Dopo un esordio come attrice al Piccolo Teatro, ha fondato, con Franco Parenti, il Salone Pier Lombardo, divenuto poi il Teatro Franco Parenti, una delle più creative istituzioni culturali di Milano. Le sue regie, che hanno coinvolto anche il melodramma con rappresentazioni alla Scala, vanno dai classici ai contemporanei, con una particolare attenzione agli autori milanesi e al “teatro fuori dal teatro”, investendo alcuni luoghi topici della città, come il Castello Sforzesco, la Villa Palestro, il complesso di Brera.
"Secondo un’antica leggenda orientale, la storia del filo rosso, esiste un filo sottilissimo, avvolto al mignolo della mano sinistra, che lega in maniera indissolubile le anime gemelle. È un filo molto lungo perciò, spesso, si annoda, si aggroviglia e dà vita a strani intrecci che creano difficoltà alle due anime destinate a congiungersi; ogni groviglio che verrà sciolto è però il superamento di un ostacolo, ogni nodo districato servirà a rafforzare il legame. Il Teatro è stato il mio filo rosso, mi ha legato in maniera indissolubile a tutto quello che, oggi, è importante nella mia vita. Negli anni questo filo si è intrecciato, aggrovigliato, legandomi in maniera inaspettata a cose e persone e non si è mai spezzato. Quando è nato il Pier Lombardo, oggi Teatro Franco Parenti, è diventato realtà, il sogno, condiviso con Franco, di creare a Milano un luogo capace di farsi casa, nido, di realtà teatrali e culturali diverse, un luogo dove stare, dove essere insieme, dove permettere alle persone di intrecciarsi, aggrovigliarsi e scoprire legami indissolubili. Questo sogno-realtà ha assorbito negli ultimi quarant’anni ogni mia energia, ho cercato, con l’aiuto di tutte le persone che hanno collaborato e collaborano attualmente con me, di rendere concreta un’idea di teatro capace di penetrare nella realtà e di trasformarla, per comprenderla e renderla comprensibile, per interpretarla e vestirla sul palco di una nuova essenza.
Il Teatro è l’unica arte del presente, vive solo del momento in cui è rappresentato, non esistono due rappresentazioni identiche dello stesso spettacolo, non è come nel cinema, ogni momento è unico e irripetibile, come nella vita e nell’amore. Mi ha insegnato che tutto se ne va, finisce, ma poi comincia qualcos’altro, è questo il corso inevitabile delle cose, ma far sì che quel che viene dopo sia meglio e non peggio di quel che c’è già stato, è compito nostro, sta nelle nostre mani ed è quello che ho cercato di fare nella mia vita; sempre qualcosa di meglio.
Tutti dicono di me che sono una donna dalla personalità molto forte, sicuramente sono tenace, non mollo le cose che faccio, se inizio qualcosa devo portarlo a termine. Non mi piace lasciare le cose per aria, quando una cosa è bella voglio che viva. Ma ogni cosa bella richiede sacrificio, anche questa, il Teatro, ha richiesto grande sacrificio. Ho fatto molta fatica a creare un luogo che tutti possano abitare, ma ogni nodo, ogni complicato groviglio che ho dovuto districare negli anni, era in qualche modo necessario per creare qualcosa di solido e indistruttibile".
Di lei hanno detto "Regista, manager, animatrice culturale, agitatrice di idee": in quale di queste definizioni s’identifica di più?
Quando anni fa mi chiedevano se come donna avessi fatto fatica a iniziare rispondevo, un po’ provocatoria, che una donna, magari carina, all’inizio poteva fare meno fatica di un ragazzo brufoloso a farsi ascoltare e a trovare spazio. Non è stato proprio così. Le regole del “gioco” prevedevano anche accettare l’immagine che gli altri avevano di me, accettare che quello che siamo dipende anche da come ci presentiamo, da come ci vedono gli altri, insomma, da logiche esterne a noi. Di me hanno detto: “Regista, manager, animatrice culturale, agitatrice di idee” forse, in qualche modo sono stata tutte queste cose, soprattutto regista, ma un buon regista non è anche in qualche modo un manager che gestisce un progetto e ne capisce il potenziale? Un animatore culturale e soprattutto un agitatore di idee? Perché il teatro deve anche divertire, ma soprattutto essere capace di mescolare le carte e accendere la coscienza individuale.
Donna si nasce o si diventa e come s’intrecciano l’uomo e la donna del 2000?
