Era il 5 di gennaio, un sabato. Erano le due del pomeriggio. Stavo cercando di riprendermi da un venerdì impegnativo. Ha squillato il cellulare. Era Manu.
“Ciao fantasma”, ho detto. Manu era sposato da circa dieci anni. Aveva un bambino di cinque. L’avevamo perso di vista. Succede che le coppie con figli iniziano a frequentare altre coppie con figli. È così che va. Adesso per noi era Il Fantasma. Prima di sparire era Mr. Eight, per via di una serata in cui si era bevuto otto pinte di Guinness, senza vomitare.
“Ciao vecchio, come vanno le cose”? Ha detto.
“Ci manchi tu, bastardo ubriacone”.
“Senti, ho bisogno di un favore”.
“Qualsiasi cosa, dimmi”.
“Credo che mia moglie si scopi qualcuno. Qualcuno che non sono io”.
“Vecchio, ne sei certo”?
“Credo di sì. Sta fuori fino alle cinque del mattino, quasi tutte le sere”.
“È un po’ esagerato, in effetti. Ma non sarai un po’ paranoico”?
“È esattamente quel che dice lei”.
“Ok, allora probabilmente sei cornuto”.
“Senti, puoi pedinarla per me stasera”?
“Ci posso provare. E se poi la becco con il ceffo, che faccio? Devo tirarlo giù dalla macchina e strappargli le palle”?
“No. Cioè, non lo so davvero. Ci teniamo in contatto telefonico così ci penso nel mentre. Va bene”?
“D’accordo. Posso portarmi dietro qualcuno? La nottata potrebbe essere lunga”.
“Sì, ma niente birra. E neanche marijuana o simili. Mi servi lucido”.
“See, va bene”.
“Dico sul serio. Se quella ti becca, sono cazzi”.
“Hai paura che ti meni”? E mi sono fatto una risata.
“È esattamente quello che ha fatto la settimana scorsa. Le ho chiesto come mai facesse sempre tardi. Solo questo. Mi ha dato due ceffoni. E si è messa a urlare che devo farmi i cazzi miei. Ha svegliato il bambino, i vicini e i loro cani. Erano le quattro e mezza del mattino. E alla fine le ho dovuto chiedere scusa. E scusarmi con i vicini, e con i cani. Ha detto che se mi azzardo un’altra volta, mi accoltella mentre dormo. Poi si porta via il bambino, e la casa”.
“Porco cazzo, amico. Va bene, niente stronzate”.
“Ora capisci perché ho chiesto a te? Senti, verso le nove parte da qui e va da un’amica. Almeno così dice lei”.
“Conta su di me. Chiamo Al a farmi compagnia, va bene”?
“Al è perfetto”.
“Ottimo. Ciao”.
“Grazie”. Click.
Alle otto e mezza sono andato a prendere Al. Non gli avevo detto niente, solo che ci sarebbe servita l’auto di sua madre. E di mettersi una felpa con un cappuccio.
Mentre scaricavo la cassetta di birre da sei, Al mi ha chiesto: “che succede”?
“Hai l’erba”?
“Naturale”.
“Hai presente la moglie di Manu”?
“Ahà”.
“Pare che sia uscita di testa. Così dobbiamo vedere cosa cazzo combina. Guido io”.
Ci siamo messi in marcia. Abbiamo aperto un paio di birre e ci siamo passati una canna. Alle otto e quarantacinque avevamo trovato il posto perfetto, quasi di fronte a casa di Manu.
Vedevamo bene la casa. E la macchina della moglie, ancora parcheggiata nel vialetto. Siamo usciti, e ci siamo fatti una pisciata. Era una bella serata. Fredda da far congelare le palle, ma il cielo era sereno e l’aria leggera. Albeggiava in noi l’effetto del cannone annaffiato con la birra. Era un momento niente male. Al è rientrato, ha acceso il motore per tenere caldo l’abitacolo. E ha tenuto i fari spenti. Io sono rimasto fuori, a godermi il fresco, il cielo e tutto quanto il resto.
