Si definisce permanente ciò che soddisfa le caratteristiche di durevolezza, stabilità e che non è soggetto ai cambiamenti nel tempo. Storicamente l’architettura ha sempre ambito a soddisfare questi requisiti fatta eccezione per le strutture realizzate in occasione di eventi temporanei. Ne sono un esempio emblematico le Esposizioni Universali sebbene queste manifestazioni annoverino nel loro passato anche un discreto numero di edifici che sono sopravvissuti allo scorrere del tempo.
Oggi le manifestazioni a carattere temporaneo sono sempre più frequenti, dagli eventi sportivi per i mondiali di calcio o le olimpiadi, agli appuntamenti stagionali della Serpentine Gallery di Londra o del MOMA PS1 di New York. Il calendario è sempre più ricco e così, come in passato, esistono architetture che riescono a oltrepassare i confini fra temporaneo e permanente e a insediarsi nel tessuto cittadino. Questo passaggio però non rappresenta sempre una conquista degna di nota.
In ambito sociale, infatti, il tema della temporaneità è rappresentato in larga misura dalle strutture di emergenza erette in tempi record dopo terremoti o alluvioni. Il più delle volte la parabola degli interventi presenta il medesimo andamento: crescente nel momento di massima necessità dove si agisce con risposte concrete e mirate, decrescente quando, una volta spenti i riflettori, calano gli entusiasmi e si procede malamente nella fase di ricostruzione vera e propria con scarsi se non pessimi risultati. In questi casi, l’architettura temporanea diventa suo malgrado permanente. Concepita priva dei requisiti di durevolezza e comfort finisce con l’essere fonte di disagio e malcontento tra i suoi fruitori.
Se però da una parte ci si trova a dover fronteggiare una temporaneità che assume caratteri di permanenza, dall’altra parte bisogna fare i conti anche con un’architettura definita “permanente” ma che di fatto presenta sempre di più caratteristiche di temporaneità.
Viviamo in una società caratterizzata dall’assenza di punti di riferimento che rende tutto più fragile e facilmente dissolubile, siamo la “società liquida” di cui parlava Zygmunt Bauman. Il fenomeno inverso della contrazione sulla durata di un intervento sta diventando sempre più frequente e rispecchia l’andamento di una società in continua trasformazione dove tutto invecchia velocemente. Gli spazi commerciali aprono e si rinnovano in brevissimo tempo, tenendo il passo alle nuove richieste di mercato; mentre gli interventi su larga scala, sottoposti a lunghi iter burocratici e realizzativi, rischiano di essere superati prima ancora del loro completamento perché mutano nel frattempo le condizioni al contorno che ne alterano i presupposti iniziali.
Pertanto, il confine fra temporaneo e permanente non è più così netto perché tutto può diventare l’uno o l’altro. Quindi oggi si cercano di perseguire contemporaneamente requisiti di resistenza, riuso e flessibilità. Il primo è associato all’uso di materiali da costruzione durevoli nel tempo e quindi facenti parte dell’ambito permanente. Il secondo è fortemente influenzato dai diktat dell’agenda internazionale sulle misure da adottare per ridurre i cambiamenti climatici. In generale si traducono nell’utilizzo di materiali riciclati o riciclabili negli interventi successivi. Il terzo requisito trova nella modularità il suo principale campo di applicazione. La possibilità di ampliare, ridurre o alterare un elemento base è senza dubbio il metodo più semplice e indicato per soddisfare esigenze in continua evoluzione.
La fluidità nell’architettura contemporanea ha in parte alterato il suo ruolo di simbolo epocale da tramandare ai posteri. Se la Roma dei Papi voleva esaltare il potere del pontefice attraverso il rinnovamento architettonico e urbanistico, la società odierna sembra affidare la sua eredità ai posteri a diverse forme delle arti visive che esaltano l’estemporaneità del momento. Non più la statica solidità dell’involucro edilizio, ma la continua alterazione di un luogo che è capace di rinnovarsi in relazione alle mutate condizioni al contorno. Alla luce di questo non è quindi più possibile perseguire un approccio che distingua ciò che è temporaneo da ciò che è permanente poiché entrambi ormai convivono in un equilibrio mutevole.