La galleria d’arte bolognese P420 ha inaugurato lo scorso 4 maggio una mostra fotografica molto interessante, curata da Simone Menegoi, una collettiva di cinque artisti, Hans-Peter Feldamann, Peter Piller, Joachim Schmid, Alessandra Spranzi, Franco Vaccari, differenti generazioni quindi, alle prese con la fotografia e la sua dimensione sociale.
Il termine Lumpenfotografie deriva dalla definizione marxiana di Lumpenproletariat indicante quel gruppo sociale formato dagli “scarti di tutte le classi”, una plebe che vive di espedienti e del tutto priva di una coscienza di classe. Nell’opera Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte (1852) Karl Marx dà questa descrizione del termine Lumpenproletariat:
Accanto a quelli che avevano mezzi di sussistenza incerti e di dubbia provenienza c’erano borghesi decaduti, avventurieri, vagabondi, soldati in congedo, galeotti, evasi, truffatori, saltimbanchi, lazzaroni, borseggiatori, imbroglioni, giocatori d’azzardo, lenoni, tenutari di bordelli, facchini, letterati, fotografi, suonatori d’organetto, straccivendoli, arrotini, calderai, mendicanti, cioè l’indefinita massa disintegrata gettata qua e là, che i francesi chiamano bohéme, tutti questi rappresentano il Lumpenproletariat.
Un’enumerazione ricca e sostanziosa di una fetta popolare anonima, indefinita, imprecisa, che ricorda vagamente il romanzo Rimini di Pier Vittorio Tondelli, dove una polifonia di voci dà vita a una storia fatta di intrecci anche non avendo niente in comune, per esaltare la costiera romagnola che almeno una volta all’anno diventa una grande e caotica metropoli. La mostra è proprio una metropoli, una polifonia di sguardi, un’archeologia di memorie, uno scavo archeologico di reperti umani fotografici, di frammenti, di attimi rubati al tempo, di oggetti anonimi che ritrovano la propria luce, un teatro esistenziale dell’oggetto o di un qualsiasi attimo fotografico.
Il termine Lumpenfotografie che letteralmente significa “fotografia stracciona” è dell’artista Franco Vaccari che ha così trasformato la categoria socio-politica marxiana in categoria estetica. Vaccari usò il termine in riferimento al lavoro dell’artista tedesco Joachim Schmid, che da trent’anni raccoglie ed espone quella che non aspira a essere fotografia “d’arte”. Ed è proprio questo il concetto madre che ha partorito la mostra dove forme di presentazione come la serie, il catalogo, l’archivio acquistano una particolare identità oscillante tra i modi freddi e spigolosi dell’Arte Concettuale e una percepibile simpatia estetica.
Quanti di noi non danno valore estetico alle fotografie anonime che si trovano nei giornali sciatti che propongono offerte di vendita? Quanti di noi farebbero caso a ritagli o frammenti di foto trovate magari casualmente per terra? O ancora, quanti di noi hanno passato dei minuti simpatici all’interno di cabine fotomatiche con amici, ma non pensando minimamente che potessero magari essere valutate come opere d’arte? Ebbene per tutte questi quesiti è un’occasione davvero speciale visitare la mostra alla P420.
L’idea di trovare bellezza in una forma preintenzionale, in una sorta di objet trouvè tanto cara ai surrealisti ereditata successivamente dal dadaismo con Duchamp e il ready-made rimanda anche a una fotografia che pone l’accento sull’epifanizzazione del reale Joyciana. Il mondo si offre a noi come una deliziosa amante e le sue tracce possono acquisire fascinosi valori estetici cambiando il contesto, dalla strada a una galleria d’arte. André Breton, il padre del movimento surrealista, coniò l’espressione “caso oggettivo” con l’idea che alcuni incontri apparentemente casuali (in particolare con determinati oggetti) nascondano una forma di predestinazione, di segreta e fatale affinità tra chi cerca e il trovato.
Con questa atmosfera si arriva in galleria e i primi lavori ad accoglierci sono la serie di dieci fotografie in bianco e nero di Peter Piller, Regionales Leuchen 1 – Local Glow 1. Piller, che lavorò come revisore di documenti presso una grossa agenzia di comunicazione ad Amburgo, era responsabile dell’analisi e archiviazione giornaliera di oltre 150 giornali regionali. Le foto esposte infatti provengono da vari quotidiani e tendono ad analizzare gli archetipi figurativi della cultura giornalistica. È inoltre presente la serie Bedeutungsflaschen – Pointing at plains, serie di 10 fotografie in bianco e nero che vede protagonisti differenti persone indicanti un punto in un qualsiasi ambiente, dalla strada al campo.