Sono nata donna, ma probabilmente le differenze che comunemente si attribuiscono ai due sessi sono solo un fatto culturale. Al di là dei luoghi comuni penso che le capacità individuali prescindano da questioni genetiche, che siano indipendenti dall’essere uomo o donna, dipendono più che altro dagli stimoli dell’ambiente che ci circonda. Certo esistono delle differenze biologiche che sarebbe assurdo negare, ma penso che l’uomo e la donna siano le due facce della stessa cosa e che il modo in cui viviamo, quello che facciamo, quello che otteniamo nella nostra vita, non dipenda dal nostro sesso. Certo le donne sono biologicamente diverse dagli uomini. Sarebbe folle negarlo. Prima differenza tra tutte è che a loro spetta l’onere e l’onore della gravidanza il che determina anche forse delle differenti modalità di pensiero. Forse per ragioni biologiche, le donne sono più abituate a farsi strumento, mettersi a disposizione di un progetto, rispetto agli uomini. In fondo, durante la gravidanza, quello che la donna fa è mettere il suo corpo al servizio di un altro essere, riversare parte delle cure, che prima riservava a se stessa, su un altro individuo, un’altra creatura. Spetta alla donna mettere a disposizione il suo stesso corpo per far sì che se ne formi un altro e che cresca con la consapevolezza che questa creatura nuova, pur essendo per un periodo parte di lei, non è lei, vivrà di una vita propria indipendentemente dalla sua. Forse è per questo che la donna riesce con più facilità a “sacrificarsi” per creare qualcosa. Le è più congeniale questo partorire, far crescere, far vivere e proteggere affinché qualsiasi sua creatura resti in vita e si sviluppi. Per una donna è importante che il progetto la comprenda ma le è chiaro che non è lei il progetto. Che sia single, in coppia, che abbia o meno una famiglia numerosa, probabilmente sarà sempre, in modi che gli uomini non possono sperimentare, più disposta ad accogliere e curare l’altro.
Oggi cerco di vivere con spessore le giornate che sono lavoro ma soprattutto sentimenti, fatiche divertimento, disciplina, progetti, rapporti e ogni rapporto è, da sempre e credo sarà così sempre, insieme uno confronto e uno scontro. Certo, nel tempo, il rapporto tra uomo e donna è cambiato. Oggi è sempre più filtrata e influenzata dalla tecnologia, dai social network, dalle nuove modalità di comunicazione. Ma i rapporti tra gli individui sono cambiati anche negli equilibri e nei ruoli. Prima la donna era considerata il sesso debole, ora non è più così; l’uomo può permettersi di mostrarsi debole e la donna di essere sempre più ambiziosa e sicura dei propri mezzi.
Mi è stato spesso chiesto se confrontarmi nella direzione del Pier Lombardo con Franco, in quanto uomo, fosse stato complicato, confesso che all’inizio è stato uno scontro continuo, lui mi contraddiceva su tutto: un inferno. Era tutto un provocarsi. Un rapporto conflittuale, con grandi discussioni. Non si trattava solo di uno scontro tra uomo e donna bensì tra attore e regista, chiaramente, è stata una lotta “formativa” perché è dall’unione di quel qualcosa di sé che ognuno mette nello scontro che nasce qualcosa di nuovo, come sempre e da sempre in ogni rapporto, lavorativo e sentimentale e anche le mie regie furono conquistate così.
Anatole France sosteneva che una donna che insiste sull’eguaglianza rinuncia alla propria superiorità, ho imparato che la chiave non sta nel rinunciare alla propria superiorità se questa superiorità è creativa, produttiva, sta forse nel trovare il modo di far convivere, in maniera egualitaria, le diverse superiorità di tutti all’interno di un progetto, di un obiettivo comune. Una “superiorità” o talento che non viene messo al servizio di un progetto (e di un progetto che trascenda se stessi, il singolo) o che non riconosca l’eguale importanza di ogni parte, è sempre un po’ uno spreco. Uno spreco di energia, di tempo e di creatività.
Qual è la situazione dei teatri milanesi e che rapporto c’è tra la città e il teatro?
Si sente spesso parlare di crisi del Teatro ma a Milano i teatri sono sempre pieni. L’andamento è costante. La gente ne ha bisogno non solo per distrarsi o per “acculturarsi”. Il teatro non è solo un luogo di svago, e nemmeno solo un luogo dove si fa cultura. Il teatro è un posto in cui si sta insieme, e tutti contribuiscono alla realizzazione, non solo chi il teatro lo fa, ma anche chi il teatro lo osserva. Il cinema manipola la realtà per creare una finzione, invece il Teatro usa la finzione per creare una realtà altra, un mondo in miniatura che si va creando sulle assi del palcoscenico e quella finzione non è solo il prodotto del lavoro di registi e attori. Il teatro, per sua natura, chiede allo spettatore di supplire con la propria immaginazione, con la propria capacità creativa, alle falle della realtà ricostruita. Tutto diventa possibile, si finisce col credere ciecamente a quello che si vede. In questo senso il cinema è un posto dove siamo più soli. A teatro ogni singolo spettatore con la propria immaginazione contribuisce allo spettacolo, si sente, anche lui, parte attiva di quel progetto. È per questo che le sale sono sempre affollate, al Franco Parenti e in altri teatri milanesi. Pressoché zero poltrone vuote. I numeri lo confermano.
