Da una vita mi sentivo rimproverare: "Ma come, non sei mai stato in Sardegna? Il mare più… le spiagge più…". Finalmente era giunto il momento di liberarsi da quella dolce ossessione maturata nel tempo. Dopo tanti viaggi rivolti a esplorare paesi lontani e remoti, quest’anno, grazie soprattutto alla libertà di movimento offerta dal camper, ha prevalso in noi il desiderio di perlustrare le coste della nostra decantata Sardegna, fare cioè il giro dell’intero perimetro costiero dell’isola cercando sempre di seguire la strada più vicina al mare, bella o brutta che fosse, allo scopo di assorbire l’anima esotica di questa meta turistica evergreen, spesso definita i "tropici d’Italia". La particolarità che fa di questo viaggio una piccola impresa è il poco tempo a disposizione, soltanto 8 giorni per tornare a casa con un’idea complessiva della Sardegna. Un tour isolano, certamente intenso e creativo, vissuto con genuino trasporto da Clelia, Fabio e Giorgio (rispettivamente di 10, 8 e 2 anni), ormai provetti viaggiatori, abilmente diretti da Rosy, la mia eclettica mogliettina.
Lunedì 11 luglio giungiamo puntuali alla dogana marittima di Livorno Galvani e saliamo sulla nave già piena di camperisti, in gran parte stranieri, perlopiù tedeschi e francesi. Tra loro numerosi i veterani, che da anni spendono le proprie vacanze nella megaisola mediterranea innamorati di questa o quella baia dai nomi per noi ancora sconosciuti e strani. Da buoni ultimi ci caratterizza l’entusiasmo della prima volta. Il mattino seguente il sole illumina le isole Tavolara e Figarola (per l’abbondanza di fichi) e attracchiamo al porto di Olbia, il main gate d’ingresso in Sardegna. Siamo curiosi, ansiosi di verificare se tutto corrisponde ai nostri canoni di gradimento. La prima impressione è molto piacevole: si sbarca in un paesaggio decisamente esotico, che ricorda l’Africa o il Medio Oriente e subito ha inizio la vacanza, quella vera per eccellenza, con decine di stupende località tutt’attorno. La SS125 verso sud ci appare in eccellenti condizioni, la segnaletica è chiara, a caratteri cubitali, tutto è ben organizzato, pulito, tanto da donarci la sensazione di essere davvero all’estero. Da Porto Istana e Porto San Paolo, per noi ha inizio un divertente carosello di spiagge distanti pochi chilometri dalla statale, nel tentativo di classificare nella memoria tante differenze dal denominatore comune: un mare splendido con acque cristalline dalle tonalità turchesi, sabbie bianchissime, profumo di mirto e tanto spazio a disposizione anche nelle località più note e frequentate. E ancora, ginepri secolari e la poesia dei fiori, con le case ricoperte di bouganville. Unico neo, l’assalto di zanzare all’imbrunire in prossimità degli stagni. All’incantevole mezzaluna di Cala Brandinchi si accede solo dal parcheggio a pagamento, posto a pochi metri dalla battigia. La Cinta (San Teodoro) ci colpisce per vastità e bellezza. A Santa Lucia facciamo acqua nella fontana accanto alla caserma dei Carabinieri e a Capo Comino troviamo la costa invasa da foglioline di Poseidonia; pare che l’odore putrescente di queste piante marine faccia bene ai polmoni. Al km 242, in corrispondenza della Casa Cantoniera, imbocchiamo a sinistra la strada sterrata che in 4 km ci conduce a un grande stagno secco, con numerosi camper in sosta, antistante la luminosa e sconfinata spiaggia di Berchida, indicata da Legambiente come la più bella d’Italia. Pini e ginepri delimitano l’arenile, mentre dalla sabbia candida e finissima crescono gigli selvatici profumatissimi. Altra particolarità del luogo, le singolari sculture di rocce rosa create dai turisti sovrapponendo grosse pietre a forma piramidale. A metà pista trovate un agriturismo con bar-ristorante, di fronte al maneggio, mentre per l’acqua dolce occorre tornare sulla statale verso Olbia per 1 km e seguire il sentiero fino alla sorgente (solo con taniche).