La mostra prosegue con la serie Occasione Unica di Alessandra Spranzi, fotografie di case in vendita di tutta Italia, rifotografate con pellicola 35mm, dall’agenzia immobiliare alla galleria d’arte, espropriamento, traslazione, cambio di significato e acquisizione di una valore estetico, un see different interessante e divertente. Le parole dell’artista a proposito: “La casa che deve essere la tua occasione è sempre un’occasione unica, irrepetibile, perché parla solo a te, parla al tuo passato, al tuo presente, ai tuoi sogni futuri”. Altra serie presente della Spranzi è Vendesi, una serie di fotografie analogiche, un work in progress cominciato nel 2007, che come fonte ha una rivista di foto annunci disponibile in edicola, per dare attenzione a particolari, a oggetti che la nostra attenzione abbandona, oggetti che silenziosi acquistano patina metafisica e trascendentale come nei quadri di Morandi.
Di Hans-Peter Feldmann invece si potranno vedere i Bilder "Libri d’artista" e l’opera All the clothes of a woman una raccolta di 70 fotografie in bianco e nero, un vero e proprio scavo archeologico in scarpe, vestiti, intimo di donne, la curiosità spinge a pensare che quegli oggetti abbiano una storia da sussurrarci all’orecchio, chissà da chi sono stati indossati, sfilati, comprati? Poi Love couples, un poster tagliato in scatola di legno, l’anonimia torna a essere la protagonista, che volto avranno gli amanti? Sembra ricordare vagamente Les amants di Magritte.
I lavori di Joachim Schmid comprendono Bilder von de Strabe, Photogenetic Draft e Other People’s Photographs. Bilder von de Strabe è il perfetto esempio di fato, di objet trouvèe, si tratta di un progetto sviluppato nell’arco di trent’anni, l’artista ha raccolto tutte le fotografie che ha trovato in luoghi pubblici tra l’agosto del 1982 e il marzo del 2012, mille fotografie, in 25 paesi diversi e 123 città, fotografie strappate, buttate vie intenzionalmente, non ci è dato sapere niente tranne la data e il luogo, il resto è pura e soffice immaginazione. Hannover, Berlino, Rio de Janeiro, Rotterdam, Parigi, Marsiglia, Gallipoli, una geografia di momenti priva di confini, una poesia casuale fatta di frammenti.
Photogenetic Draft sono fotografie provenienti dall’archivio di un fotografo commerciale che aveva tagliato i negativi per impedirne un futuro utilizzo. Ed ecco una photo surgery strepitosa, geniale, l’accostamento di entità diverse che non si appartengono, vengono messe insieme, creando dittici improbabili, ritratti di persone che non esistono. Other People’s Photographs, realizzata tra il 2008 e il 2011, prevede una raccolta di immagini che si possono trovare su siti di condivisione come Flickr, suddivisa per libri con temi variegati, come Things, Sites, On the road, Food, Flashing e Big Fish.
Ecco che accediamo a molteplicità di oggetti, luoghi persone, ecco ritornare la polifonia di storie, una visione a più sguardi di uno stesso concetto.
La mostra infine ci offre la possibilità di vedere da vicino Photomatic d’Italia, 1973-74, collage di photostrip su cartone, la celebre opera di Franco Vaccari, che vede ritratti numerosi volti, numerose persone, espressioni, smorfie, ma anche parti del corpo come il pene, in diverse posizioni.
Photomatic d’Italia rimane un progetto faro di Vaccari che trovò celebrità alla Biennale di Venezia del ’72, da quel momento l’artista ebbe a disposizione tutte le photomatic sparse per l’Italia; la photomatic diventava un luogo privato immerso nello spazio pubblico, in cui era possibile dare libero sfogo al desiderio e al sogno. Un artista di cui personalmente ho profonda stima dal momento in cui lo conobbi all’università durante il corso di Storia della Fotografia, trovai da subito illuminante Photomatic d’Italiala, mi sembrò da subito un’opera geniale, proprio per il suo connubio semplicità di esecuzione, profondità di riflessione; la galleria P420 chiude la mostra con un video di Vaccari della durata di dieci minuti circa, del 2002, intitolato L’album di Debora, e creato con il solo utilizzo di foto tratte da un album di famiglia. L’artista afferma: “Sono sempre stato affascinato dalle fotografie prodotte dagli altri, soprattutto se queste non erano fatte con intenzioni artistiche. La mia curiosità è sollecitata da questi depositi di senso ancora intatti.”
Una mostra da vedere, che propone la veste di una fotografia senza vanagloria, senza paillettes o artifizi, ma con una sconcertante e perturbante differente visione dell’ordinario, con il caso a cavallo come un cavaliere errante che lancia la nostra immaginazione lontana, oltre i confini, oltre la verità, oltre tutto.
P420 arte contemporanea
Lumpenfotografie
Per una fotografia senza vanagloria / Towards a photography without vainglory
Hans Peter Feldmann, Peter Piller, Joachim Schmid, Alessandra Spranzi, Franco Vaccari
Dal 4 maggio al 13 luglio 2013
Piazza dei Martiri, 5/2
40121 Bologna - Italia
Tel: +39 051 4847957
info@p420.it
www.p420.it