Nel 2005 abbiamo fatto un esperimento: Il teatro sotto casa per portare il teatro anche nelle periferie, un esperimento che si è trasformato in un successo straordinario dimostrando quanta voglia hanno i milanesi di vivere il teatro di qualità anche fuori dal centro.
Quali sono gli ambienti milanesi più adatti a fungere da fondale per rappresentare un’opera teatrale “en plein air”?
Molti anni fa, quando ancora nessuno ne vedeva il potenziale e la bellezza, io che sono da sempre innamorata di questa città, ho trasformato alcuni luoghi di Milano in palcoscenici en plein air. Ho ambientato i miei spettacoli, con pubblico itinerante, in luoghi non convenzionali, un tempo diversi da quello che sono oggi. Erano magici, possedevano il fascino delle cose dimenticate, abbandonate a se stesse. Parlo di posti come i chiostri dell’Umanitaria. In uno dei chiostri ho messo in scena La doppia incostanza di Marivaux, decorandolo con glicini di plastica. Adattai lo spettacolo allo spazio e alla situazione, fu un trionfo pazzesco. Delle volte, in questo mestiere, nel tentativo di trovare delle soluzioni non convenzionali si creano delle straordinarie, quanto inaspettate, combinazioni, che emozionano e in qualche modo restano. Di quella inaspettata combinazione è rimasto, incollato al luogo, il nome che gli ho dato, l’immagine che avevo creato, e da allora è così che si chiama: “il chiostro dei glicini”.
Nel fossato del castello invece ho messo in scena La cerca del Graal. Era uno spettacolo a stazioni, avevo collocato delle strutture in legno nei fossati del castello, prima che ci fosse quell’illuminazione pazzesca, per cui avevo creato delle specie di palcoscenici. I miei cavalieri della tavola rotonda animarono gli esterni del Castello, il pubblico girava, è stato memorabile come anche Ondine di Jean Giraudoux, nei giardini di Villa Reale. Il pubblico era seduto su dei tronchi, c’era un cavallo che girava, tutto era ambientato nel giardino e alle spalle troneggiava la villa che fungeva da Castello.
Certi luoghi però, oggi, hanno perso la loro freschezza, sono stati irregimentati, inquadrati, assoggettati a una certa disciplina che ne ha ridotto il fascino, e che stimola meno la creatività, l’immaginazione. Quei tre spettacoli en plein air però, sono stati, per me, indimenticabili. Ho fatto anche diverse attività nei giardini di villa Palestro come Il viaggio d’estate, all'epoca in cui era sindaco Tognoli. Nel tentativo di far viaggiare anche chi restava a Milano, creammo dei percorsi, come quello della “sopravvivenza”; camminavamo sulle rocce, facevamo viaggiare la gente appendendola a dei palloni, si raccontavano luoghi, viaggi. Milano accoglieva il mondo.
Stiamo parlando di almeno 20 anni fa, prima che molti cogliessero la bellezza di certi luoghi. Adesso tutti dicono che Milano è bella ma all'epoca nessuno se ne rendeva veramente conto. Poteva, e può ancora oggi, essere teatro di molte cose emozionanti, offrire sensazioni, aprire scenari nuovi. Bisogna, però, saper guardare al di là di quello che si vede, credere in un tipo di comunicazione diversa. La magia di certi luoghi spesso passa inosservata ai più. Siamo talmente abituati a vedere i posti che abitiamo per quelli che sono che, raramente, riusciamo a vedere quello che potrebbero essere, che potrebbero diventare con un po’ di cura e fantasia. La capacità di uscire da norme e schemi precostituiti può dare forme nuove agli spazi, rendendoli forse meno geometrici e strutturati, ma capaci di accogliere le asimmetrie dell’immaginazione. Ho sempre desiderato, ed è ancora oggi uno dei miei sogni, essere incaricata dall'amministrazione comunale di realizzare un progetto che restituisca un'immagine nuova di Milano, che permetta alla gente di vedere i luoghi che attraversano, che vivono e che frequentano quotidianamente, in modi diversi. Forse un giorno, chissà, anche questo sogno diventerà realtà.