Alle nove in punto abbiamo sentito urlare. Poi la porta di casa di Manu ha sbattuto, e sua moglie è salita in macchina. Mi sono nascosto appena in tempo. Ci è sfrecciata di fianco. “Cazzo, muoviti”. Ha detto Al. Sono rientrato, ho acceso i fari e sono partito sgommando. Al si era segnato il numero di targa e il modello della macchina. Al stava prendendo questa faccenda sul serio. La moglie di Manu ha guidato per un paio di minuti, poi ha fermato la macchina sotto un piccolo condominio bianco. Sarà stato poco più di un chilometro da dove eravamo partiti. Io e Al ci siamo cercati un buon posto. Ho mandato un sms a Manu con il nome della via e la descrizione del condominio. “È casa della sua amica Anna”, ha risposto. L’ho chiamato.
“Direi che allora ce ne possiamo anche andare”, ho detto.
“Anna ha due figli: uno di un anno, e uno di tre. Pensi sul serio che possa tenersi le amiche in casa fino alle cinque del mattino”?
“Non fa una piega. Restiamo”.
“Aggiornami”.
“Ok”. Click.
Al ha rollato un’altra canna. Io ho aperto altre due birre. Erano le nove e dieci minuti. L’adrenalina iniziava a scomparire. E la marijuana risaliva, vendicativa, in tutto il suo tremendo e dolce potere. Sentivo le gambe sciogliersi, lentamente. E i piedi fondersi con i pedali. Al guardava le stelle, con la fronte appoggiata al finestrino. “Ti ricordi la Jessica”? Ha detto.
“Quel bel pezzo di donna con cui ti ho visto in centro il mese scorso, giusto”?
“Seh, lei”.
“Chi se lo scorda quel fondoschiena”?
“Già, e non l’ho mai potuto nemmeno toccare”.
“Era quella ragazza devota”?
“Seh. Sei mesi, e solo baci in bocca. Poi buonanotte e non si tocca”.
“Che cazzo di spreco. Nostro Signore dovrebbe essere un po’ più caritatevole verso noi poveri bastardi”.
“È andata a Lourdes, in pellegrinaggio, per un mese. È tornata la settimana scorsa: si è fidanzata”.
Al ha dato una sorsata profonda. Poi un’altra, e ha lanciato la birra vuota fuori dal finestrino. Il vetro è andato in frantumi a pochi metri da noi.
“Cazzo, amico, sei la prima persona che conosco che si è fatto fottere la donna a Lourdes”.
“Incredibile, già”. Poi ci siamo messi in silenzio. Probabilmente Al rifletteva sul suo destino, che si divertiva parecchio alle sue spalle in quel periodo. Io pensavo al bambino di Manu. In quel momento sicuramente dormiva. E chissà cosa stava sognando. Chissà se in cuor suo sapeva. E se aveva visto o sentito qualcosa. Il suo piccolo e velocissimo cervellino di bambino stava probabilmente creandosi dei collegamenti saldissimi, che si sarebbe portato dietro tutta la vita. Speravo solo che fossero belli.
Si sono fatte le dieci. Poi le dieci e mezza. Poi mezzanotte. Ho chiamato Manu. “Tutto tace”, ho detto. “Grazie. Tienimi aggiornato”, ha risposto. “Il pupo dorme”? Ho detto. “Certo, che domande. Perché”? Ha risposto. “Niente. Curiosità”, ho detto. “Ok. A dopo”, ha risposto. Click.
A mezzanotte e mezza, la moglie è uscita. Al si era addormentato. Ottimo aiutante. “Sveglia, bastardo. Si ricomincia”, ho detto. Al ha stappato una birra. “Sono pronto”, ha risposto.