All’alba del nostro secondo giorno in Sardegna, facciamo bagno e colazione a Cala Liberotto prima di avviarci verso Dorgali, passare il breve tunnel e poi giù a Cala Gonone in un panorama mozzafiato. Tutta la costa nord dell’Ogliastra è un’isola nell’isola, protetta dal continuo alternarsi di scogliere a picco sul mare che racchiudono calette paradisiache. Una frana sulla litoranea non ci consente di raggiungere il piazzale in cima a Cala Fuili, così scendiamo in una spiaggia attigua a sud del paese (qualche chilometro oltre il recinto del Camper Service Palmasera) fatta di sassolini rossi e bianchi, acqua limpida a temperatura perfetta. Tuttavia, questa perla della costa orientale ci appare assai commercializzata: vigili dal temperamento teutonico e il frenetico via vai di battelli, gommoni e motoscafi rombanti diretti a Grotta del Bue Marino, Cala di Luna, Cala Gloritze, Cala Mariolu e a un’infinità di altre baie da poster prese d’assalto nel periodo estivo anche via terra, con trekking montani che variano da una a tre ore, ci inducono a proseguire il viaggio prima del previsto.
La linda SS125 si inerpica agile sulle alture selvagge del Parco Nazionale del Golfo di Orosei fino al passo di Genna Silana (1017 m), dove l’occhio spazia tra orizzonti sconfinati e un curioso maialino selvatico chiede cibo ai camperisti in sosta. Qui c’è un ufficio turistico e oltre la strada un bar con pane fresco, formaggi e affettato. Scendiamo alle scogliere rosse di Arbatax, bagnati da un violento acquazzone (l’unico di tutta la vacanza), lungo una via ornata da enormi cespugli di oleandri bianchi, rossi e rosa, cactus e Hibiscus, in un paesaggio naturale di grande pregio: una meraviglia!, superiore a ogni aspettativa, sia di mare che di montagna. Il sottobosco è ornato dai colori lilla della Poenia selvatica, un fiore che cresce solo in ecosistemi integri. Nel tardo pomeriggio facciamo acqua e scarico al Sosta Camper Turimar (3+4 euro), sul bordo della spiaggia scura di Porto Corallo; dalla vicina torre Aragonese si può ammirare la foce del Flumendosa e il panorama circostante. Poco oltre, anche a S. Giovanni, nel litorale di Muravera, c’è una fontana nella piazzola accanto alla spiaggia, in cui si può pernottare liberamente, ma la fila di alte palme mutilate dal vento mette tristezza.
Terzo giorno. Dopo aver dormito indisturbati nel centro di Costa Rei, per il bagno delle 7 ci spostiamo nella rotonda del VeraClub, 1 km a sud, con l’immensa spiaggia di facile accesso e in genere meno affollata. Un’altra grande spiaggia con un comodo parcheggio sterrato accanto al mare la troviamo a Cala Marina, 7 km più avanti. Qui un giovane camperista ci raccomanda caldamente Cala Pira: proseguiamo per 4 km, un masso di granito ci indica di girare a sinistra per una strada polverosa e subito oltre il guado troviamo l’assolato spiazzo con l’immancabile torre spagnola, un chiosco bar e svariati camper in sosta. I colori sono quelli tipici della Polinesia, mancano solo le palme da cocco, ma nessuno le reclama. Una conca di sabbia bianchissima guarnita da rocce levigate che racchiudono un mare da favola, affollata nei mesi estivi. Dopo un bagno caldo e rilassante saliamo dolcemente la litoranea panoramica, con l’isola di Serpentara che ci segue al largo in un paesaggio esaltante, che stimola buon umore e benessere. All’altezza della pizzeria Oleandro giriamo sotto il ponte per raggiungere i camper