Carlotta Sillano, in arte Carlot-ta, aveva già pubblicato due buonissimi dischi. Il primo nel 2011 con la “compianta” Annathegranny, etichetta ormai chiusa e tutta declinata al femminile, che ha il merito imperituro di aver proposto due delle voci più interessanti degli ultimi anni, Carlot-ta appunto e unePassante, e il secondo nel 2014, prodotto da Rob Ellis. Era in silenzio da quattro anni, e niente faceva presagire (almeno a me) un’uscita come quella, (23 marzo il download digitale, 13 aprile nei negozi di dischi), di Murmure, che è un vero gioiello e che segna uno scarto rispetto a una produzione - ripeto – già meritevole.
Per essere belli gli album devono essere composti da belle canzoni, da qui non si scappa e ci arriveremo a breve, ma il piccolo prodigio di Murmure sta a monte della qualità dei singoli pezzi: a stupire in positivo è l’idea da cui nasce il disco, il modo in cui è stato pensato e l’efficacia con cui tutto questo è stato tradotto in musica. Se parlassimo di una fotografia, per intenderci, qui ci troveremmo di fronte non a un’istantanea miracolosa, venuta bene perché soggetto, luce e colori erano fortunatamente perfetti, ma a uno scatto riuscito perché guidato da un’idea, azzeccato perché si erano create le condizioni giuste. Intendiamoci, a me piacciono entrambi i tipi di (belle) fotografie, e anche di dischi, ma è innegabile che riconoscere la riuscita di un progetto, la messa in opera di un’aspirazione, spinge un passo più in là nell’apprezzamento.
Nel caso di Carlot-ta il progetto era quello di un disco che avesse al centro un organo a canne, e che quindi fosse fatto prima di tutto d’aria (murmure è il suono dell’aria che gonfia i polmoni). Sostanzialmente potremmo dire che è un disco per organo e voce, ma potreste spaventarvi, potreste temere la noia o la ripetitività, e sarebbe un timore ingiustificato. Un po’ per la qualità dei brani, un po’ per l’uso dell’elettronica, che la pianista piemontese aveva già dimostrato di padroneggiare in passato, che qui non sovraccarica, non svilisce, non deforma, ma anzi arrotonda qualche spigolo dove serve, ne mette qualcuno dove se ne sente il bisogno, a volte sconquassa, a volte rifinisce, trovando sempre la misura corretta. Devo ammettere che alcune delle cose che Carlot-ta aveva fatto all’inizio della carriera, come l’unica canzone in italiano, Pamphlet, nel tempo mi erano un po’ mancate, e le avevo sempre viste come tra le più a fuoco. Invece fin dal secondo ascolto di Murmure ho capito che la sua dimensione è questa, che la terza tappa della carriera la porta esattamente dove è giusto che stia, al punto che non riesco a immaginare come possa, in futuro, spostarsi di un solo millimetro e non sciupare tutto (ma questo dipende dal fatto che io non sono un artista e lei, fortunatamente, sì).
Credo sia giusto dare importanza alla produzione di Paul Evans, un pezzo dello studio islandese Greenhouse (che vanta collaborazioni con Sigur Ros, Damon Albarn, e – non a caso – Cocorosie, che possono essere citate tra le ispirazioni di Carlot-ta) e alla cura con cui sono state fatte le registrazioni, tra Italia, Svezia e Danimarca.
Alla fine però bisogna accennare qualcosa anche sulle canzoni. L’album è stato preceduto dal video di Sparrow, che è letteralmente una bomba e che riesce benissimo ad anticipare quello che succederà nel resto dell’album, naturalmente con temperature, declinazioni e sfumature diverse di volta in volta. Il pezzo si apre con un organo discreto, che segna il tempo, e subito dopo Carlot-ta canta una specie di introduzione: quando il tema si apre, con l’entrata della batteria elettronica, l’idea di Murmure è già realizzata. Dopo due minuti di questa canzone (che è la seconda nella tracklist) dovreste già vedere il disegno generale. L’apertura invece era affidata a Virgin of the noise, che parte molto cupa, facendo affiorare la vena più oscura di Carlot-ta, quella che già in passato aveva ricordato una pianista tormentata e angolosa come Soap&Skin.
Garden of love prende ancora un’altra direzione, cominciando come un valse musette à la Yann Tiersen, che poi dialoga con la melodia cantata che sfiora il macabro: Come and see/What’s inside the ossuary.
Conjunctions è la più squillante del quartetto iniziale, anche qui la scrittura è pulita, come la voce, che guarda una storia d’amore con gli occhi disincantati che sembrano quelli di Leonard Cohen: “How to balance/Yours and mine/Without oversimplifying?/Will we always have the right words/Or the nerve to say goodbye?/When it’s time again to move apart”.
L’incrocio tra organo ed elettronica funziona anche nella pulsante Sputnik 5, mentre Samba macabre è un esercizio riuscito (e sappiamo quanto sia rischioso avventurarsi in da queste parti) che mescola bene ingredienti apparentemente contrastanti, come il ritmo di samba, l’organo e un cantato quasi freddo, qua e là al limite dell’impersonale.
Tiersen, e tutto quello che sta alle sue spalle, tornano in Le Valse du Conifere, mentre “Minstrel” è delicata, un pop cantautoriale impreziosito dall’arpa che con il passare dei secondi si fa tutt’altro che banale, con la leggerezza (nel senso di pregiata, non di dozzinale) del tessuto sonoro che diventa una qualità positiva.
A questo punto dell’ascolto dovreste già esservi ambientati nel (nuovo) mondo di Carlot-ta, pronti per le variazioni di Churches, che acquista peso specifico (anche nel testo: “There are three churches/In this tiny place/One is too big, one is too far/The third one is you, empty and dark/The third one is me, golden and cold”) diventando alla fine quasi marziale, sospinta dalle percussioni. E ci sta benissimo anche il diversivo chitarristico di Glaciers, altro brano splendido, utile per squadernare le potenzialità multidimensionali di questa autrice.
La chiusura, To the lighthouse è intima, rarefatta, sembra quasi voler semplificare mostrando nuda l’anima (voce e piano) dell’album e Carlot-ta sfrutta l’occasione per mettere in luce la sua capacità interpretativa mentre confessa le debolezze nascoste dietro la scorza di ragazza delle montagne: “I come from an alpine land/I’m afraid of fragile grounds”.
Non perdetevi questo album, e non perdetevi un concerto di Carlot-ta, se passerà dalle vostre parti. Sempre che dalle vostre parti ci sia una chiesa con dentro un organo a canne di qualità, attorno al quale si possa ricostruire l’architettura di Murmure. Dalle mie c’è, e quindi non vedo l’ora.