La moglie è salita in macchina, ha fatto marcia indietro ed è schizzata via. Ci siamo piazzati alle sue calcagna. Alla prima rotonda, non ha preso uscite. Ha fatto tutto il giro completo. “Merda”, ha detto Al, “sei partito troppo carico e si è insospettita”. Mi è toccato prendere l’ultima uscita, e guardare nello specchietto in che direzione sarebbe andata. Ha preso la seconda. Ho fatto inversione, in mezzo alla provinciale, senza togliere gli occhi dallo specchietto. Al ha bestemmiato. Poi ha ringraziato Dio che in quel momento non passasse nessuno. Le eravamo ancora alle calcagna. Al ha rollato un’altra canna. Era tutto un tremore. Quell’inversione l’aveva scosso. “Aprimi una birra”, ho detto. L’auto della moglie ha preso una via stretta che conduceva verso una piccola zona industriale. “Entra nella via dopo”, ha detto Al.
“Perché”? Ho risposto. “E passami la birra”.
“Perché da questa entrata non c’è altra uscita. E se l’abbiamo insospettita potrebbe essere lì ad aspettarci”.
“Sei sveglio, vecchio”.
Siamo entrati lentamente nella zona industriale. Solo capannoni chiusi dietro enormi cancelli, e qualche camion. Nessuna traccia della moglie. Abbiamo proceduto cauti. Fari spenti. Guardavamo dentro le piccole strade laterali al fianco di ogni capannone. E dopo poco, bingo. L’abbiamo trovata. Aveva parcheggiato in fondo a una strada buia. Siamo andati oltre, e ci siamo fermati nella strada successiva, con il muso della macchina rivolto alla strada per controllare la situazione. Al ha chiamato Manu, e ha messo il vivavoce.
“Mr. Eight, è nella zona industriale”.
“Grandi ragazzi. Dai che è la volta buona”.
“Vediamo. Ti teniamo aggiornato”.
“Ok”. Click.
All’una precisa è arrivata un’auto. Si è infilata nella via buia. Ho fatto per mettere in moto.
“Sta buono”, ha detto Al. “Almeno mezz’ora, perché comincino”, e mi ha fatto l’occhiolino. Bravo Al, saggio Al. Lui, di scopate in macchina se ne intende. Abbiamo fumato la canna, bevuto un paio di birre. Cominciavo a sentirmi fatto a puntino. Era una strana sensazione. L’adrenalina a intermittenza, che si mischiava a tutto il resto. Ero turbato, e affascinato allo stesso tempo. Abbiamo aspettato quaranta minuti, e a fari spenti ci siamo infilati lentamente nella via. Eravamo incappucciati fino agli occhi. “Mi raccomando”, ha detto Al, “quando siamo lì davanti, accendi gli abbaglianti. Così loro non riusciranno a vedere niente. Diamo la sbirciatina che serve, poi scappiamo in retro”. Ho annuito, senza dire una parola. Adrenalina e THC, una accoppiata eccitante, e terrificante.
La macchina del ceffo era la prima, ed erano lì dentro. Mi sono avvicinato come il leone alla gazzella. A circa quattro o cinque metri ho acceso gli abbagliati, e dato un bel colpo di gas verso di loro. Li abbiamo visti bene, sui sedili posteriori, lei nuda sopra di lui. “Via! Via! Via”! Ha urlato Al. Ho ingranato la retro e ce la siamo data a gambe.
Ridevamo come pazzi. “Cazzo, ce l’abbiamo fatta! Siamo troppo bravi. Dovremmo fare i detective”, diceva Al.
“Merda, rolla la canna della vittoria. Io chiamo Manu”, ho risposto.
“Mr. Eight? Non sei paranoico”.
“Quindi sono cornuto”.
“Sì, ma noi abbiamo vinto. Lei ha perso. Scopava in macchina con un muflone quasi pelato, sudatissimo, e con un naso talmente grosso che se c’ha così anche l’uccello..”.
“Ok, basta coi dettagli. Vi voglio bene, ragazzi”.
“Anche noi, Mr. Eight. E adesso”?
“Adesso, adesso mi scopo la sua migliore amica. Sono anni che ci prova”.