parcheggiati in riva alla spiaggia semideserta di Punta Is Molentis, una stupenda serie di calette di sabbia cangiante delimitate da sassi granitici: un altro angolo da "Mari del Sud" già scelto per spot televisivi a carattere tropicale. Dai camperisti scopro che la Sardegna ha pure l’enorme pregio di essere sicura: qui il furto non è di casa, i turisti vanno al mare lasciando aperte le proprie abitazioni e nessuno osa violarle. Ancora una manciata di chilometri ed entriamo nella stazione balneare di Villasimius, dove la graziosa barista del Playa Cafè, originale locale orientaleggiante, ci consiglia Porto Giunco, una lunga distesa di arena chiara tra mare e stagno sulla costa orientale della penisola di Capo Carbonara. Un doveroso sopralluogo, alcune foto e continuiamo a gioire lungo la scogliera granitica della strada costiera, che racchiude altre piccole baie ancora intatte, tra cui Porto su Ruxi (Capo Boi), ben protetta dal Maestrale, o Cala Regina. Lungo l’intero tragitto non è difficile entrare in normalissimi bar con musica latinoamericana sparata a tutto volume, in netto contrasto con l’idea classica degli isolani accigliati e chiusi. Mio figlio Fabio sintetizza: "Non immaginavo una Sardegna così, la credevo un posto triste, dove tutti piangono…". A Cagliari pernottiamo nel recinto del porto turistico, di fronte al parcheggio libero del Santuario di Nostra Signora di Bonaria, risalente al 1326. La città è più bella e vitale di come immaginavo. La gente è cortese, anche se gli autisti hanno il clacson facile ed è ancora in auge il buffo gesto delle corna dal finestrino.
L’indomani (quarto giorno) alle 7 sostiamo brevemente a Forte Village, uno dei resort più esclusivi della Sardegna, passiamo poi dall’antico centro cartaginese di Chia e proseguiamo per le dune di Porto Campana, un’area comunale da 4 euro al giorno, ma è nello spiazzo gratuito antistante lo stagno di Su Giudeu che lasciamo il camper per goderci il mare tra dune di sabbia dorata, secolari ginepri modellati dal vento e due isolotti a portata di braccia per l’ennesima scenografia gettonata dai commercial di stile caraibico. Poco oltre la strada termina nel parcheggio (3 euro) della piscina naturale di Cala Cipolla, una delle località più suggestive del litorale di Chia, distante solo qualche minuto di cammino attraverso colline di arena rossiccia. Siamo a Capo Spartivento, un tratto di mare molto caro ai surfisti. A metà mattinata ci avviamo a perlustrare la frastagliata Costa del Sud vigilata anch’essa dall’interminabile catena di torri d’avvistamento spagnole, edificate nel XVI secolo per sventare le incursioni dei pirati, che avvolgono l’intera isola. Per noi continua il susseguirsi di visioni da estasi perpetua, con un’altra miriade di piccole calette solitarie e spiagge semideserte, in cui regnano sovrane natura e tranquillità. Dall’alto, la vista di barche ormeggiate nei fondali bassi e trasparenti attorno a Capo Malfatano donano l’illusione di essere alle Antille e il privilegio di vivere l’emozione di una spiaggia tutta per sé. Lungo la via sostiamo sul bordo di Cala Piscinni, un’ampio arco di sabbia chiarissima, mare verde e una ventina di persone in tutto, perlopiù camperisti. A sinistra la baia confina con l’insenatura di Torre di Piscinni: piccole cale protette da banchi di rocce e da sparuti scogli levigati che emergono dallo specchio d’acqua, come ideati da un cultore di giardini Zen.
