Se nella storia dell’Italia unita si osserva una certa sfasatura tra storia generale e storia dell’istruzione -emblematica la cesura rappresentata dal passaggio dal fascismo alla repubblica, che non riuscì a tradursi in una riforma scolastica -, è difficile muovere lo stesso rimprovero al fascismo. Nove ministri della Pubblica istruzione (dal 1929 dell’Educazione nazionale) vararono 3500 leggi e decreti sulla scuola, di cui quasi 2500 dal 1922 al 1930.
La riforma Gentile, emanata con regio decreto nel 1923 e voluta da Giovanni Gentile, ha segnato il passaggio dal liberalismo al fascismo e, nonostante sia stata attaccata su più fronti, è stata una riforma sopravvissuta ben oltre il fascismo stesso. Il rapporto del regime fascista con la scuola risulta costante. La scuola è sempre rientrata tra le preoccupazioni del governo, impegnato a ricercare nuovi “missionari” per il profondo rinnovamento del sistema scolastico. L’insegnante riveste in questi anni un ruolo fondamentale, sì di educatore ma anche di funzionario statale. Tutti gli obblighi dell’insegnante devono conciliarsi con i doveri nei confronti dello stato e le sue posizioni politiche devono essere in linea con quelle del partito fascista.
Le vecchie classi di insegnanti, definite “socialiste” e “demo massoniche” vengono sostituite da quelle fasciste e, dal 1933 in poi, essere iscritti al partito nazionale è indispensabile ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici per accedere alle classi d’insegnamento. Uno dei principali problemi riscontrati è la retribuzione inadeguata dell’insegnante, dovuta alla mancanza di fondi statali. «Poche scuole ma buone» è il principio cardine da seguire per l’organizzazione della scuola media. Per quanto riguarda gli istituti superiori, viene abolita la scuola tecnica, introdotto il liceo femminile e i tre tipi di istruzione previsti per il liceo (classico, magistrale e scientifico) diventano dei percorsi indipendenti. La separazione tra istruzione professionale e liceale è molto rigida.
Inoltre, nei licei, è ribadita la funzione del latino come espressione dell’orgoglio nazionale e vengono esaltati i valori necessari alla formazione della nuova classe media, ossia di quell’élite che deve rappresentare la forza dello stato fascista. Se inizialmente, con la riforma Gentile, la religione è obbligatoria solo nella scuola primaria (ritenuta philosophia minor), grazie a un Concordato ora anche la Chiesa collabora alla formazione della nuova classe borghese: la parità tra scuola pubblica e scuola privata non fa altro che giovare all’istruzione cattolica e rinforzare il potere della Chiesa, che condivide a pieno i principi dell’ideologia fascista.
Tuttavia, fra il 1923 e il 1939, la riforma Gentile fu sottoposta a molti “ritocchi”, mirati in ogni caso alla fascistizzazione della scuola. La contaminazione fascista riguarda tutte le discipline ma in particolar modo la storia studiata in un’ottica molto ristretta. I libri di testo continuano ad essere sottoposti a un rigido controllo, così come le stesse case editrici più o meno compromesse con il regime. La scuola è anche un luogo in cui poter inculcare idee politiche attraverso celebrazioni, feste e riti (come la Befana fascista), volte in ogni caso ad affermare il potere indiscusso dello stato.
Nel 1939, il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai, con la Carta della Scuola, intende dare una svolta sociale e istituzionale in linea con quanto auspicato dal Governo, basando la riforma su un diretto coinvolgimento dello scolaro nella vita politica; allontanandosi in questo modo dall’idealismo gentiliano e favorendo la politica del consenso. Un altro aspetto da sottolineare è la militarizzazione della scuola italiana che prevede, sin dai primi anni delle elementari, anche delle ore di addestramento militare (la formula “libretto e moschetto” sembra rendere bene l’idea). Alcune materie vengono privilegiate a discapito di altre perché l’obiettivo della scuola fascista è quello di forgiare lo spirito degli studenti trasmettendo ideali patriottici con l’intento di piegarli al volere della patria.
I cambiamenti che si sono avuti durante il Ventennio hanno portato alle estreme conseguenze i programmi della riforma Gentile, spesso definita una riforma “classista” e da Mussolini stesso “la più fascista delle riforme”.