Le tartarughe marine sono animali antichissimi. Appartenenti all’ordine Chelonia o Testudines, risalgono al Triassico (~ 250 milioni di anni fa) e si stima che il fossile più antico sinora rinvenuto appartenga alla specie Odontochelys semitestacea, vissuta circa 220 milioni di anni fa, dotata di denti, piastrone e priva di carapace.
A oggi esistono 7 specie di tartarughe marine, caratterizzate da alcune caratteristiche comuni: becco corneo, pinne al posto di zampe, carapace con squame ossee e materiale corneo, piastrone ventrale dello stesso materiale del carapace, ghiandola del sale. Ciascuna specie differisce per colore, dimensioni, habitat, dieta, numero di scuti del carapace e presenza o assenza di unghie. Nonostante siano organismi marini, i quali raggiungono la terraferma solo per deporre le uova, sono dotati di respirazione polmonare, con i polmoni uniti al carapace, ma gli scambi gassosi possono avvenire anche attraverso faringe e cloaca, mentre, tramite acqua ingerita nell’esofago, possono assorbire ossigeno e trasportarlo ai polmoni.
Vivendo in mare, sono in grado di trattenere il respiro per lungo tempo, anche per ore, raggiungendo talvolta profondità elevate e stati di ibernazione. Essendo rettili sono animali ectotermi, dotati cioè di una temperatura corporea che varia in funzione di quella esterna, i cosiddetti “animali a sangue freddo”; tuttavia, essendo organismi di dimensioni ragguardevoli, sono in grado di raggiungere un certo grado di endotermia. A una tartaruga verde osservata nuotare in acque con temperature di circa 20°C, fu registrata una temperatura corporea di ben 37°C, mentre la tartaruga liuto, la più grande tra le sette specie, mantiene una temperatura pressoché costante intorno ai 18°C.
Tutti i cheloni sono ovipari, depongono cioè le uova, scavando una buca nella sabbia che per le tartarughe marine si aggira intorno ai 50-60 cm di profondità. Il sesso del nascituro è determinato dalla temperatura: oltre i 28-30°C si sviluppano femmine, al contrario nascono maschi. Il numero delle uova è variabile ma si aggira spesso intorno al centinaio e, dopo un periodo che va da circa 44 a 60 giorni, le uova si schiudono e i piccoli salgono in superficie per raggiungere l’aria aperta e a quel punto si dirigono vero il mare attratti dalla luce.
Secondo gli studi, infatti, i piccoli di tartaruga marina seguono la luce che, in un ambiente privo di ostacoli antropici, è rappresentata dalla luna e dalle stelle, le quali riflettendosi sull’oceano lo rendono più luminoso della terraferma. La schiusa avviene per il 90% dei casi di notte, ma può capitare che qualche piccolo esca di giorno, col rischio di rimanere letteralmente carbonizzato dalla luce del sole o di venire predato da gabbiani, granchi o altri animali che frequentano le spiagge (compreso l’uomo). I pericoli per un piccolo di tartaruga marina sono numerosi; raggiunto il mare possono essere preda di pesci o uccelli e solo pochi raggiungono l’età adulta. Per orientarsi utilizzano diversi stimoli: visivo all’uscita dal nido, meccanico una volta raggiunta l’acqua (si basano sul movimento delle onde), magnetico nel mare aperto.
Le sette specie attualmente esistenti sono le seguenti: Caretta caretta (tartaruga comune), Chelonia mydas (tartaruga verde), Dermochelys coriacea (tartaruga liuto), Eretmochelys imbricata (tartaruga embricata), Lepidochelys kempii (tartaruga di Kemp), Lepidpchelys olivacea (tartaruga olivacea), Natator depressus (tartaruga a dorso piatto).
Le prima tre vivono, oltre che nel resto del mondo, anche in Mediterraneo e la più comune è la Caretta caretta. Questa specie, diffusa in tutti i mari, può raggiungere i 140 cm di lunghezza e un peso di circa 100/160 kg e si distingue per la presenza di un carapace di colore rossiccio-marrone a forma di cuore con cinque coppie di scuti costali (piastre laterali del carapace), uno scuto frontale con cinque placche e due unghie nelle pinne dei giovani che si riducono a una negli adulti. Le femmine sono generalmente più piccole dei maschi e si riconoscono da questi ultimi, oltre che per le dimensioni ridotte, per la presenza di una coda più corta. Come tutte le tartarughe e le testuggini terrestri, le femmine presentano un piastrone piatto mentre i maschi concavo.
La Caretta caretta è una specie onnivora che si nutre di pesci, crostacei, molluschi e talvolta vegetali, mentre i piccoli, viste le loro dimensioni esigue, si nutrono di plancton. Nei mesi estivi, maschi e femmine adulti (20-25-30 anni) si incontrano per accoppiarsi lungo le coste, dopodiché le femmine raggiungono le spiagge (generalmente quelle dove sono nate grazie a una sorta di imprinting ambientale) per scavare una buca nella sabbia, profonda circa mezzo metro o più, e deporvi un centinaio di uova. L’ovideposizione può avvenire anche diverse volte nell’arco di un’unica stagione riproduttiva e le femmine fanno ritorno alla spiaggia ogni 20-30 giorni. Dopo un periodo di incubazione di circa 45-60 giorni, le uova si schiudono e i piccoli, tra i due e i sette giorni, raggiungono la superficie del terreno per dirigersi verso il mare.