Prendiamo il caffè nel minuscolo bar di Porto Teulada, frequentato da sub in partenza per Isola Rossa, seguiamo poi per chilometri la recinzione della zona a servitù militare e torniamo sulla costa per visitare Porto Pino, con le suggestive dune sahariane che separano il mare vitreo dai boschi di pini d’Aleppo. La lunga spiaggia si trova presso l’abitato, al termine della lingua di terra che divide gli stagni di Maestrale e Brebeis, particolarmente cari agli amanti del birdwatching. Sull’istmo che conduce all’antico insediamento fenicio di Sant’Antioco facciamo acqua nel ristorante di Silvana e Benedetto, che ci elargiscono informazioni a raffica mentre ci servono tagliolini all’aragosta, seppie ripiene e ricche porzioni a base di pesce al forno per 20 euro a testa. Sono soltanto le 16 e rimangono ancora tante ore di luce da sfruttare, giriamo verso sud e in breve ci troviamo nell’area di sosta del ristorante di Mario e Pinella a Cala Saboni, nella parte occidentale dell’isola. Questi, ogni sera cucinano per i camperisti un menu a tema al costo di 5-10 euro a testa: "Oggi tutto maialetto, domani tutto pescespada o gamberoni o agnello; si decide assieme…". E’ una piccola spiaggia di arenaria granulosa e sassolini circondata da scogli che rendono l’acqua ancora più limpida. Torniamo sulla SS126, giriamo per Portoscuro e procediamo verso nord; nel Golfo di Gonnesa diamo una rapida occhiata alle due grandi spiagge turistiche di Plagemesu e Funtanamare, attrezzate e affollate, prima di salire sulla litoranea che scorre lungo la scogliera ricca di immagini da cartolina fino a Masua e al suo scenico attracco di Porto Flavia, davanti all’imponente scoglio chiamato Pan di Zucchero. Da lontano lo scoglio dona l’illusione ottica di essere unito al monte Nai, al quale si accede tramite l’ingresso di una miniera abbandonata che conduce direttamente sulle falesie a strapiombo sul mare. Il recinto per i camper (8 euro) si trova sopra a un lieve promontorio, con la discesa alle spiaggette facilitata da una comoda scalinata. Nella caletta a sinistra c’è una piccola cascata d’acqua dolce che funge da doccia naturale per i bagnanti. Il parcheggio è comunque fornito di docce, si può fare acqua e alla sera organizzano grigliate miste per i camperisti.
Il quinto giorno inizia con un tonico bagno pre-colazione, interrotto dal giovane gestore che discute animosamente con un gruppo di funzionari: una questione burocratica irrisolta obbliga tutti i camper ha lasciare subito il parcheggio. Riprendiamo il viaggio, ma la strada per Buggerru è bloccata da una valanga di fango uscita da una vecchia galleria mineraria, probabilmente a causa di un dissennato sfruttamento ambientale. Torniamo indietro, peccato per la costa però è l’occasione per visitare l’interno, poco popolato e sempre aspro, denso di primitiva bellezza. Facciamo il giro per Iglesias, visitiamo il tempio punico romano di Antas, ad appena 2km dalla statale, e a Fluminimaggiore restiamo incantati dai fantasiosi murales di protesta, i cui temi sono la miniera e gli scarichi fognari, con lettere aperte ai sindaci interessati. Qui ci avvisano che da Piscinas la strada sterrata non consente ai camper di attraversare il fiume verso la Costa Verde, al contempo il mezzo accusa qualche “strappo” anomalo e pertanto decidiamo, con la morte nel cuore, di saltare questa zona e girare per Guspini. Ci consoliamo con le dune in prossimità di Porto Palma, riservate però ai clienti del centro di equitazione Ala Birdi, in groppa a cavalli sardo-arabi, e di Pistis, una lunga spiaggia delimitata da scogliere di basalto poco a nord di Torre dei Corsari. E’ un tratto di mare con numerosi villaggi turistici, tuttavia nulla di paragonabile alla calca delle nostre coste. Alle 18,30 parcheggiamo accanto al Duomo medievale di Oristano (1288), per una passeggiata nel centro di questa storica città, prima di trasferirci per la notte a S. Giovanni di Sinis, dietro la chiesa paleocristiana (V sec.), accanto a una manciata di camper.
Sesto giorno (17 luglio). Con una bella luce chiara, di primo mattino visitiamo il sito archeologico di Tharros, insediamento fondato dai Fenici nell’VIII secolo a.C., che divenne in età punica (VI sec. a.C.) una delle città più importanti della Sardegna. Sul promontorio, una scala tortuosa conduce alla cima della torre spagnola, da dove si gode l’intero panorama della penisola di Sinis, una sottile striscia di terra che chiude a nord il golfo di Oristano. Anche le fresche case dei pescatori, ricoperte di erba palustre, sono una vivida testimonianza della Sardegna di un tempo. Cinque chilometri a nord i venditori d’anguille di San Salvatore ci ricordano il selvaggio West di Sergio Leone: infatti, qui è stata ambientata un’intera serie di “spaghetti western”, tra i quali Per un pugno di dollari con Clint Eastwood. Nella piazza centrale rimane solo il saloon, vicino alla chiesa, costruita sopra un famoso pozzo sacro neolitico, adibito al culto delle acque, interamente scolpito nella roccia.
