“La collezione è intesa come una rivelazione, un arricchimento, una condivisione di un mondo possibile di immagini che incarnano il vivere contemporaneo”.
Commenta orgoglioso, il curatore Luca Massimo Barbero, il percorso espositivo della collezione di Luigi e Peppino Agrati, donata con riserva di usufrutto nel 2004 alla Banca Intesa Sanpaolo e rivelata oggi, a sette anni dalla presentazione del progetto Cultura della Banca, al pubblico milanese delle Gallerie d’Italia.
Un corpus di 500 opere, delle quali 73 esposte, ha costituito negli anni una delle collezioni private più importanti d’arte moderna in Italia e nel mondo, trasformando gli eredi e gli esponenti della borghesia illuminata lombarda, i fratelli Agrati, in collezionisti talentuosi, con una grande passione artistica. “Luigi e Peppino Agrati si sono sempre distinti per il loro impegno imprenditoriale e per un’innata sensibilità estetica, capace di oltrepassare i confini nazionali e aprirsi verso le novità d’oltreoceano”, afferma commosso all’inaugurazione della mostra Giovanni Bazoli, Presidente Emerito Intesa Sanpaolo. Attraverso il rapporto diretto con artisti, critici e galleristi, questi due fratelli si sono resi promotori di un’importante opera di valorizzazione e promozione dei beni culturali.
Sicuramente Milano, città operosa e creativa, ricca di competenze e capacità è il luogo ideale per accogliere questa imponente collezione, che mostra, tra le altre, opere di Lucio Fontana, Yves Klein, Fausto Melotti, Mario Schifano, Mario Merz, Giulio Paolini, Jannis Kounellis, Fausto Melotti, Andy Warhol, Alberto Burri, Rauschenberg, Basquiat e Christo.
Soprattutto quest’ultimo ha tessuto con la città di Milano un rapporto particolare fin dal 1970, quando ha rimosso il telo bianco con cui aveva impacchettato il Monumento a Vittorio Emanuele II di piazza Duomo per coprire il Monumento a Leonardo di Piazza della Scala. In mostra viene infatti esibito il progetto per piazza Duomo e mostrati gli interventi, commissionati dai fratelli Agrati all’artista, durante gli anni Settanta, per il giardino della loro villa. Il progetto destinato al roseto, che prevedeva una serie di tende, viene realizzato tra il 1971 e il 1972, seguendo le indicazioni di Christo, all’epoca impegnato nella messa in opera di Valley Curtain: un monumentale telo arancione teso nella valle di Rifle in Colorado, che vede Agrati tra i mecenati.
Milano, intesa quindi come piattaforma di incrocio artistico, assume una dimensione notevole, capace di creare e tessere relazioni tra il pubblico e il privato: “L’importanza di questa collezione risiede anche nella trasformazione del suo patrimonio, - afferma l’assessore Filippo del Corno – che con questa mostra, da capitale privato diviene patrimonio conoscitivo condiviso. L’arte si rileva infatti non solo quando viene esposta, ma anche quando la sua inerzia entra in cammino. Luca Massimo Barbero rappresenta la miccia che accende questo cammino”.
Per il curatore la rivelazione, la vitalità e la generosità sono i tre concetti cardine che hanno fatto da cornice all’allestimento di questa emozionante esposizione che permette ai visitatori di conoscere alcune delle più importanti opere dall’arte italiana e americana, ricostruendo l’itinerario intellettuale di chi le ha scoperte e acquisite.
Uno dei rapporti privilegiati è quello che i fratelli Agrati costruiscono con Fausto Melotti, riconosciuto come maestro radicale dell’arte italiana del Novecento. Le opere in mostra ben esemplificano le diverse tipologie e modalità creative dell’artista durante l’intensa stagione del secondo dopoguerra: le quattro ieratiche Korai sono un grande esempio della sua originale interpretazione della tecnica di lavorazione della ceramica, mentre la figura del Savio richiama l’esperienza astratta degli anni Trenta. La scoperta di nuovi materiali, sempre in dialogo tra natura e artificio, altro tema portante in mostra, è comune anche alla ricerca degli artisti americani e dei componenti dell’Arte Povera, come Pascali, Pistoletto e Mario Merz, dove prevale una forte matrice concettuale.
L’intuizione e la non comune capacità di approfondimento con la quale questa collezione è stata costruita rispecchia la molteplicità e l’alterità di interessi di una famiglia nel modo di vivere l’arte contemporanea. Il visitatore che ha la fortuna di poter ammirare questi capolavori dovrà quindi approcciarsi in maniera responsabile, riflettendo sull’intima capacità non di guardare, che è comune a tutti, ma di vedere.