Numerosi studi sulla navigazione delle tartarughe marine hanno dimostrato che sia i piccoli che gli adulti utilizzano delle sorte di “bussole” per orientarsi nella vastità oceanica. I piccoli sfruttano la luce per raggiungere il mare, il movimento delle onde e successivamente il magnetismo terrestre. Piccoli nati in Florida raggiungono la Corrente del Golfo, e sembra essere proprio il magnetismo a farli deviare al largo delle coste portoghesi per evitare di finire nel vortice che li condurrebbe a nord nell’Atlantico settentrionale dove morirebbero di freddo. Svoltando invece a sud del Portogallo, la corrente li riporta in senso inverso verso l’America tropicale, in un percorso che può durare dai 5 ai 7 anni.
In Italia le zone di nidificazione sono per lo più rappresentate dalle isole Pelagie (Lampedusa, Linosa), le coste calabresi, siciliane, campane e sarde. Anche la Puglia e la Basilicata rientrano nelle aree scelte dalle carette per ovideporre. Nel 2016, Legambiente ha contato 58 nidi sparsi tra Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna, Puglia e Toscana.
La Caretta caretta è una specie considerata vulnerabile dalla Cites e, purtroppo, tutte e sette le specie esistenti sono in via di estinzione. Le cause della loro riduzione sono molteplici: inquinamento marino (molte scambiano i sacchetti di plastica per meduse, di cui spesso si nutrono, soffocando), eliche delle imbarcazioni che le feriscono a morte, riduzione spiagge per la nidificazione e inquinamento luminoso, reti a strascico che spesso le imprigionano, ami da pesca ritrovati spesso nei loro stomaci e intestini. Inoltre, i ritmi di crescita lenti e la maturità sessuale tardiva, nonché la massiccia morte dei piccoli per fenomeni anche naturali, aumentano il rischio di estinzione e la riduzione delle popolazioni.
La tartaruga verde, Chelonia mydas, differisce dalla Caretta caretta per le dimensioni un po’ più grandi, (può raggiungere i 150 cm di lunghezza e i 300 kg di peso), la forma leggermente più arrotondata, il becco arrotondato, il numero di scuti costali (anziché averne cinque paia come la Caretta caretta ne ha quattro), e la presenza di due placche frontali. Il colore del carapace è bruno, talvolta verdastro, ma il nome verde è dato per lo più dal fatto che è l’unica specie di tartaruga marina a essere erbivora; si nutre infatti di alghe e altri vegetali marini. La specie è cosmopolita e raggiunge il Mediterraneo per nutrirsi ma non per nidificare; tuttavia sono molto rari e sporadici gli avvistamenti di questi esemplari e gli stessi sono stati localizzati in alcune aree di Puglia e Sardegna. Nei Caraibi e nell’Atlantico meridionale sono stati identificati quattro dei maggiori siti di nidificazione: Tortuguero in Costa Rica, isola di Aves nei Caraibi orientali, Suriname e isola di Ascensione.
Le tartarughe verdi sono dei navigatori eccezionali e l’esempio più sorprendente di abilità nell’orientamento riguarda gli esemplari che nidificano nell’isola di Ascensione, nel mezzo dell’Atlantico, che raggiungono il Brasile per alimentarsi compiendo migrazioni di 2200 km e ritrovando l’isola che non è altro che un puntino nella vastità dell’oceano. La tartaruga liuto, Dermochelys coriacea, rappresenta la specie più grande di tartaruga marina, raggiungendo i 280 cm di lunghezza e il peso di mezza tonnellata, talvolta anche 700 kg. A differenza delle altre specie non è dotata di scuti sul carapace ma di 7 placche ossee longitudinali che rendono la struttura più leggera rispetto a quella delle altre specie.
Questo serve ad alleggerire, per così dire, l’animale e anche perché lo stesso detiene il primato di immersioni tra le tartarughe marine, raggiungendo anche i mille metri di profondità, dove la pressione è uguale a 200 atmosfere. A tali profondità la temperatura si aggira intorno allo zero termico, ma grazie a un apparato circolatorio complesso dotato di vasi sanguigni che scambiano calore, la temperatura dell’animale non scende sotto i 18°C, permettendogli dunque di sopravvivere alle acque gelide. Nel Mediterraneo è rara ma è capitato di avvistarne qualche esemplare: un individuo morto nel 2017 in Spagna, un altro recuperato vivo nel 2016 a Lampedusa ma morto poco dopo. Prediligono le acque tropicali oceaniche ma le aree di nidificazioni sono principalmente l’America centrale, l’Africa occidentale, l’India e il sudest asiatico. Si nutrono di meduse che sono in grado di afferrare tramite delle sorte di denti che ne impediscono lo scivolamento.
Come per le altre specie, anche la liuto è minacciata e classificata come Vulnerabile dalla Cites; tuttavia un ultimo aggiornamento sembra far rientrare un po’ l’allarme, avendo stimato che il numero di esemplari sembra aumentato negli ultimi anni grazie a fenomeni di salvaguardia quali protezione dei nidi, lotta contro i saccheggiatori di uova e nuove normative inerenti la pesca. Dunque, ci sono speranze! Non resta altro da fare che continuare a proteggerle e a fare in modo che anche le altre specie di tartarughe marine tornino ad aumentare e a popolare nuovamente i nostri oceani.