Tutta la Sardegna è un susseguirsi di luoghi straordinari: adesso una bella strada ornata da palme nane ci conduce in breve al parcheggio dell’affollata spiaggia quarzifera di Is Arutas, già occupato da una dozzina di camper. Davanti, l’interminabile distesa di granelli di quarzo traslucidi (dei quali è proibito appropriarsene), che scendono in un mare limpido dalle tonalità turchesi, alle spalle si allungano cordoni dunali coperti da macchia mediterranea. Coricato al sole ho raccolto il lamento di un chicco di quarzo: "Da milioni di anni sto qui, nato negli abissi del mare, non portatemi via!". I colori e la luce del mare mi ricordano i tropici, ma qui l’acqua è più fresca, piacevolmente tonificante: a causa delle correnti, nella stessa costa orientale dell’isola è più temperata. Nel caldo del mezzogiorno riaccendiamo il motore e lungo la via sostiamo a Santa Caterina di Pittinuri, una baia di sassi e sabbia miracolosamente spopolata, delimitata da due torri spagnole in cima a immacolate scogliere di rocce calcaree. A poche centinaia di metri sorge l’antica città romana di Cornus, teatro della cruenta battaglia del 215 a.C., che spense la rivolta sardo-punica. Proseguendo verso nord, nella discesa a Bosa vediamo l’inizio di un incendio che esplode nella periferia sud del paese e in breve ci troviamo a pochi passi dalle fiamme che ardono a bordo strada sulla via per Bosa Marina. Pompieri, elicotteri e Canadair arrivano solo un’ora più tardi, quando il fuoco ha già raggiunto alcune case e purtroppo si conta una vittima. L’edilizia e gli incendi dolosi stanno dando il colpo di grazia a un ecosistema sempre più minacciato.
Raggiungiamo la spiaggia, la migliore ci pare quella sul lato nord del fiume Temo. Tuttavia, poco prima di Torre Argentina notiamo una distesa di camper, "sinonimo di garanzia", in uno spiazzo affacciato sul mare. Siamo a Cumpoltittu, una serie di candide spiaggette circondate da muri di rocce tufacee e vulcaniche, nei quali il vento e il mare hanno scavato piccole grotte e scolpito strane figure. L’apertura della litoranea Bosa-Alghero ha permesso la scoperta di questa splendida zona (uno degli ultimi rifugi dell’avvoltoio grifone, ma anche importante habitat per il falco pellegrino, l’aquila del Bonelli, sparvieri, poiane e altri rapaci), che proprio per la sua inaccessibilità si è mantenuta perfettamente integra; solo pochi insediamenti umani raccolti in una solitudine quasi monastica. Ad Alghero parcheggiamo di fronte al mercato, a pochi passi dal porto, dove antichi bastioni intatti custodiscono la vecchia città d’impronta gotico catalana, bagnata su tre lati dal mare. Tanto per rendere questa isola sempre più straordinaria e affascinante qui si parla un vecchio dialetto catalano e anche i nomi delle vie, dei monumenti, gli orari e i ritmi sono tuttora spagnoli: dopo i Doria di Genova, che nel IX secolo scacciarono gli arabi e la colonizzarono per quasi 250 anni, nel 1353 Alghero divenne una colonia della corona aragonese. Città di grande atmosfera, definita la perla della Riviera del Corallo, Alghero rappresenta oggi una base turistica e mondana alternativa alla Costa Smeralda.
