Abbiamo intervistato Andreco, artista e direttore artistico del progetto Intrepida che prenderà vita nei prossimi giorni nella città di Ferrara.
Intrepida si presenta come un progetto artistico collettivo del quale sei direttore artistico. Vuoi raccontarci come è nato? E la scelta del nome?
Mi è stato chiesto di fare un workshop teorico-pratico tra arte e rigenerazione urbana che avesse un output concreto. Come caso studio ho scelto lo stabile dell'Ex Teatro Verdi di Ferrara, al momento soggetto a un interessante progetto di ristrutturazione dello studio CCCC. Per il workshop ho pensato di condividere il mio metodo artistico con i partecipanti, per creare un'opera collettiva. È un ragionamento insolito per le arti visive, dove tutti custodiscono gelosamente le proprie tecniche e segreti professionali, mentre è più comune per le arti performative. Facendo un paragone è come essere un regista che ha come attori, gli artisti, gli architetti e i videomaker che partecipano al workshop. Ogni attore è libero di esprimere le proprie capacità nel ruolo che interpreta. Siamo partiti da una ricerca storico urbanistica e sociale, sia sullo stabile che sul territorio di pertinenza. Il nome intrepida trae ispirazione da uno dei nomi dell'ex teatro Verdi, quello dell'Accademia degli Intrepidi di Gian Battista Aleotti e altri letterati del 1600.
Il macrotema: riattivazione urbana. Di cosa si tratta quando ne parliamo?
Il tema della Rigenerazione Urbana è molto in auge, si punta a ripristinare edifici esistenti piuttosto che costruirne di nuovi, in un ottica di riduzione di occupazione del suolo (Land Use), ottimizzazione delle risorse e risparmio economico. Bisogna dire però che non è una pratica del tutto nuova, i movimenti sociali, sin dalla fine degli anni Ottanta, con pratiche e finalità diverse, hanno rigenerato spazi abbandonati per attività sociali, politiche e culturali. Negli ultimi anni questa pratica viene adottata anche dalle istituzioni con un accordo pubblico-privato e modalità e fini differenti. Da molto tempo mi sono interessato al tema sia da un punto di vista scientifico-ingegneristico, che sociale e artistico. Il problema centrale è che sotto il nome della rigenerazione urbana, nata come una buona pratica, si sono anche nascosti alcuni progetti a uso abitativo o commerciale altamente speculativi. L'arte ha spesso svolto un ruolo decorativo e di facciata, per creare un bagliore accecante, per nascondere la vera essenza del progetto. Ultimamente in molti hanno capito questo meccanismo, sia la cittadinanza che gli amministratori, e c'è una tendenza di innovazione e monitoraggio dei progetti di rigenerazione affinché risultino veramente virtuosi. In sostanza si cerca di scartare i progetti speculativi e promuovere progetti che siano allo stesso tempo culturali, sostenibili a livello economico e ambientale e siano anche un servizio per la comunità che li accoglie. In particolare si punta su servizi di condivisione, di spazi, cobaby, coworking cohousing ad affitti concordati, mobilità sostenibile, gestione del verde e creazione di contenuti innovativi. Questo dipende fortemente dalla natura e le competenze del soggetto gestore dello spazio.
Quando il progetto funziona quindi, ha anche una valenza culturale e spesso accoglie opere d'arte contemporanea. O meglio è l'opera stessa che deve segnare un “nuovo inizio” del luogo. Questo è ciò che, per esempio, abbiamo pensato con i soci di Kilowatt quando hanno preso in gestione le Serre dei Giardini Margherita a Bologna. In quel caso mi hanno commissionato una scultura, Landmark 01, che ho realizzato in sinergia con i progettisti delle aree verdi e degli orti, per dare un nuovo elemento visivo in dialogo con l'architettura, un nuovo riferimento visivo per i visitatori. L'intento è quello di proiettare l'immaginario dei visitatori a un futuro altro da quello che era stato il posto sino ad allora. Intrepida per l'Ex Teatro Verdi, a differenza di Landmark, è un'azione temporanea, un'incursione nello spazio, che non abbiamo voluto chiamare intervento di riqualificazione ma di riattivazione. L'intento è attivare temporaneamente lo spazio, punzecchiare il gigante addormentato da trent'anni sotto la polvere, stimolare gli immaginari della cittadinanza e dei nuovi possibili gestori.
Nelle giornate del 13-14-15 Aprile, i visitatori cosa andranno a vedere esattamente, negli spazi di Intrepida?
Il punto non è cosa vedranno, ma cosa immagineranno. Innanzitutto vedranno un cantiere, lo scheletro di un edificio affascinante, la torre scenica, la platea e gli ordini di palchi, il suo cuore da anni nascosto, o forse anche altro. Abbiamo voluto creare una suggestione tramite un'installazione che sarà anche una performance che vuole riflettere sul futuro potenziale del luogo. Abbiamo voluto ragionare sul rapporto tra naturale e artificiale, tra costruito e ambiente circostante. Ci pacerebbe che ognuno avesse la sua visione sulle potenzialità dello spazio. Dato che Intrepida avviene tra la fine dei lavori di ristrutturazione e l'assegnazione al nuovo gestore, abbiamo pensato che tutto avverrà come una sorta di rituale iniziatico e propiziatorio.
Da artista, l’opportunità di workshop come questi, come li valuti? Com’è lavorare con giovani studenti?
Mi piace fare workshop, ne ho fatti molti negli ultimi anni, nei contesti più disparati, ho fatto anche brevi seminari e artist talk in molte Università e accademie d'arte, sia in Italia che all'estero. Credo che quando c'è l'opportunità di fare anche della pratica oltre che teoria, sia un momento prezioso e funzionale all'apprendimento di metodologie. Si impara molto dal fare. Anche come ricercatore sono stato sempre a favore della ricerca applicata. Il workshop è uno scambio, non è mai univoco, anche a chi li fa serve per riconsiderare il proprio lavoro e l'efficacia del proprio metodo. Credo che la cosa più pericolosa per un artista è rimanere arroccato su delle posizioni che da innovative con il tempo potrebbero non esserlo più, confrontarsi con studenti, dieci o venti anni più giovani, è un esercizio mentale che giova molto anche all’insegnatne.
Il futuro di Intrepida (se ci sarà o che declinazioni prenderà)?
Quello che vorrei dire agli “Intrepidi” è che abbiamo reso tangibili idee molto astratte e allo stesso tempo fatto diventare astratte e immaginifiche cose apparentemente molto concrete come un cantiere. Per farlo abbiamo usato un metodo che ho sviluppato nel tempo della mia carriera artistica. Ma questo è solo un modo, uno dei tanti possibili. Spero che ognuno di loro troverà il proprio metodo di lavoro. Dopo ogni workshop è difficile salutarsi, spesso si vuole portare avanti il gruppo ma raramente è una cosa fattibile. Tuttavia capita che i partecipanti poi si rincontrano e nascono collaborazioni di vario genere tra alcuni di questi. A me fa sempre piacere mantenere i rapporti per quanto è possibile.