Right Away è il nuovo album dell’ottimo pianista calabrese Giampiero Locatelli. Il disco è stato realizzato per la coraggiosa label indipendente Auand (distribuzione Goodfellas), del produttore Marco Valente, ed è stato registrato in trio con Gabriele Evangelista al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria. La formula del piano trio rappresenta uno dei crocevia obbligati nella storia del jazz, da Bill Evans a Keith Jarrett, senz’altro delle ispirazioni imprescindibili per Locatelli, il cui tentativo però è di estenderne le funzionalità, facendo assumere alla formazione le sembianze di nucleo operativo con una visione musicale in cui il materiale oscilla fra improvvisazione e parti scritte.
“L'idea di realizzare un disco in trio - sottolinea - mi fu proposta da Marco durante il mese di agosto 2015. In realtà sono stato sempre un po' riluttante relativamente a questa formazione, non perché non la ami ma perché, rispetto alla mia tendenza alla stratificazione musicale, al contrappunto in genere, il trio l'ho sempre visto un po' distante da me. Pur tuttavia, alcune idee compositive, che inizialmente sarebbero state destinate a tutt'altra formazione, come nel caso di Right Away, la title track, quartetto, quintetto, o contesto di ensemble di musica contemporanea, mi hanno suggerito la via corretta per affrontare il materiale, non espressamente scritto in forma di song, (ovvero nella forma più ortodossa di canzone riferita al jazz nei suoi tre elementi cardine di linea melodica, accompagnamento e basso n.d.r), compendiando i due mondi: quello materico, elaborativo, derivante dalla cultura Europea di un certo stampo ovvero musica sinfonica, da camera e quello basato sull'improvvisazione, decisamente legata a un contesto incentrato sulla song, quindi sulla melodicità del fatto musicale.
Le song però, che in ambito jazzistico vengono spesso riconosciute negli standard in opposizione a una sinfonia o un quartetto d’archi, sono ben presenti in questo album…
Si certo, alludi a From Last Frame, Inspire me, Like a Gentle Mood e From Afar. Scriverle ha reso l'approccio all'intero lavoro un po' più arduo. Ho dovuto rilevare, da ciò che avevo già scritto, le sfumature artigianali presenti nelle song (per esempio la metrica particolare di Inspire me e di Like a Gentle Mood o la ciclicità di From Last Frame e di From Afar) e, al tempo stesso, porre in essere le caratteristiche impervie del discorso musicale, tipico essenzialmente di una song, per ciò che concerne i brani concepiti, invece, artigianalmente (Fizzle, Deed slow, Whistle... Toward Backward). Una sorta di simbiosi continua tra i due approcci differenti che costituiscono, in genere, il percorso sonoro con un accostamento per nulla azzardato: la song e l'artigianato.
Ma il jazz come è arrivato nella tua vita e come ti sei scoperto jazzista, ovvero quando hai iniziato a suonare uno strumento?
Ho scoperto il jazz da bambino, unitamente alla musica sinfonica, alla musica da camera e (anche se può sembrare assurdo) alla musica contemporanea. Ho amato fin da subito sia le sonorità del bebop (che in casa mia si era soliti ascoltare, grazie ai dischi di mio padre), del cool, ma anche di Stockhausen, di Schoenberg, di Berg, Stravinsky. In realtà il mio interesse verso il jazz non si esprime principalmente verso il linguaggio specifico. La presenza del Time che rilevo nel jazz, nel soul, nel Rhythm & Blues, la considero l'unica diversità tra i due mondi (quello Europeo e quello che deriva dall'Africa o, per usare un termine convenzionale, la cultura afro-americana). Per il resto le fonti di ispirazione sono le più disparate possibili.
Cosa può stimolarti da un punto di vista musicale?
Non ho un'idea ben precisa al riguardo perché l’ispirazione può arrivare da ogni cosa che sia valida come asseriva Duke Ellington. può trattarsi di Monteverdi, di un Raga indiano, così come di Wayne Shorter e così via.
Fare musica aumenta o annienta la propria sensibilità?
Non annienta la propria sensibilità, ma il fatto di acuirla rende la persona più vulnerabile ed esposta alle condizioni estreme della vita. Fa perdere la pragmatica condizione di chi se la sa cavare in qualsiasi circostanza. Tutto viene vissuto con troppa esaltazione o troppa paura. Molto spesso il musicista è un personaggio apparentemente orribile o troppo gentile.
Si può essere virtuosi e allo stesso tempo semplici?
La parola "virtuoso" dovrebbe derivare da virtù, che non è una cosa negativa. Purtroppo il termine è stato utilizzato per indicare chi sa padroneggiare lo strumento. Ma in realtà avere la virtù di essere semplici (non banali) è una delle cose più belle. Per parafrasare qualcuno del passato: "Quant'è difficile scrivere facile".
Quanto è (dif) facile essere jazzista oggi in Italia e in special modo in Calabria?
In realtà in Italia, e in particolar modo in Calabria, è difficile essere musicisti. La musica non è neanche considerata dal punto di vista formativo ma rappresenta solo, per molta gente, un sottofondo, un rilassamento, per cui non faccio fatica a constatare che la gente è abituate a sentire cose orribili, scritte male, arrangiate male, pezzi di un'ovvietà terrificante.
Un sogno da realizzare?
Non ho sogni da realizzare. Il fatto di potermi occupare di ciò che sto facendo da 30 anni è già la realizzazione del sogno stesso. Lo realizzai fin da quando ero bambino, scrivendo i miei primi pezzi per pianoforte, per quartetto, per orchestra e, grazie a Dio, continuo a realizzarlo.
Cosa ti aspetta nelle prossime settimane?
Spero di portare a termine alcuni progetti di differenti nature musicali che preferirei tenere ancora nascosti prima che possano vedere la luce. L’album verrà presentato dal vivo il 14 aprile al Tatum Art di Palermo e il 16 aprile al Jazz Club La Sosta di Villa San Giovanni (Rc).