Col sole ancora alto, seguiamo il golfo protetto del parco botanico e faunistico di Porto Conte, che ci conduce sulla vetta panoramica di Capo Caccia, da cui 656 ripidi gradini scavati nella roccia (escala del cabirol o scala del capriolo) scendono il Promontorio delle Ninfe fino alla Grotta di Nettuno: una serie di cavità, corridoi, saloni di stalattiti e limpidi laghetti sotterranei interamente illuminati dalla corrente elettrica. Sulla via del nord una piccola deviazione di 3 km ci porta alla stazione surfista di Porto Ferro, una mezzaluna di sabbia di granito rosato bordata da dune e pineta. Con un ampio giro tortuoso, al tramonto raggiungiamo poi il borgo dell’Argentiera, col parcheggio accanto al ristorante, distante un centinaio di metri dalla spiaggia. Un ex centro minerario dall’atmosfera quasi irreale, che mostra ancora i segni dell’abbandono avvenuto negli anni ’50 al termine dell’attività estrattiva. Quando entriamo a La Pelosa, nell’estremità nord-occidentale dell’isola, manca poco a mezzanotte. L’unico parcheggio autorizzato ai camper, un desolato spiazzo senza servizi e caro (1,50 euro l’ora e 18 al giorno - gratis dalle 20 alle 8), si trova all’inizio del lungomare accanto all’hotel Roja, l’unico edificio che emerge dal verde per i suoi 4 piani.
Settimo giorno. Con le prime luci dell’alba ci avviamo a perlustrare il luogo e restiamo perplessi dalla lingua di sabbia che caratterizza questa celebre spiaggia nelle immagini pubblicitarie: si è ridotta a causa del vento di Levante o forse sono io che la immaginavo più grande? Il contesto è comunque eccezionale: una specie di placida laguna polinesiana protetta dalla barriera naturale dei faraglioni di Capo Falcone e dall’isola Piana (donata dalla famiglia Berlinguer allo Stato). Gli fa da degna cornice l’isolotto con la famosa torre aragonese del 1578, raggiungibile a piedi dalla spiaggia seguendo il guado. Già dalle 8 però inizia la progressiva affluenza dei pendolari del mare e in breve tutto si affolla, con eserciti di giovani parcheggiatori comunali in ogni settore del lungomare. Da qui partono numerose le escursioni in catamarano per il parco dell’Asinara (40 euro). Ci spostiamo a Stintino, l’antico borgo di pescatori genovesi, anch’esso invaso dal turismo. Proseguiamo per Torre Saline, dove inizia un’interminabile spiaggia di ghiaietta levigata, a tratti ricoperta da alghe, e sabbia: una dozzina di chilometri interrotti solo dalla centrale termica ed eolica di Fiumesanto, in prossimità dello stagno Pigno e della vicina spiaggia semideserta di Ezzi Mannu.
Poco dopo lasciamo il mezzo al porto centrale di Porto Torres, davanti all’imponente torre spagnola magnificamente conservata. Due passi lungo corso Vittorio Emanuele II, in fondo al quale si sale alla singolare basilica di S. Gavino (XI sec.), costruita in stile romanico pisano arcaico, ma il caldo ci induce in breve a riprendere la via del mare. Pochi chilometri fuori città e subito c’è l’imbarazzo della scelta: la prima spiaggia che ci colpisce per la bellezza (e per le docce) è quella di Balai, una baia di sabbia raccolta tra due ali di roccia, dalle quali i ragazzi amano tuffarsi in stile Acapulco. Un rapido sguardo a Platamonia, il lido preferito dai sassaresi, circondato da pinete e dune su cui fioriscono gigli selvatici. Lo stesso vasto arenile continua verso est per almeno altri 15 km passando pure per Marina di Sorso, frequentato da gruppi di ragazze nordiche, in netto contrasto, non solo cromatico, con le ragazze di colore in attesa sulla statale.
