “ratio olearia” (conto dell’olio), la “ratio argentaria” (conto del banchiere) e così via.
Il “codex” consentiva dunque, tramite i diversi conti particolari, di conoscere e controllare in modo analitico la consistenza e le variazioni dei vari elementi del patrimonio e aveva un contenuto molto ampio, dal momento che vi venivano registrate anche le entrate e le uscite che riflettevano i movimenti di denaro nonché gli impegni finanziari sia attivi sia passivi. Le entrate venivano segnate nella accepti pagina, vale a dire nella sezione sinistra (corrispondente al Dare), e le uscite nella expensi pagina, vale a dire nella sezione destra (corrispondente all’Avere): tale metodologia di annotazione contabile ha aperto il dibattito in merito all’esistenza della tecnica della partita doppia che, secondo alcuni studiosi, sarebbe stata già in uso nel sistema romano di tenuta della contabilità.
Infine, il quarto libro utilizzato era il Kalendarium, libro dei prestiti e degli interessi, il cui nome deriva dalle ricorrenze temporali delle scadenze di pagamento relative a prestiti e interessi che erano fissate, di norma, alle calende, cioè al primo giorno del mese. Tale registro aveva valenza giuridica in relazione all’esigibilità del credito, come risulta attestato anche dal fatto che venisse lasciato in eredità.
Le nostre conoscenze in materia di contabilità dell’antica Roma derivano, in mancanza di testi specifici, da alcuni papiri di carattere contabile, da opere giuridiche e da altre fonti, quali in particolare il De Agricoltura di Catone il Censore, il Rerum Rusticarum Libri di Marco Terenzio Varrone, il De Re Rustica di Lucio Giunio Moderato Columella. Tra le fonti più importanti ricordiamo l’orazione di Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a.C.) Pro Quinto Roscio Comoedo (Difesa dell’attore Roscio) nella causa intentata da Caio Fannio Cherea, che di seguito ripercorriamo in quanto testimonianza rilevante.
La vertenza, risalente al 76 a.C., traeva origine da un accordo intercorso tra Roscio, famoso attore romano del I sec. a.C., e Cherea, in base al quale il primo si era impegnato a fare da maestro a uno schiavo di proprietà del secondo affinché l’allievo divenisse un attore affermato. Come corrispettivo e contropartita economica di tale accordo, le parti avevano concordato di ripartire in parti uguali gli introiti che lo schiavo avrebbe realizzato grazie alla sua attività artistica. Lo schiavo ottenne un grande successo e procurò di conseguenza notevoli ricchezze alle due parti del contratto fino a quando, improvvisamente, venne ucciso da un tale Quinto Flavio.
A questo punto, Roscio chiese a Flavio il risarcimento del danno subito ed ottenne quale indennizzo un terreno che successivamente venne migliorato e fatto fruttare. Trascorsi dodici anni da tale risarcimento, Cherea richiese, a sua volta, a Roscio la parte di indennizzo di propria spettanza e, ottenuto un rifiuto, intervenne un giudizio arbitrale che condannava Roscio al pagamento di centomila sesterzi, in due rate uguali, a favore di Cherea che, da parte sua, avrebbe dovuto versare a Roscio la metà di quanto avrebbe ottenuto da una transazione con Flavio. Il creditore Cherea incassò la prima rata ma non la seconda cosicché, dopo tre anni, citò in giudizio il debitore Roscio al fine di ottenere il saldo.
L’orazione tenuta da Cicerone in sede di giudizio evidenzia alcuni interessanti aspetti in merito alla funzione probatoria e alle modalità di tenuta dei libri contabili. Innanzitutto, il famoso avvocato romano, nel contestare la pretesa di Cherea, afferma che il presunto creditore deve dare sempre adeguata dimostrazione della sua ragione di credito presentando i registri che ne attestino le risultanze ovvero i libri ufficiali che costituiscono prova inequivocabile del credito soltanto laddove esistano le annotazioni “in codicem accepti et expensi”, non risultando sufficiente a tal fine la semplice registrazione in prima nota (“ex adversariis”).
Cicerone afferma, infatti, che gli “adversaria” “valgono solo un mese, si cancellano subito, testimoniano il lavoro di poco e non sono altro che appunti sparpagliati”, mentre i “codices” “valgono una vita, vanno conservati religiosamente e contemplano un’attività scrupolosa e attendibile in quanto documenti stilati secondo un ordine ben preciso”: per tutte queste ragioni si evidenzia che “adversaria in iudicium nemo protulit, codicem protulit”, che possiamo tradurre con “nessuno ha mai presentato in Tribunale gli appunti, preferendo esibire invece i registri”.
Un’altra testimonianza rilevante in merito all’importanza e valenza probatoria dei libri contabili è rinvenibile nella vertenza di diritto penale contro Verre, governatore per un triennio (dal 73 al 71 a.C.) della Sicilia, accusato di concussione nel 70 a.C. Nella sua orazione In Verrem (Processo di Verre o Verrine), Cicerone, che sosteneva l’accusa, evidenzia di avere in mano tutti i registri dell’accusato e di suo padre. Tuttavia, mentre per il padre risultavano disponibili i documenti completi relativamente all’intera vita, per l’imputato i documenti si interrompevano proprio nel momento i cui egli assunse la carica di governatore della Sicilia. Verre, pertanto, avendo dismesso la tenuta dei registri contabili obbligatori e probanti, non disponeva più del mezzo di prova che in giudizio gli avrebbe consentito di discolparsi dimostrando la correttezza del suo operato.
Lo stretto legame raggiunto nel sistema romano tra le scritture contabili e la normativa legale, specialmente in campo privatistico, supportato da una stretta connessione tra le oggettive esigenze di memoria dei fatti amministrativi e la capacità probatoria e funzionale rispetto al sistema contrattualistico, ha avviato nell’antica Roma quel processo definito di “giuridicizzazione” della contabilità che porterà, nei secoli successivi, al riconoscimento di un diritto delle scritture contabili e della Ragioneria in genere.