La litoranea ci regala il panorama di Castelsardo, un borgo medioevale pieno di cultura, edificato su una ripida rocca dalla quale si domina tutto il golfo dell’Asinara. Il centro è un saliscendi di viuzze in cui abbondano le botteghe d’artigianato locale e di ristoranti che propongono raffinati piatti di mare, in particolare aragoste e triglie di scoglio. Percorsi 5 km, sulla sinistra subito dopo il bivio per Sedini, entriamo strisciando nella surreale architettura del nuraghe de l’Eni, comunemente noto come nuraghe Su Tesoru, uno dei monumenti della civiltà nuragica iniziata 1800 anni prima di Cristo. Lungo tutto il percorso da Olbia sono numerosi i ritrovi dai nomi caldi, come Calypso, Papaya, Tahiti, Tropical, Caribe, Jamaica, El Peyote e via di seguito, che mirano ad accentuare l’atmosfera esotica delle coste, ma strada facendo emerge con forza una sostanziale differenza: la Sardegna è la Sardegna, aspra e dolce, depositaria di un’antica cultura pastorale tanto misteriosa quanto affascinante, che la rende unica e inimitabile. Nel tratto di strada successivo abbondano invece i caseifici e ne approfittiamo per acquistare formaggi genuini, Pecorini e Caprini davvero squisiti.
Un’altra spiaggia chilometrica ci attende a Badesi Mare, con dune ornate da ginepri e da profumati cespugli di lentisco, ma per uno spuntino pomeridiano a base di pane carasau, sottili fogli tondi d’influenza africana, ci trasferiamo nel piazzale a pagamento della spiaggia Rena Bedda di Vignola, accanto al camping Baia Blu. Sulla costa l’immancabile scenografia della torre, oltre alla piccola chiesa di San Silverio patrono dei pescatori galluresi. Alla fine di un altro seducente lembo di costa sarda qualcosa cambia: mentre svoltiamo per scendere a Rena Majori un gruppo di camperisti ci avverte che è vietato l’accesso ai camper. Stessa cosa per Rena Bianca, che segue di poco. Noi arriviamo ugualmente a piedi, scendendo una scalinata dalla piazza centrale. Da qui in avanti "proibito" diventa una parola molto ricorrente, che ci obbliga a un percorso a ostacoli frustrante. Stiamo entrando in una zona dove il lusso e non solo le bellezze del paesaggio determinano la scelta dei vacanzieri.
A Santa Teresa di Gallura i vigili ci fanno girare per tornare all’ingresso dell’abitato, nel parcheggio dietro il distributore Esso. Il piccolo centro marino si è sviluppato su due scogliere e la strada per Capo Testa è troppo stretta, pertanto nei mesi estivi non è consentito il transito ai camper. Il traffico caotico e la notevole quantità di turisti ci inducono a proseguire il viaggio verso altri lidi, d'altronde domani è per noi l’ultimo giorno sull’isola e il tempo stringe. Alle 20 ceniamo in cima al promontorio panoramico di Porto Pollo, affacciati sulla conca formata dalla striscia di terra che collega l’isola dei Gabbiani alla costa. Il parking è ben visibile a 100 metri dal mare. Alle 21,30 siamo sul traghetto che in 15 minuti ci porta da Palau a La Maddalena, quando una telefonata ci avvisa che mia sorella è appena arrivata in Sardegna, così giriamo il mezzo e torniamo indietro per raggiungerla a Liscia di Vacca, nell’estremità nord della Costa Smeralda.
Passiamo la mattinata dell’ottavo e ultimo giorno (20 luglio) in famiglia, negli artefatti Giardini di Porto Cervo, e dopo il pranzo e i saluti seguiamo la bella strada per Marina di Portisco e Marinella. In breve siamo sul lungomare di Golfo Aranci, di fronte all’isola conica di Figarola, ornata da un ginepreto e abitata da mufloni allo stato brado. Sulla via per Olbia, ormai ubriachi di spiagge, dune e sabbia, visitiamo pure Bianca, Baracconi e altre, tutte deserte a causa del forte vento di Maestrale. Immaginavo che fossero molte, ma non così tante, a migliaia: deserte o affollate che siano, questa bellissima terra offre baie e arenili di ogni forma e dimensione. Noi l’abbiamo girata per conoscerla nei suoi vari aspetti, ma se avessimo scelto di fermarci in un luogo qualsiasi, avremmo ugualmente trascorso una vacanza d’eccezione e goduto di uno spettacolo superbo, perché la Sardegna è bella ovunque. Alle 18 saliamo puntuali sullo stesso ferry dell’andata e due ore dopo prendiamo la via del mare, che ci riporterà alla frenesia del continente.